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C’è UN ALIENO AL ROM

E UN MOSTRO A QUEEN’S PARK

Sorrisi; gli edifici del parlamento provinciale erano ovviamente al Queen’s Park. A quanto pareva, tutti in quei giorni sparavano al premier Harris.

Giunto finalmente a casa, riunii in soggiorno mia moglie e mio figlio. Aprii la valigetta e posai sul tavolino da caffè il dodecaedro, il proiettore d’ologramma. Poi mi sedetti sul divano. Ricky venne a sistemarsi accanto a me. Susan si appollaiò sul bracciolo della poltroncina. Guardai l’orologio del vcr: le 7.59; Hollus si sarebbe presentato alle otto in punto.

Ricky già si agitava nervosamente. Quando entrava in funzione, il proiettore emetteva un bip bitonale, ma per ora era silenzioso.

Le otto.

Le otto e un minuto. Le otto e due minuti.

L’orologio del videoregistratore era esatto: avevamo un Sony che riceveva il segnale orario via cavo. Allungai la mano sul tavolino e spostai leggermente il dodecaedro, come se la posizione potesse fare differenza.

Le otto e tre. E quattro.

— Be’ — disse Susan, a nessuno in particolare. — Dovrei preparare l’insalata.

Ricky e io continuammo ad aspettare.

Alle otto e dieci Ricky disse: — Che fregatura.

— Mi spiace, giovanotto — dissi. — Ci sarà stato un imprevisto. — Non riuscivo a credere che Hollus mi avesse fatto il bidone. Si può perdonare un mucchio di cose: una figuraccia davanti al proprio figlio non è una di quelle.

— Posso guardare la tv finché non è ora di cena? — disse Ricky.

In genere Ricky poteva guardare un’ora di tv per sera e l’aveva già guardata. Ma non potevo deluderlo di nuovo. — Certo — risposi.

Ricky si alzò. Sospirai.

Hollus aveva detto che eravamo amici.

Ah, bene. Mi alzai, presi il proiettore, lo soppesai, lo rimisi nella valigetta e…

Un rumore, dalla porta sul retro. Chiusi la valigetta e andai a vedere. La porta di servizio si apriva su una veranda che mio cognato Tad e io avevamo costruito cinque estati prima. Aprii gli scuri verticali della porta a vetri scorrevole e…

Hollus era fermo sulla veranda.

Tolsi la sbarra di sicurezza alla base della porta a vetri e aprii. — Hollus! — dissi.

Susan comparve dietro di me, a vedere che cosa combinavo. Mi girai: era a bocca aperta, anche se aveva visto abbastanza spesso in tv Hollus e altri Forhilnor.

— Entra — dissi a Hollus. — Entra.

Hollus si destreggiò per varcare la porta, anche se lo spazio era poco. Si era cambiato per cena: ora indossava un indumento color vinaccia, con un fermaglio ricavato da una lucida sezione di geoide.

— Perché non sei comparso dentro, anziché proiettarti qui fuori? — domandai.

Hollus mosse i peduncoli oculari. Aveva un aspetto lievemente diverso, forse solo per effetto della luce alogena di una lampada a stelo: ero abituato a vederlo sotto i pannelli al neon del museo.

— Mi hai invitato a casa tua — disse.

— Sì, ma…

All’improvviso sentii sul braccio la sua mano. Avevo già avuto occasione di toccarlo, avevo sentito il formicolio dei campi di forza che componevano la sua proiezione. Stavolta era diverso: carne solida, calda.

— E così sono venuto — disse Hollus. — Ma… mi spiace, sono stato qui fuori un quarto d’ora, cercando un modo per farti sapere d’essere giunto. Ho sentito parlare di campanelli, ma non sono riuscito a trovare il pulsante.

— Non ce ne sono, alla porta sul retro — dissi. Spalancai gli occhi. — Sei qui di persona! In carne e ossa.

— Sì.

— Ma… — Scrutai alle sue spalle. C’era la sagoma di un grosso qualcosa, nel cortile: nell’oscurità che si addensava non riuscivo a distinguere bene.

— Studio il vostro pianeta da un anno — disse Hollus. — Senza dubbio avete immaginato che abbiamo il modo di scendere sulla terra senza attirare indebita attenzione. Mi hai invitato a cena, no? Come potrei gustare il tuo cibo, senza essere presente?

Ero stupito, elettrizzato. Mi girai a guardare Susan e mi resi conto di non avere ancora fatto le presentazioni.

— Hollus, ho il piacere di presentarti mia moglie, Susan Jericho.

— Sal /ve — disse il Forhilnor.

Per qualche istante Susan rimase senza parole, stupita. Poi disse: — Salve.

— La ringrazio d’avermi permesso di visitare la sua casa — disse Hollus.

Susan sorrise, poi lanciò nella mia direzione uno sguardo carico di significato. — Se fossi stata avvertita un po’ prima, avrei messo tutto in ordine.

— È bellissima anche così — disse Hollus. Mosse i peduncoli oculari, esaminando la stanza. — È evidente che la scelta di ogni pezzo d’arredamento ha richiesto grande cura, in modo che ogni cosa si integri alle altre. — Susan non poteva soffrire i ragni, ma era chiaramente affascinata dall’alieno.

Nella vivida luce della lampada a stelo, notai piccole borchie, simili a diamantini, inserite nella pelle a bolla alle giunture degli arti e alle tre articolazioni delle dita. Una fila di borchie correva lungo i peduncoli oculari.

— Sono gioielli? — domandai. — Se avessi saputo che eri interessato a cose del genere, ti avrei mostrato la collezione di gemme del rom. Abbiamo diamanti, rubini e opali favolosi.

— Prego? — disse Hollus. Poi capì e di nuovo increspò i peduncoli oculari. — No, no, i cristalli sono impianti per l’interfaccia di realtà virtuale. Permettono al simulacro di riprodurre esattamente i miei movimenti.

— Ah — dissi. Mi girai a chiamare Ricky, che risalì di corsa la scala del seminterrato; si diresse in stanza da pranzo, convinto che l’avessi chiamato perché la cena era pronta. Poi vide me e Susan e Hollus. Spalancò gli occhi e venne a mettersi accanto a me. Col braccio gli circondai le spalle.

— Hollus — dissi — ti presento mio figlio Rick.

— Sal /ve — disse Hollus.

Ricky, a occhi sgranati, fissò l’alieno. — Grande! — disse.

Non avevo previsto che Hollus venisse a cena in carne e ossa. Il tavolo da pranzo era rettangolare, con sezione centrale mobile; di legno scuro, coperto da una tovaglia bianca. In realtà non c’era molto spazio per il Forhilnor. Con l’aiuto di Susan spostai la credenza per fare un po’ più di posto.

Non avevo mai visto Hollus seduto, mi resi conto; il suo avatar non aveva bisogno di sedersi, naturalmente, ma forse il vero Hollus si sarebbe sentito più a suo agio se avesse avuto un supporto. — Cosa posso fare per farti stare comodo? — domandai.

Hollus si guardò intorno. Notò in soggiorno lo sgabello imbottito posto di fronte alla poltrona. — Potrei usare quello? — disse. — Lo sgabello piccolo.

— Ma certo.

Hollus andò in soggiorno. Con un bambino di sei anni in casa, non c’erano soprammobili e fu un bene. Hollus urtò il tavolino da caffè e il divano; i nostri mobili non erano abbastanza larghi per una creatura delle sue dimensioni. L’alieno portò in stanza da pranzo lo sgabello, lo sistemò accanto al tavolo, poi vi salì con i piedi, in modo che il tronco arrotondato si trovasse direttamente sopra. Allora vi abbassò il tronco. — Ecco — disse, in tono soddisfatto.

Susan pareva molto a disagio. — Sono davvero dispiaciuta, Hollus. Non pensavo che venisse realmente di persona. Non so proprio se ho preparato cose che lei possa mangiare.

— Cos’ha preparato?

— Un’insalata… lattuga, pomodori ciliegina, sedano a cubetti, fettine di carota, olio e aceto.

— Posso mangiarla.

— E costolette d’agnello.

— Cotte?

Susan sorrise. — Sì.

— Posso mangiare anche quelle, se mi dà un litro d’acqua a temperatura ambiente per accompagnarle.

— Certo — disse Susan.