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— Ci penso io — intervenni. Andai in cucina e riempii dal rubinetto una brocca.

— Ho anche preparato frappé al latte per Tom e Ricky — disse Susan.

— Sarebbe la secrezione mammaria bovina? — domandò Hollus.

— Sì.

— Se non è da maleducati, ne farò a meno.

Sorrisi. Ci sedemmo a tavola. Susan portò la terrina d’insalata e me la passò. Usai le apposite posate per trasferirne una porzione nel mio piatto e in quello di Ricky e poi di Hollus.

— Ho portato le mie posate — disse il Forhilnor. — Mi auguro che non sia ritenuta scortesia.

— Nient’affatto — dissi. Anche dopo vari viaggi in Cina, sono sempre uno di quelli che nei ristoranti cinesi chiedono forchetta e coltello. Dalle pieghe dell’indumento Hollus estrasse due aggeggi che parevano dei cavatappi.

— Dite la preghiera di ringraziamento?

Rimasi sorpreso. — In genere, no.

— L’ho visto in televisione.

— Alcune famiglie la recitano — dissi. Quelle, pensai, che hanno motivo per ringraziare.

Hollus usò uno dei suoi cavatappi per infilzare delle foglie di lattuga e se le portò all’orifizio sulla parte superiore del corpo. L’avevo già visto fare i movimenti di chi mangia, ma non l’avevo mai visto mangiare realmente. Il pasto era un procedimento rumoroso: la sua dentatura si muoveva con scatti secchi. Immaginai che, quando si presentava in simulacro, solo gli orifizi vocali fossero collegati a microfoni: forse per quello non avevo mai sentito quei rumori.

— L’insalata va bene? — domandai.

Mentre rispondeva, Hollus continuò a trasferirla nell’orifizio; pensai che i Forhilnor non rischiassero mai di morire soffocati durante i pasti. — Molto buona, grazie — rispose Hollus.

Intervenne Ricky. — Perché parli così? — domandò. Imitò Hollus, parlando alternativamente dalla parte sinistra e dalla parte destra della bocca. — Molto / buona / grazie.

— Ricky! — lo sgridò Susan, imbarazzata per il comportamento scortese di nostro figlio.

Hollus però parve non farci caso. — Una delle cose che gli esseri umani e il mio popolo hanno in comune — spiegò — è il cervello diviso in due emisferi. Anche noi abbiamo, come voi, un emisfero sinistro e uno destro. Riteniamo che la consapevolezza sia il risultato dell’interazione dei due emisferi; credo che pure gli esseri umani abbiano una teoria simile. Se i due emisferi sono stati disgiunti per danneggiamenti, tanto da funzionare indipendentemente l’uno dall’altro, intere frasi escono da un singolo orifizio orale, ma esprimono pensieri molto meno complessi.

— Oh — disse Ricky, tornando all’insalata.

— Affascinante — commentai. Coordinare il linguaggio fra due metà di cervello in parte autonome era di sicuro difficile. — Se avessimo due bocche, forse anche noi alterneremmo parole o sillabe.

— Voi sembrate dipendere meno di noi Forhilnor dall’integrazione sinistra-destra — disse Hollus. — In caso di rescissione del corpus callosum, gli esseri umani riescono ancora a camminare.

— Sì, mi pare di sì.

— Noi non possiamo farlo — disse Hollus. — Ciascuna metà del cervello controlla tre gambe, nella corrispondente parte del corpo. Le nostre gambe devono funzionare tutte insieme, altrimenti cadiamo, e…

— Mio papà morirà presto — disse Ricky, fissando l’insalata nel piatto.

Sentii il cuore sobbalzare, Susan parve sconvolta. Hollus posò gli utensili per mangiare. — Sì, me l’ha detto. Mi spiace moltissimo.

— Puoi aiutarlo? — disse Ricky, guardando ora l’alieno.

— Mi spiace — rispose Hollus. — Non posso farci niente.

— Ma vieni dallo spazio — ribatté Ricky.

Hollus smise di muovere i peduncoli oculari. — Sì, è vero.

— Allora dovresti sapere un mucchio di cose.

— So alcune cose — disse Hollus. — Ma non so come curare il cancro. Anche mia madre ne è morta.

Ricky guardò con grande interesse l’alieno. Pareva intenzionato a rivolgergli qualche parola di conforto, ma non sapeva cosa dire, era chiaro.

Susan si alzò e portò dalla cucina le costolette d’agnello in salsa di menta.

Continuammo a mangiare in silenzio.

Capii che si era presentata un’occasione probabilmente irripetibile.

Hollus era lì con me, in carne e ossa.

Dopo cena, gli chiesi di scendere nel mio studio. L’alieno ebbe una certa difficoltà con la mezza rampa di scale, ma se la cavò.

Andai al classificatore a due cassetti ed estrassi un fascio di fogli. — È normale che una persona scriva un documento per indicare come ciò che possiede dovrà essere distribuito dopo la sua morte — dissi. — Ovviamente lascio quasi tutto a Susan e a Ricky, ma faccio anche alcune donazioni a certi enti: la Canadian Cancer Society, il rom, un paio d’altri. Alcune cose andranno anche a mio fratello, ai suoi figli e a qualche altro parente. Ho… ho pensato di modificare il testamento per lasciare qualcosa a te, Hollus, ma… be’, pareva inutile. Cioè, probabilmente non sarai più qui, dopo la mia morte e, be’, di solito non sei realmente qui, in ogni caso. Ma stasera…

— Stasera — convenne Hollus — sono realmente io.

— Probabilmente è più semplice se mi limito a darti ora questi fogli… il dattiloscritto del mio libro, Dinosauri canadesi. Ormai le gente scrive libri utilizzando il computer, ma questo è stato battuto su una macchina per scrivere manuale. Non ha grande valore e i dati sono ormai molto sorpassati, ma è il mio piccolo contributo alla letteratura popolare sui dinosauri e, be’, mi piacerebbe che lo avessi tu… da paleontologo a collega. — Mi strinsi nelle spalle. — Un mio ricordo.

L’alieno prese i fogli. Mosse avanti e indietro i peduncoli oculari. — La tua famiglia non vorrà questo manoscritto?

— Hanno copie del libro.

Hollus aprì un lembo dell’indumento e mise in mostra una grossa tasca di plastica: le pagine del manoscritto ci stavano comodamente. — Grazie — disse.

Seguì un momento di silenzio. Alla fine dissi: — No, Hollus… grazie a te, per tutto. — Protesi la mano e gli strinsi il braccio.

17

Più tardi, quella sera, dopo che Hollus era tornato all’astronave, mi sedetti in soggiorno. Avevo preso due pillole di analgesico e, prima di coricarmi, aspettavo che facessero effetto… a volte la nausea rende difficile tenere nello stomaco le pillole.

Forse, pensai, il Forhilnor aveva ragione. Forse non c’era nessuna pistola fumante che avrei accettato come prova. Ha detto che era tutto lì, davanti ai miei occhi.

Nessuno è così cieco come chi non vuol vedere. A parte il Ventinovesimo Rotolo, questo è uno dei miei brani preferiti di scrittura religiosa.

Ma io non ero cieco, maledizione! Avevo l’occhio critico, l’occhio di uno scettico, l’occhio di uno scienziato.

Ero sbalordito che la vita su pianeti assortiti usasse lo stesso codice genetico. Fred Hoyle aveva ipotizzato che sulla Terra (e su altri pianeti, presumibilmente) fosse avvenuta una semina di vita batterica dallo spazio; se tutti i pianeti visitati da Hollus fossero stati seminati dalla stessa fonte, il codice genetico ovviamente sarebbe stato identico.

Anche ammesso che la teoria di Hoyle non sia vera (e in realtà non è una teoria molto soddisfacente, perché si limita a rinviare l’origine della vita in qualche altro luogo che non possiamo facilmente esaminare) forse c’erano buone ragioni perché solo quei venti aminoacidi fossero adatti alla vita.

Come Hollus e io avevamo già discusso, il dna ha quattro lettere nel suo alfabeto: A, E, G e T, per adenina, citosina, guanina e timina, le basi che formano i pioli della sua scala elicoidale.

D’accordo… un alfabeto di quattro lettere. Ma quanto sono lunghe le parole, nel linguaggio genetico? Bene, lo scopo di quel linguaggio è di specificare sequenze di aminoacidi, i blocchi di costruzione delle proteine, e, come ho detto, la vita usa venti aminoacidi. Ovviamente, con parole lunghe una sola lettera non si può identificare univocamente ciascuno di quei venti: un alfabeto di quattro lettere fornisce solo quattro diverse parole di una sola lettera. Né sarebbe fattibile con parole di due lettere: quattro caratteri comportano solo sedici possibili parole di due lettere. Se però si usano parole di tre lettere, ah, allora si ha l’imbarazzo dell’abbondanza, un vocabolario biochimico stile William F. Buckley di ben 64 parole. Mettiamone da parte venti per indicare ciascun aminoacido e altre due per la punteggiatura… il segno d’inizio descrizione e il segno di fine descrizione. Quindi, delle 64 possibili parole, solo ventidue sono necessarie perché il dna faccia il suo lavoro. Se un dio ha progettato il codice genetico, avrà di sicuro notato i vocaboli in eccesso e si sarà domandato che cosa farne.