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Esk percepiva la presenza della Nonnina come una nuvola argentea in fondo alla propria mente. Dopo qualche tentativo, trovò l’aquila e mancò poco che la perdesse. La sua mente era piccola, aguzza e purpurea come la punta di una freccia. Totalmente concentrata sul volo, non notò la sua presenza.

— Bene — disse la Nonnina. — Non andremo più lontano. Se vuoi che giri, devi…

— Sì, sì. — Esk flesse le dita (ovunque esse fossero) e l’uccello planò nell’aria e girò.

La vecchia era stupefatta. — Ottimo. Come ci sei riuscita?

— Io… io non lo so. Mi è soltanto sembrato ovvio.

— Uhm. — La strega saggiò con cautela la piccola mente dell’aquila e la trovò ancora del tutto ignara dei suoi passeggeri. Ne rimase davvero colpita. Un caso assolutamente raro.

Planarono sopra la montagna, mentre Esk esplorava eccitata i sensi dell’animale. La voce della Nonnina le arrivava monotona, le dava istruzioni, la guidava, la metteva in guardia. Lei quasi non l’ascoltava. Sembrava troppo complicato. Perché non poteva impadronirsi della mente dell’aquila? Non le avrebbe fatto del male. Lei sapeva come fare, era questione di destrezza, come schioccare le dita (ciò che in effetti non le era mai riuscito) e allora sarebbe stata in grado di fare l’esperienza del volo per davvero, non di seconda mano. Allora avrebbe potuto…

— Non farlo — la ammonì con calma la Nonnina. — Non ne verrà niente di buono.

— Che cosa?

— Credi veramente di essere la prima, ragazza mia? Non credi che tutte noi non abbiamo pensato come sarebbe stato bello, assumere un altro corpo per volare nel vento o respirare l’acqua? E credi davvero che sarebbe tanto facile?

Esk le lanciò un’occhiataccia.

— Non occorre che mi guardi in questo modo — ribatté la vecchia. — Un giorno mi ringrazierai. Non metterti a giocare prima di sapere quello che fai, eh? Prima di arrivare ai giochetti, devi avere imparato che cosa fare se le cose si mettono male. Non cercare di camminare prima di essere capace di correre.

— Io sento come farlo. Nonnina.

— Può darsi. È più difficile di quanto sembri, il Prestito; anche se riconosco che hai l’inclinazione. Per oggi basta così, riportaci sopra i nostri due corpi e ti mostrerò come tornare.

L’aquila volò sopra le due figure sdraiate ed Esk vide, con l’occhio della mente, due canali aperti per loro. L’ombra della mente della Nonnina svanì.

Ora…

La Nonnina si era sbagliata. La mente dell’aquila si limitò a lottare, senza avere il tempo di lasciarsi prendere dal panico. Esk la teneva racchiusa nella sua mente. L’altra si dimenò per un momento e poi si fuse dentro di lei.

La strega aprì gli occhi in tempo per vedere l’uccello volare basso sul terreno, con un rauco grido di trionfo, e dileguarsi giù per il fianco della montagna. Per un attimo non fu più che un puntino che andava rimpicciolendo e poi era scomparso, con un ultimo stridio riecheggiante.

La Nonnina abbassò gli occhi sulla forma silenziosa di Esk. La bambina era abbastanza leggera, ma la strada per tornare a casa era lunga e il pomeriggio stava volgendo alla fine.

— Accidenti — esclamò, ma senza troppa convinzione. Si alzò, si spazzolò l’abito e, borbottando, issò a fatica sulla spalla il corpo inerte della bambina.

Alta sulle montagne, nell’aria cristallina del tramonto, l’aquila-Esk salì ancora più su, ebbra della pura vitalità del volo.

Sulla strada di casa la Nonnina s’imbatté in un orso affamato. La schiena le faceva un gran male e non era d’umore di sentirsi grugnire contro. Borbottò qualche parola sottovoce e l’orso, con suo enorme ma fugace stupore, andò a sbattere pesantemente contro un albero e non riprese i sensi per parecchie ore.

Giunta al cottage, la Nonnina mise il corpo di Esk a letto e accese il fuoco. Riportò dentro le capre, le munse e sbrigò le faccende serali.

Si assicurò che tutte le finestre fossero aperte e, quando cominciò a fare buio, accese una lanterna e la poggiò sul davanzale.

Di regola, Nonnina Weatherwax dormiva solo poche ore per notte e si svegliò di nuovo a mezzanotte. La stanza non era cambiata, anche se la lanterna aveva il suo personale piccolo sistema solare di stupidissime falene.

Quando si risvegliò di nuovo all’alba, la candela si era spenta da un pezzo ed Esk dormiva ancora del sonno leggero, impossibile a risvegliarsi, di colui che prende a Prestito.

Quando la vecchia portò fuori le capre nel loro recinto, scrutò con attenzione il cielo.

Venne il mezzogiorno, e a poco a poco la luce si ritirò da un’altra giornata. La Nonnina andava su e giù per la cucina senza scopo. Di tanto in tanto era presa da accessi frenetici di lavori domestici: vecchie incrostazioni furono tirate fuori senza tante cerimonie dalle fessure nelle pietre del pavimento, la fuliggine accumulatasi durante l’inverno fu grattata via dalla parete del camino e la superficie ricoperta da uno strato di grafite, un nido di topi dietro la dispensa venne espulso delicatamente ma gettato con fermezza nel recinto delle capre.

Scese il crepuscolo.

Nel mondo-Disco la luce era antica e lenta e greve. La Nonnina, in piedi sulla porta del suo cottage, la osservò dileguarsi dalle montagne e fluire come un fiume dorato attraverso la foresta, e il suo riverbero indugiare qua e là, finché non impallidì e scomparve.

Tamburellando con le dita sullo stipite della porta, la vecchia canticchiava un motivetto triste.

Venne l’alba e il cottage era vuoto, eccetto che per il corpo di Esk sempre silenzioso e immobile sul letto.

Mentre la luce dorata scorreva lenta sul mondo-Disco, simile alla prima onda di marea sulla sabbia, l’aquila volava più alta nel cielo, battendo l’aria con il ritmo lento e possente delle sue ali.

Il mondo intero si dispiegava sotto Esk… tutti i continenti, tutte le isole, tutti i fiumi e specialmente il grande anello dell’Oceano Circolare.

A quelle altezze niente altro esisteva, nemmeno il suono.

Inebriata da quella sensazione, Esk voleva costringere i muscoli stanchi a uno sforzo ancora maggiore. Ma qualcosa non andava. Le sembrava che i suoi pensieri divagassero e sparissero, senza che lei riuscisse a controllarli. Dolore euforia stanchezza le fluivano nella mente eppure, al tempo stesso, altre sensazioni ne sfuggivano. I ricordi si disperdevano nell’aria. Non appena le riusciva di afferrare un pensiero, questo evaporava e lasciava il vuoto dietro a sé.

Stava perdendo grossi brandelli di se stessa e le era impossibile ricordare che cosa stava perdendo. Fu presa dal panico e si mise a pensare alle cose di cui era sicura…

"Io sono Esk, e mi sono impadronita del corpo di un’aquila e della sensazione del vento tra le penne, della fame, della ricerca di qualcosa che non è il cielo giù in basso…"

Provò di nuovo. "Io sono Esk e sto cercando la corrente del vento, il dolore dei muscoli, la sferza dell’aria, il suo gelo…"

"Io sono Esk in alto sull’aria-umida-bagnata-bianca, al di sopra di tutto, il cielo è sottile…"

"Io sono Io sono."

La Nonnina era in giardino, tra gli alveari, le gonne svolazzanti al vento del primo mattino. Passava da un alveare all’altro e batteva sui tetti. Poi, ritta tra i cespugli di borraggine e di menta da lei stessa piantati lì intorno, stese le braccia e prese a cantare in toni ultracuti, non percettibili da una persona normale.

Ma dagli alveari si levò un forte ronzio e a un tratto l’aria si fece densa per il fitto sciame delle grosse api, che presero a svolazzarle intorno alla testa e unirono il loro basso ronzio al suo canto.

Poi se ne andarono volando nella luce che si alzava sopra la radura e sciamarono sopra gli alberi.