La Nonnina alzò il foglio alla luce e lo esaminò con occhio critico. Era una buona lettera. Aveva ricavato "diverse" dall’Almanacco che leggeva ogni sera. E che prediceva sempre "diverse sciagure" e "diversa malasorte". Anche se non era proprio sicura del suo significato, restava pur sempre una parola maledettamente buona.
Sigillò la lettera con la cera della candela e la mise sulla dispensa. L’avrebbe data da trasmettere al corriere quando sarebbe andata la mattina dopo al villaggio per comperare un’altra cuccuma.
L’indomani la Nonnina scelse con una certa cura cosa indossare e si decise per un vestito nero con un motivo di rane e pipistrelli, una grande cappa di velluto (o per lo meno di quello che può sembrare velluto dopo essere stato indossato invariabilmente per trenta anni) e il capello a cono del suo rango, fissato da spilloni.
La loro prima visita fu per lo scalpellino a cui ordinare la pietra del focolare da sostituire. Poi andarono dal fabbro.
L’incontro fu lungo e tempestoso. Esk uscì nell’orto e salì al suo vecchio posto sul melo. Dalla casa le giungevano gli urli del padre, i lamenti della madre e lunghe pause di silenzio. Il che voleva dire che Nonnina Weatherwax parlava piano nella voce che Esk definiva "è proprio così". La vecchia aveva a volte un modo di parlare piatto e misurato. Il genere di voce che probabilmente il Creatore aveva usato. Che in essa ci fosse della magia o soltanto "menteologia", di sicuro escludeva ogni possibilità di discussione. Qualunque fosse l’argomento, stabiliva che così dovevano andare le cose.
Un vento leggero faceva ondeggiare l’albero. Seduta sul ramo, Esk dondolava pigramente le gambe.
Pensava ai maghi. Loro non venivano spesso a Cattivo Somaro, ma di loro si raccontava una quantità di storie. Erano saggi, ricordava la bambina, e di solito molto vecchi e compivano magie possenti, complesse e misteriose e quasi tutti avevano la barba. Erano anche, senza eccezione, uomini.
Con le streghe lei si trovava su terreno più sicuro, perché era andata con la Nonnina a visitare un paio di villaggi di streghe più in là sulle colline. E comunque le streghe occupavano un posto importante nel folclore delle Ramtop. Le streghe, ricordava, erano astute, di solito molto vecchie o almeno si sforzavano di sembrarlo e facevano dei sortilegi un po’ sospetti, casarecci e organici, e alcune di loro avevano la barba. Erano anche, senza eccezione, donne.
In tutto questo c’era un qualche problema fondamentale che lei era incapace di risolvere. Perché…
Cern e Gulta vennero di corsa giù per il sentiero e si fermarono sotto l’albero urtandosi e spingendosi. Alzarono gli occhi a guardare la sorella con un misto di ammirazione e di disprezzo. Streghe e maghi erano oggetto di timore reverenziale, non così una sorella. Sapere che la propria sorella stava imparando a diventare una strega, svalutava in qualche modo l’intera categoria.
— Tu non puoi fare veramente degli incantesimi — disse Cern. — È vero?
— Naturale che non puoi — disse Gulta. — Che cos’è quel bastone?
Esk aveva lasciata la verga appoggiata al melo. Cern la toccò con precauzione.
— Non voglio che la tocchi — protestò in fretta Esk. — Per piacere. È mia.
Normalmente Cern aveva la sensibilità di un elefante ma, con sua grande sorpresa, la sua mano si fermò a metà gesto.
— Comunque non ne avevo voglia — borbottò, per nascondere la sua confusione. — È soltanto un vecchio bastone.
— È vero che sai fare gli incantesimi? — chiese Gulta. — Ho sentito la Nonnina che lo diceva.
— Stavamo ascoltando alla porta — aggiunse il fratello.
— Siete voi che avete detto che non sono capace — rispose Esk con fare disinvolto.
— Be’, puoi o non puoi? — ribatté Gulta, arrossendo.
— Forse.
— Non puoi!
Esk abbassò gli occhi a guardarlo. Amava i fratelli, quando se ne ricordava (più che altro per dovere), sebbene generalmente li ricordasse come una serie di rumori fragorosi in pantaloni. Ma nel modo di fissarla di Gulta c’era qualcosa di estremamente sgradevole, come se lei lo avesse personalmente insultato.
Sentì d’improvviso correrle un formicolio per tutto il corpo e a un tratto il mondo parve farsi ai suoi occhi più netto e più vivido.
— Posso — affermò.
Gulta guardò prima lei poi la verga, a occhi socchiusi. Ed esclamò, con un calcio violento: — Vecchio bastone!
Alla bambina sembrò di vedere un porcellino arrabbiato.
Gli urli di Cern richiamarono la Nonnina e i genitori prima alla porta sul retro e poi li fecero arrivare correndo giù per il sentiero.
Appollaiata sulla biforcazione del melo, Esk aveva sul viso un’espressione sognante. Cern si nascondeva dietro l’albero, la bocca spalancata nell’urlo così che si vedevano le tonsille vibrare.
Gulta sedeva attonito dentro un mucchio di vestiti che non gli calzavano più e arricciava il grugno.
La Nonnina si avvicinò a grandi passi all’albero finché il suo naso adunco non si trovò alla stessa altezza di quello di Esk.
— Trasformare le persone in maiali non è permesso - sibilò. — Perfino i fratelli.
— Non sono stata io, è soltanto successo. A ogni modo, devi riconoscere che questa forma gli va meglio — disse calma la bambina.
— Che succede qui? — domandò il fabbro. — Dov’è Gulta? Che ci fa qui questo maiale?
— Questo maiale — rispose Nonnina Weatherwax — è tuo figlio.
Con un sospiro la madre di Esk si accasciò all’indietro, ma il marito era un po’ meno impreparato di lei. Spostò lo sguardo da Gulta, che era riuscito a tirarsi fuori dai suoi indumenti e stava grufolando con entusiasmo tra i primi frutti caduti a terra, alla sua unica figlia.
— È lei che ha fatto questo?
— Sì. Oppure è suo tramite che è stato fatto — disse la Nonnina, con uno sguardo sospettoso alla verga.
— Oh! — Il fabbro fissò il suo quinto figlio. Doveva ammettere che la nuova forma gli si addiceva. Senza guardare, allungò una mano e mollò uno scappellotto sulla testa dell’urlante Cern.
— Puoi farlo tornare come prima? — chiese. La Nonnina si voltò e con un’occhiata girò la domanda a Esk, che si strinse nelle spalle.
— Lui non ci credeva che ero capace di fare un sortilegio — disse calma la bambina.
— Già. Be’, credo che gli hai dimostrato di avere ragione. E adesso lo farai tornare normale, signora. All’istante. Mi senti?
— Non voglio. È stato sgarbato.
— Capisco.
Esk fissò la nonnina con aria di sfida. Lei la ricambiò con uno sguardo severo. Le loro due volontà cozzarono come cimbali e tra di loro l’aria si fece spessa. Ma la Nonnina aveva trascorso una vita a piegare creature recalcitranti e, sebbene Esk fosse un’avversaria straordinariamente forte, era ovvio che avrebbe ceduto prima della fine del paragrafo.
— Oh, va bene — disse in tono querulo. — Non so perché uno si dovrebbe scomodare a trasformarlo in un maiale, quando lui lo era già per conto suo.
Non sapeva da dove le fosse venuta la magia, ma mentalmente si voltò da quella parte e fece un suggerimento. Gulta riapparve, nudo, con una mela in bocca.
— Che c’è? — farfugliò.
La Nonnina si rivolse al fabbro.
— Adesso mi crederai? — domandò aggressiva. — Credi davvero che lei possa sistemarsi quaggiù e dimenticarsi tutto della magia? Riesci a immaginarti il suo povero marito se si sposasse?
— Ma tu hai sempre detto che per le donne era impossibile fare i maghi — protestò lui. In realtà era piuttosto impressionato. Non si era mai saputo che Nonnina Weatherwax avesse trasformato una persona in un’altra cosa.