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— Adesso non pensarci — ribatté la vecchia, un po’ più calma. — Lei ha bisogno di addestramento. Ha bisogno di sapere come controllarsi. Per pietà, metti qualcosa addosso a quel ragazzino.

— Gulta. rivestiti e piantala di piagnucolare — gli ordinò il padre e si rivolse di nuovo alla Nonnina.

— Hai detto che c’era una specie di scuola? — azzardò.

— L’Università Invisibile, sì. Per formare i maghi.

— E sai dov’è?

— Sì — mentì lei, la cui conoscenza della geografia era ancora peggiore di quella della fisica sub-atomica.

Il fabbro guardò prima lei e poi la figlia, che se ne stava con l’aria imbronciata.

— E faranno di lei un mago?

La Nonnina sospirò.

— Non so che cosa faranno di lei — rispose.

Fu così che, una settimana più tardi, la Nonnina chiuse la porta del cottage e appese la chiave al suo gancio nel gabinetto. Aveva mandato le capre da una sua collega strega che viveva più lontano nelle colline e che aveva anche promesso di tenere d’occhio il cottage. A Cattivo Somaro non restava che fare a meno di una strega per un po’.

La Nonnina era vagamente conscia che era possibile trovare l’Università Invisibile soltanto se questa lo voleva. E l’unico luogo dove cominciare a cercare era la città di Ohuian Cutash, una manciata di circa un centinaio di case a una ventina di chilometri di distanza. Era là che si andava una o due volte l’anno se si era un Cattivo Somarese veramente cosmopolita.

La vecchia ci era andata soltanto una volta in vita sua e non le era piaciuto affatto. L’odore dell’abitato non era quello giusto, lei si era persa e diffidava della gente di città con i loro modi pieni di ostentazione.

Lei ed Esk ottennero un passaggio sul carro che arrivava periodicamente con il metallo per la fucina. Era traballante ma sempre meglio che camminare, tanto più che la Nonnina aveva impacchettato i loro pochi averi in un grosso sacco, sul quale si sedette per sicurezza.

Esk stringeva tra le braccia la verga e contemplava i boschi che scorrevano lungo la via. Quando furono a diversi chilometri dal villaggio, osservò: — Mi pareva che tu avessi detto che nelle altre terre le piante sono differenti.

— Infatti.

— Questi alberi sembrano proprio gli stessi.

La vecchia li guardò con aria sprezzante.

— Nemmeno un po’ belli come i nostri.

In realtà cominciava a provare un certo sgomento. La sua promessa di accompagnare Esk all’Università Invisibile era stata fatta senza pensare. Il poco che sapeva del resto del Disco lo aveva ricavato per sentito dire e dalle pagine dell’Almanacco, ed era convinta che loro due andassero incontro a terremoti, maremoti, flagelli e massacri, di cui molti "diversi" o anche peggio. Ma era decisa ad andare fino in fondo. Una strega faceva troppo assegnamento sulle parole per rinnegare mai la propria.

Era vestita di nero, come si conviene, e nascondeva sulla sua persona un certo numero di spilloni e un coltello per tagliare il pane. Il piccolo gruzzolo, prestatole a malincuore dal fabbro, era celato nei misteriosi strati della sua biancheria intima. Le tasche della sua gonna tintinnavano di amuleti e un ferro di cavallo appena forgiato, mezzo di prevenzione sempre potente nei momenti difficili, le appesantiva la borsa. Si sentiva pronta al massimo per affrontare il mondo.

Il sentiero si snodava giù per le montagne. Per una volta tanto il cielo era limpido e le alte cime delle Ramtop si stagliavano nette e bianche come le spose del cielo (con i corredi zeppi di temporali) e i tanti ruscelletti, che scorrevano ai lati o attraverso il sentiero, fluivano pigri tra gli arbusti delle olmarie e delle spiree.

All’ora di colazione giunsero al sobborgo di Ohulan (consistente in una locanda e una manciata di cottage appartenenti a gente incapace di sopportare lo stress della vita urbana). Pochi minuti dopo, il carro le depositò nella piazza principale (e del resto l’unica) della città.

Era giorno di mercato.

Nonnina Weatherwax si fermò incerta sul selciato, stringendo forte la spalla di Esk, mentre la folla turbinava intorno a loro. Aveva sentito raccontare di cose tremende che potevano accadere alle campagnole appena arrivate nelle grandi città, e teneva la borsetta così stretta da averne le nocche sbiancate. Se un forestiero si fosse azzardato anche soltanto a farle un cenno di testa, se la sarebbe passata brutta.

Gli occhi di Esk brillavano. La piazza era un mosaico di rumori, colori, odori. Su un lato si ergevano i templi delle più importanti deità del Disco e da essi filtravano profumi arcani che, uniti agli odori delle merci, formavano un miscuglio complesso di fragranze. C’erano bancarelle piene di seducenti curiosità che lei moriva dalla voglia di esaminare.

La Nonnina lasciò che venissero trascinate dalla folla. Anche lei era incuriosita dalle bancarelle. Si mise a gironzolare qua e là, senza mai allentare nemmeno per un minuto la vigilanza contro borsaioli, terremoti e trafficanti del sesso, finché non scorse qualcosa di vagamente familiare.

C’era un piccolo banco coperto, drappeggiato di nero e polveroso, incastrato tra due case. Insignificante com’era, sembrava tuttavia che facesse ottimi affari. Le clienti erano per lo più donne di ogni età, ma tra loro la vecchia notò anche qualche uomo. Tutti, però, avevano una cosa in comune. Nessuno ci si avvicinava direttamente. Ci passavano davanti con aria indifferente, per poi infilarsi d’improvviso nell’ombra del tendone. Un momento ne ergevano, togliendo rapidi come un fulmine la mano dalla borsa o dalla tasca, in gara per il titolo dell’Andatura Più Disinvolta, con tanta bravura che un osservatore avrebbe dubitato di ciò che lui o lei aveva appena visto.

Era straordinario come uno stand, ignoto alla maggior parte della gente, fosse così popolare.

— Che c’è lì dentro? — domandò Esk. — Cosa comprano tutti?

— Medicine — affermò la Nonnina.

— Nelle città ci debbono essere un sacco di malati — osservò la bambina con aria grave.

Dentro, la botteguccia era una massa di ombre e l’odore delle erbe era tanto denso da poterlo imbottigliare. La Nonnina tastò con dita esperte qualche balla di foglie secche. Esk si scostò da lei per cercare di leggere le etichette sulle bottiglie che aveva di fronte. Lei conosceva bene quasi tutti i preparati della Nonnina, ma lì non ne riconobbe nessuno. I nomi erano divertenti: Olio di Tigre, Preghiera della Fanciulla, Ausilio dei Mariti. Uno o due dei tappi avevano il medesimo odore del retrocucina dopo che la vecchia strega aveva terminato certe sue distillazioni segrete.

Un’ombra si mosse nei recessi semibui del locale e una mano dalla pelle scura e grinzosa si posò leggera sulle sue.

— Posso aiutarti, signorina? — La voce, gracchiante, aveva i toni di uno sciroppo di fichi. — Vuoi conoscere il tuo futuro a forse è il tuo futuro che vuoi cambiare?

— Lei sta con me — sibilò la Nonnina, girandosi di scatto — e i tuoi occhi ti tradiscono, Hilta Trovacapra, se non sei capace di vedere che età ha.

L’ombra davanti a Esk si chinò in avanti.

— Esme Weatherwax? — chiese.

— In persona. Ancora a vendere gocce miracolose e piccoli amuleti, Hilta? Come te la passi?

— Meglio del solito perché ti rivedo — rispose l’ombra. — Cosa ti porta giù dalle montagne, Esme? E questa piccola… è forse la tua assistente?

— Per piacere, che cosa vendi? — domandò Esk.

L’ombra rise. — Oh, delle cose per impedirne altre che non dovrebbero succedere e aiutare quelle che dovrebbero, tesoro. Aspettate un attimo che io chiuda, mie care, e sarò subito da voi.

L’ombra passò accanto a Esk in una scia di fragranze e chiuse le tende davanti al chiosco. Poi tirò su i drappeggi sul retro facendo entrare la luce pomeridiana.