— Non posso sopportare l’oscurità e respirare quest’aria — dichiarò Hilta Trovacapra — ma è quello che si aspettano i clienti. Tu sai com’è.
— Sì — annuì saggiamente Esk. — "Menteologia".
Hilta, una donnetta grassa con un enorme cappello ornato di frutti, guardò prima lei e poi la Nonnina e ridacchiò.
— È così che vanno le cose — affermò. — Gradireste del tè?
Si sedettero su balle di erbe sconosciute nel cantuccio privato ricavato tra i muri ad angolo delle due case, e bevvero un liquido verde e fragrante in lazze sorprendentemente delicate. Al contrario della Nonnina, che si vestiva come un rispettabile corvo, Hilta Trovacapra era tutta merletti e scialli e colori e orecchini e talmente tanti braccialetti che un semplice movimento delle sue braccia risuonava come un insieme di strumenti a percussione che cadessero da un promontorio. Ma Esk vedeva ugualmente la somiglianza tra le due donne.
Difficile descriverla. Ma era impossibile immaginarle inchinarsi davanti a chicchessia.
— Allora, come va la vita? — chiese la Nonnina.
L’altra strega alzò le spalle e con il suo gesto fece perdere la presa al capotamburo proprio quando era quasi riuscito a tornare in cima.
— Come l’amante frettoloso, viene e se ne… — cominciò e si arrestò vedendo l’occhiata significativa che l’amica lanciava a Esk.
— Non male, non male — rimediò in fretta. — Il consiglio ha provato una volta o due a buttarmi fuori, sai, ma hanno tutti moglie e in qualche modo non riesce mai. Dicono che non sono il tipo giusto, ma io dico che in questa città più di una famiglia sarebbe più numerosa e più povera se non fosse per i Preservativi Mentaperenne di Madame Trovacapra. So chi viene nella mia bottega, io. Ricordo chi compra le mie gocce e il mio unguento speciali, io. La vita non è male. E come va nel tuo villaggio con quel nome buffo?
— Cattivo Somaro — disse pronta Esk. Prese da uno scaffale un vasetto di coccio e ne odorò il contenuto.
— Va abbastanza bene — concesse la Nonnina. — I rimedi naturali sono sempre richiesti.
Esk annusò ancora la polvere; le sembrò mentaperenne con una base che non le riuscì d’identificare, e richiuse con cura il coperchio. Mentre le due donne chiacchieravano in una specie di codice femminile, pieno di occhiate e di sottintesi, lei esaminò le altre pozioni esotiche esposte. O non proprio esposte. Stranamente sembravano essere seminascoste ad arte, come se Hilta non avesse veramente voglia di venderle.
— Non ne riconosco nessuna — disse, rivolgendosi più che altro a se stessa. — Cosa danno alle persone?
— Libertà — dichiarò Hilta, che aveva un udito fine. Poi, rivolta di nuovo alla Nonnina: — Quanto le hai insegnato?
— Non tanto. Lei ha potere, ma di quale genere non sono sicura. Potrebbe essere quello di un mago.
Hilta si girò lentamente e squadrò Esk da capo a piedi.
— Ah! — esclamò. — Questo spiega la verga. Mi chiedevo di che parlassero le api. Bene, bene. Dammi una mano, piccola.
Esk le tese una mano. Le dita di Hilta erano così piene di anelli che era come pescare in un sacchetto di noci.
La Nonnina si raddrizzò in atteggiamento di disapprovazione quando vide l’amica mettersi a ispezionare il palmo della bambina.
— Non credo che questo sia necessario — disse severamente. — Non tra di noi.
Esk interloquì: — Tu lo fai, Nonnina, al villaggio. Ti ho vista. E le tazze dei tè. E le carte.
La Nonnina si agitò imbarazzata. — Be’, sì. È una specie di accordo. Tu gli tieni la mano e quelli si predicono la fortuna da sé. Ma non c’è bisogno di andare in giro a crederci. Ci troveremmo tutti nei guai se andassimo in giro a credere ogni cosa.
— I Poteri Che Esistono hanno molte strane qualità e intriganti e vari sono i modi in cui manifestano i loro voleri in questo cerchio di luce che noi chiamiamo il mondo fisico — dichiarò solennemente Hilta. E strizzò l’occhio a Esk.
— Be’, suvvia! — s’impazientì la Nonnina.
— No, calmati. È vero — ribatté Hilta.
— Uhm.
— Vedo che siete all’inizio di un lungo viaggio — osservò l’amica.
— Incontrerò uno sconosciuto alto e bruno? — chiese Esk, esaminandosi il palmo. — La Nonnina lo dice sempre alle donne, dice…
La vecchia sbuffò e Hilta rispose: — No. Ma sarà un viaggio molto strano. Andrete assai lontano pur restando nello stesso posto. E la vostra sarà una direzione strana. Sarà un’esplorazione.
— Puoi dire tutto questo dalla mia mano?
— Be’, principalmente sto solo indovinando. — Hilta si appoggiò all’indietro e allungò una mano per prendere la teiera (il capotamburo, che era risalito a mezza strada, ricadde sui cembalisti arrancanti). La donna fissò attentamente Esk e aggiunse: — Un mago femmina, eh?
— La Nonnina mi porta all’Università Invisibile — spiegò la bambina.
Hilta inarcò le sopracciglia. — Sai dove si trova?
La Nonnina aggrottò la fronte. — Non esattamente — ammise. — Speravo che tu potessi darmi delle indicazioni più precise, visto che hai più familiarità di me con i mattoni e roba del genere.
— Dicono che abbia molte porte, ma quelle che si trovano in questo mondo sono nella città di Ankh-Morpork — disse Hilta. Vedendo che la Nonnina non capiva, aggiunse: — Sul Mare Circolare. — E poi, davanti allo sguardo interrogativo dell’altra: — A quasi mille chilometri da qui — concluse.
— Oh! — esclamò la Nonnina.
Si raddrizzò e spazzò via dal suo vestito un immaginario granello di polvere.
— Faremmo meglio a muoverci — dichiarò.
Hilta scoppiò a ridere. A Esk la sua risata piacque molto. La Nonnina non rideva mai, si limitava semplicemente a sollevare un po’ gli angoli della bocca. Ma Hilta rideva come una persona che aveva riflettuto molto sulla Vita e aveva capito che era tutta uno scherzo.
— Partite domattina, comunque — consigliò. — A casa mia c’è posto, potete stare da me e domani ci sarà la luce.
— Non vorremmo disturbare — disse la Nonnina.
— Sciocchezze. Perché non fate un giretto mentre chiudo bottega?
Ohulan era la città centro di mercato di una regione agricola molto estesa e il commercio non terminava con il tramonto. Al contrario, le torce brillavano su ogni banco e ogni baracchino e la luce si diffondeva dalle porte aperte delle locande. Perfino i templi mettevano fuori delle lanterne colorate per attirare i fedeli serali.
Hilta si muoveva tra la folla come uno svelto serpente tra l’erba secca, l’intero suo banco e la merce ridotti a un fagotto incredibilmente piccolo sulla schiena, i gioielli tintinnanti come un gruppetto di ballerini di flamenco. La Nonnina camminava pesantemente dietro di lei, con i piedi che le dolevano perché non abituati al selciato cittadino.
Ed Esk si perse.
Ci volle un po’ di tempo, ma ci riuscì. Aveva dovuto intrufolarsi abbassandosi tra due bancarelle poi sfrecciare via per un vicolo laterale. La Nonnina l’aveva ammonita più che abbondantemente sulle cose innominabili in agguato nelle città. Il che dimostrava come la vecchia non conoscesse bene la "menteologia", poiché ora Esk era decisa a vederne una o due di persona.
In realtà, dato che Ohulan era un luogo barbaro e incivile, le sole cose che succedevano al calar della notte erano dei furtarelli, un po’ di commercio alla buona nei luoghi del piacere, e sbronzarsi fino a cadere per terra o mettersi a cantare o entrambe le cose…
Secondo i canoni poetici, uno dovrebbe muoversi in una fiera come il cigno bianco si muove a sera sopra la baia. Ma a causa di certe difficoltà tecniche Esk finì per muoversi tra la folla come un carretto traballante, urtando le persone con la punta della verga ondeggiante alta sopra la sua testa. Delle teste si voltarono e non soltanto perché erano state colpite. Qualche volta i maghi passavano in città ed era la prima volta che se ne fosse visto uno alto un metro e trenta e con i capelli lunghi.