Da qualche parte nei corridoi suonò un campanello. Esk saltò giù leggera, afferrò la scopa e si mise a spazzare con impegno mentre le porte si spalancavano e i corridoi si riempivano di studenti. Che la superavano sciamando da entrambi i lati, come l’acqua intorno a una roccia. Per pochi minuti regnò una confusione estrema. Poi le porte si richiusero, i passi dei più pigri risuonarono in lontananza, ed Esk si ritrovò sola.
Desiderò, e non per la prima volta, che la verga potesse parlare. Le altre domestiche erano abbastanza cordiali, ma era impossibile parlare con loro. Non di magia, comunque.
La bambina stava arrivando alla conclusione che avrebbe dovuto imparare a leggere. In questa faccenda del leggere stava la chiave dell’arte dei maghi, che era imperniata tutta sulle parole. Per i maghi, i nomi erano lo stesso delle cose: cambiando il nome, si cambiava la cosa. O almeno, così le pareva…
Leggere. Questo voleva dire la biblioteca. Simon aveva detto che conteneva migliaia di libri. E fra tutte quelle parole, ce ne dovevano essere una o due che lei fosse in grado di leggere. Esk si mise la verga in spalla e si diresse con aria risoluta all’ufficio della signora Whitlow.
Era quasi arrivata, quando una parete disse: — Pss! — Esk la fissò a occhi spalancati e quella si rivelò essere la Nonnina. Non che la Nonnina fosse capace di rendersi invisibile. Ma aveva il talento di confondersi alla vista così da non farsi notare.
— Come te la passi, allora? — le domandò la Nonnina. — Come va con la magia?
— Che ci fai qui. Nonnina? — chiese la bimba a sua volta.
— Sono stata dalla signora Whitlow a predirle il futuro. — La vecchia alzò con una certa soddisfazione un pacco di vecchi indumenti. Ma il sorriso le morì sulle labbra sotto lo sguardo severo di Esk.
— Be’, in città le cose sono diverse. La gente di città si preoccupa sempre dell’avvenire, dipende dal fatto che mangiano cibo non naturale. — Resasi a un tratto conto del suo tono querulo, aggiunse: — E comunque, perché non dovrei predire la fortuna?
— Tu hai sempre affermato che Hilta profittava della sciocchezza delle donne. Tu dicevi che quelle che predicono l’avvenire dovrebbero vergognarsi di se stesse e, a ogni modo, non hai bisogno di vestiti vecchi.
— Chi non spreca, non si trova nel bisogno — sentenziò la Nonnina. Aveva trascorso tutta la vita basandosi sul principio dei vestiti vecchi e non intendeva permettere che la sua temporanea prosperità le facesse cambiare idea. — Ti danno abbastanza da mangiare?
— Sì. Nonnina, quanto all’arte dei maghi, non sono altro che parole…
— Sempre detto che era così — dichiarò la vecchia.
— No, voglio dire… — La Nonnina la interruppe con un gesto irritato della mano.
— In questo momento, non ho tempo per roba del genere — dichiarò. — Ho delle grosse ordinazioni da consegnare prima di notte. Se va avanti così, dovrò addestrare qualcuno. Non puoi venire a trovarmi quando hai un pomeriggio libero, o cos’è che ti danno?
— Addestrare qualcuno? — Esk era scandalizzata. — Vuoi dire come una strega?
— No. Cioè, forse.
— E io, allora?
— Be’, tu stai andando per la tua strada — asserì la Nonnina. — Qualunque sia.
— Uhm — si limitò a dire la bambina.
La vecchia la fissò. — Allora me ne vado — annunciò alla fine. Si girò e si allontanò verso l’entrata della cucina. Con il movimento, il suo mantello ondeggiò ed Esk vide che adesso era foderato di rosso. Un rosso scuro, un rosso vinoso, ma sempre rosso. Sulla Nonnina, nota per avere sempre portato, almeno visibilmente, soltanto indumenti neri, l’effetto era scioccante.
— La biblioteca? Io non credo che mai qualcuno pulisce la biblioteca. — La signora Whitlow era decisamente perplessa.
— Perché? Non si impolvera? — ribatté Esk.
— Be’… — La donna ci pensò un po’ su. — Suppongo che è così, adesso che ne parli. A dire la verità, non ci ho mai pensato.
— Vedi, ho pulito tutto il resto — spiegò con voce dolce Esk.
— Già. L’hai fatto, no?
— Bene, allora.
— È solo che… non l’abbiamo mai fatto prima — disse la signora Whitlow — ma, parola mia, non riesco a capire perché.
— Bene, allora — ripeté Esk.
— Ook? — disse il Bibliotecario Capo e si scostò indietreggiando da Esk. Ma la piccola aveva sentito parlare di lui. ed era venuta preparata. Gli offrì una banana.
L’orangutan allungò adagio una mano e poi l’afferrò con una smorfia di trionfo.
Può darsi che esistano universi dove fare il bibliotecario è considerata un’occupazione di tutto riposo e dove i rischi sono limitati a grossi volumi che ti cadono dagli scaffali sulla testa. Ma fare il responsabile di una biblioteca magica non è lavoro per gli incauti. Gli incantesimi sono dotati di potere. E semplicemente trascriverli e infilarli tra la copertina non serve a ridurlo. Quella roba trasuda. I libri tendono a reagire reciprocamente e a liberare così una magia con una volontà propria. Di solito i libri di magia sono incatenati agli scaffali, ma ciò non impedisce che vengano rubati.
Era proprio un incidente del genere che aveva trasformato il bibliotecario in una scimmia antropomorfa. Da allora si era opposto a ogni tentativo di riprendere le sembianze umane, spiegando nel linguaggio dei segni che la vita da orangutan era assai migliore di quella da essere umano. Infatti, tutti i grandi interrogativi filosofici si esaurivano nel domandarsi quando gli sarebbe arrivata la prossima banana. Inoltre, le braccia lunghe e i piedi prensili erano ideali per occuparsi degli scaffali in alto.
Esk gli diede un intero casco di banane e si allontanò rapida tra gli scaffali prima che lui potesse fare obiezioni.
Non avendo mai visto altro che un unico libro per volta, a quanto ne sapeva Esk, la biblioteca era identica a qualsiasi altra biblioteca. Vero, era un po’ strano vedere che in lontananza il pavimento si trasformasse nella parete. Come era strano il modo in cui gli scaffali ti giocavano degli scherzi e parevano acquistare più dimensioni delle solite tre. Ed era sorprendente alzare gli occhi e scorgere scaffali sul soffitto tra i quali, di tanto in tanto, si aggirava tranquillamente uno studente.
La verità era che la presenza di tanta magia distorceva lo spazio intorno. In quella enorme quantità di volumi il denim, o forse la flanella, dell’universo veniva contorto in forme molto particolari. I milioni di parole intrappolate, incapaci di liberarsi, piegavano la realtà intorno a loro.
Per Esk era logico che, fra tutti quei libri, ce ne dovesse essere uno che ti diceva come leggere gli altri. Non era sicura come fare per trovarlo, ma dentro di sé sentiva che probabilmente avrebbe avuto sulla copertina le riproduzioni di allegri coniglietti e micini spensierati.
Di certo, però, la biblioteca non era silenziosa. Si udiva di quando in quando il sibilo di una scarica di magia e allora una scintilla di ottarino guizzava da uno scaffale all’altro. Le catenelle tintinnavano piano. E, naturalmente, c’era il debole fruscio di migliaia di pagine nelle loro prigioni rilegate in pelle.
Dopo essersi assicurata che nessuno le prestava attenzione, Esk tirò giù il più vicino volume. Quello gli si aprì nelle mani e lei vide, costernata, che conteneva gli sgradevoli tipi di diagramma che aveva notati nel libro di Simon. La scrittura le era del tutto ignota. E lei ne fu contenta… sarebbe stato orribile conoscere il significato di tutte quelle lettere che le si presentavano come laide creature intente a farsi cose complicate. Richiuse il libro a fatica, con le pagine che tentavano disperatamente di opporsi. Il disegno di una creatura sulla copertina somigliava a uno degli esseri del freddo deserto. Certamente era tutt’altro che un micino spensierato.