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— Chi sono quei buffoni? — domandò, muovendo appena le labbra.

— Erano i sommi maghi — bisbigliò Esk.

— Hanno l’aspetto di chi soffre di stitichezza — osservò la vecchia. — Non ho mai conosciuto un mago che fosse regolare.

— Sono noiosi da spolverare, è tutto quello che so — disse la bambina.

Tagliangolo stava piantato a gambe larghe, mani ai fianchi e gomiti in fuori, con lo stomaco che ricordava un pendio per sciatori principianti. Tutta la sua persona aveva assunto la posa che di solito viene associata a Enrico VIII, ma con una opzione su Enrico IX e pure X.

— Allora? Che significa questo oltraggio? — le aggredì.

— Lui è importante? — domandò a Esk la Nonnina.

— Io, signora, sono l’Arcicancelliere! E dirigo questa Università! E lei, signora, è entrata illegalmente su un territorio assai pericoloso! L’avverto che… smettila di fissarmi così!

Tagliangolo indietreggiò barcollante, con le mani alzate per ripararsi dallo sguardo della Nonnina. Intorno a lui i maghi si dispersero, rovesciando dei tavoli nella fretta di evitare quello sguardo.

Gli occhi della Nonnina erano cambiati.

Esk non glieli aveva mai visti così. Erano assolutamente d’argento, simili a specchietti rotondi, che riflettevano tutto ciò che vedevano. Nelle loro profondità, Tagliangolo era diventato un puntolino, la bocca spalancata, le braccine come stecchini che si agitavano disperate.

L’Arcicancelliere urtò contro un pilastro e lo shock lo fece tornare in sé. Scosse irritato la testa, mise una mano a coppa intorno alla bocca e mandò un fascio di fuoco bianco verso la strega.

Senza abbassare il suo sguardo iridescente, la Nonnina sollevò una mano e deviò le fiamme verso il soffitto. Ci fu una esplosione e una pioggia di frammenti di mattonelle.

Gli occhi le si ingrandirono.

Tagliangolo scomparve. E al suo posto era arrotolato un grosso serpente, pronto a colpire.

La Nonnina svanì. Al suo posto c’era adesso un grande canestro di vimini.

Il serpente divenne un rettile gigantesco uscito dalle nebbie del tempo.

Il canestro si tramutò nella folata di neve dei Giganti del Ghiaccio, che ricoprì di ghiaccio il mostro che si dimenava.

Il rettile diventò una tigre dalle zanne affilate, accovacciata per prepararsi al balzo.

La folata nevosa diventò una pozza di bitume ribollente.

La tigre divenne un’aquila china per spiccare il volo.

La pozza di bitume si tramutò allora in un cappuccio ornato di un ciuffo di piume.

Poi le immagini presero a tremolare via via che una forma rimpiazzava un’altra forma. Onde stroboscopiche danzavano nella sala. Si alzò un vento magico, spesso e oleoso, che faceva sprizzare dalle barbe e dalle dita scintille di ottarino. In mezzo a tutto questo Esk distingueva, attraverso gli occhi che le lacrimavano, le due figure della Nonnina e di Tagliangolo, statue lucenti nel mezzo del turbine di immagini.

Ma si rendeva conto di un’altra cosa, un suono così acuto che l’udito quasi non lo captava.

Lo aveva già udito, su quella fredda distesa… un pigolio, il ronzio di un alveare, il rumore dello scavo di un termitaio…

— Vengono! — urlò al di sopra del tumulto. — Stanno venendo ora!

Uscì carponi da dietro il tavolo dove aveva cercato rifugio dal magico duello e cercò di raggiungere la Nonnina. Una folata di magia allo stato puro le sollevò i piedi da terra e la scaraventò su una sedia.

Il ronzio si era fatto più forte, così che l’aria rombava come un cadavere di tre settimane in una giornata estiva. Esk fece un altro tentativo per raggiungere la Nonnina e arretrò quando una fiamma verde le salì su per il braccio e le strinò i capelli.

Si guardò intorno freneticamente in cerca degli altri maghi. Ma quelli che erano fuggiti dagli effetti della magia, si nascondevano tremanti dietro il mobilio rovesciato mentre la tempesta occulta impazzava sulle loro teste.

Esk attraversò di corsa tutta la sala e uscì nel corridoio buio. Si precipitò, singhiozzando, con le ombre che le volteggiavano intorno, su per la scala e per i corridoi echeggianti verso la stanzetta di Simon.

Qualcosa avrebbe cercato di entrare nel corpo di lui, aveva detto la Nonnina. Qualcosa che avrebbe parlato e camminato come Simon, ma non sarebbe stato lui.

Un gruppetto di studenti dall’aria ansiosa era radunato fuori della porta. Alla vista di Esk che si avvicinava di corsa, volsero verso di lei i volti pallidi, abbastanza scossi da ritirarsi nervosamente davanti alla sua avanzata decisa.

— C’è qualcosa lì dentro — disse uno di loro.

— Non possiamo aprire la porta!

La guardavano pieni di aspettativa. Poi un altro chiese: — Per caso, non avresti un passe-partout?

Esk afferrò la maniglia e la girò. Quella prima si mosse leggermente, ma poi tornò a posto con tanta forza da spellarle quasi le mani. All’interno, il pigolio salì in un crescendo e ad esso si unì un altro rumore, come il battito di ali di spessa pelle.

— Voi siete dei maghi! — urlò lei. — Dannatissimi maghi!

— Non abbiamo ancora fatto la telecinesi — disse uno.

— Io ero malato quando abbiamo imparato a scagliare il fuoco…

— A dire la verità, io non sono molto bravo con la Smaterializzazione…

Esk si avvicinò di nuovo alla porta e si fermò di colpo. Ricordò di avere sentito la Nonnina affermare che perfino gli edifici avevano una mente, se erano abbastanza antichi. E l’Università era molto antica. Si fece di lato e passò le mani sulle vecchie pietre. Bisognava agire con cautela, per non spaventarla, la mente… e adesso lei riusciva a sentirla nelle pietre, tarda e semplice, ma sempre una mente. Che pulsava intorno a lei; ne percepiva le scintille guizzanti nel profondo della roccia.

Dietro la porta, qualcosa fischiava.

I tre studenti guardavano stupefatti Esk restare immobile, con le mani e la fronte premuti contro il muro.

C’era quasi. Sentiva il proprio peso, la gravezza del proprio corpo, le lontane memorie dell’alba dei tempi quando la roccia era liquida e libera. Per la prima volta in vita sua sapeva cosa si provava ad avere dei balconi.

Si mosse con precauzione nella mente dell’edificio, affinando le proprie sensazioni, cercando il più velocemente possibile quel corridoio, quella porta.

Allungò un braccio, con grande circospezione. Gli studenti la videro aprire un dito della mano, molto lentamente.

I cardini della porta presero a scricchiolare.

Dopo un momento di tensione, i chiodi schizzarono fuori dai cardini e andarono a sbattere contro la parete alle sue spalle. Le assi cominciarono a piegarsi mentre la porta cercava di aprirsi contro la forza di… di qualunque cosa fosse che la teneva chiusa.

Il legno ondeggiò.

Raggi di luce azzurra si proiettarono nel corridoio, mobili e danzanti, mentre forme indistinte si trascinavano nello splendore accecante dentro la stanza. La luce era piena di vapori e attinica, la sorta di luce da indurre Steven Spielberg a contattare il suo legale incaricato del copyright.

I capelli di Esk le si rizzarono in testa dandole l’aspetto di un soffione ambulante. Oltrepassò la soglia, con la pelle che le scoppiettava per le fiammelle guizzanti di magia.

Gli studenti, rimasti fuori, la osservarono pieni di terrore scomparire nella luce.

Che svanì in una esplosione silenziosa.

Quando alla fine trovarono il coraggio di guardare nella stanza, non videro altro che il corpo di Simon addormentato. Ed Esk stesa silenziosa e fredda sul pavimento, che respirava adagio. E il pavimento era ricoperto da un fine strato di sabbia argentea.