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E al di là delle stelle…

Era il mondo-Disco. Una Grande A’Tuin, non più grossa di un piattino, avanzava a fatica sotto un mondo che sembrava l’opera di un gioielliere in preda a una ossessione.

Risatina, turbinio. Risatina, turbinio, risatina. Nel vetro già si mostravano delle fessure sottili come un capello.

Esk guardò gli occhi vacui di Simon e poi alzò i suoi sulle facce fameliche delle Creature più vicine. Quindi allungò un braccio, gli tolse la piramide dalle mani, si volse e si mise a correre.

Gli Esseri non si mossero mentre lei si precipitava verso di loro, quasi piegata in due, stringendosi al petto la piramide. Ma all’improvviso i suoi piedi non correvano più sulla sabbia, lei era sollevata nell’aria frigida e una Creatura con la faccia di un coniglio affogato si girò lenta verso di lei e allungò un artiglio.

"Tu in realtà non sei qui" si disse Esk. "È solo una specie di sogno, ciò che la Nonnina chiama annallogia. Non possono farti male, è tutta immaginazione. Non ti può succedere niente, è tutto nella tua mente."

"Mi chiedo se quella lo sa?"

L’artiglio la colse a mezz’aria e la faccia da coniglio si spaccò come la buccia di una banana. Al posto della bocca, solo un buco nero, come se la Creatura stessa non fosse che un passaggio verso una dimensione ancora peggiore. Un luogo a paragone del quale la sabbia gelida e il chiaro di luna senza luna avrebbero rappresentato un divertente pomeriggio alla spiaggia.

Sempre tenendo stretta la piramide-Disco, con la mano libera Esk batteva sull’artiglio che l’abbrancava. Senza nessun effetto. Il buio l’avvolgeva, il varco verso l’oblio totale.

Scalciò con tutte le sue forze.

Date le circostanze, non le fu difficile. Ma lì dove il suo piede aveva colpito, ci fu un’esplosione di bianche scintille e uno schiocco… che sarebbe stato più forte e più soddisfacente se il suono non fosse stato risucchiato dall’aria.

La Creatura stridette come una motosega che incontrasse, annidato in un innocente alberello, un grosso chiodo lì dimenticato da tempo. Intorno a lei, le altre se ne uscirono in un ronzio compassionevole.

Esk scalciò ancora e la Creatura urlò e la lasciò cadere sulla sabbia. La bimba fu abbastanza sveglia da rotolarsi, sempre stringendo a sé per proteggerlo il piccolo mondo, perché anche in sogno una caviglia rotta può essere dolorosa.

La Creatura, incerta, la sovrastava. Esk socchiuse gli occhi. Mise giù il mondo con estrema precauzione, colpì con violenza la Creatura nel punto dove doveva esserci la tibia (posto che sotto il mantello la tibia ci fosse), e raccolse di nuovo il mondo in un unico rapido movimento.

La creatura ululò, si piegò in due e poi si accasciò piano, come un sacco di appendiabiti. Toccò terra e crollò in una massa di membra disgiunte; la testa rotolò via e si arrestò, dondolante.

"Tutto qui?" pensò Esk. "Quasi non riesco nemmeno a camminare! Se vengono colpiti, cadono e basta?"

Gli Esseri più vicini indietreggiarono con un pigolio, vedendola avanzare decisa. Ma, dato che i loro corpi erano tenuti insieme più o meno soltanto dalla volontà, il risultato non fu molto brillante. Lei ne colpì uno, dalla faccia come una famigliola di calamari, e quello si sgonfiò in un mucchio di ossa tremolanti, brandelli di pelo e pezzetti di tentacoli, molto simili a un piatto della cucina greca. Un altro, più fortunato, aveva cominciato a trascinarsi lontano con passo incerto; ma Esk gli sferrò un calcio a una delle sue cinque tibie.

Quello cadde, agitandosi disperatamente e trascinò giù con sé altri due.

Nel frattempo gli altri Esseri erano riusciti ad allontanarsi da lei e rimasero a guardare da una certa distanza.

Esk fece qualche passo verso il più vicino. Quello tentò di muoversi e cadde in avanti.

Potevano anche essere brutti. Potevano anche essere malvagi. Ma, in fatto di poesia in movimento, avevano la grazia e la coordinazione di una sedia a sdraio.

Dopo avergli rivolto un’occhiata minacciosa, Esk guardò il Disco nella sua piramide di vetro. Non pareva che tutta quella agitazione lo avesse disturbato nemmeno un po’.

Era stata capace di andare fuori, se quello era veramente fuori e se si poteva dire che il Disco fosse dentro. Ma come fare per tornare indietro?

Udì una risata. Era il genere di risata…

Fondamentalmente, era p’ch’zarni’chiwkov. Questa parola, che a pronunciarla si rischia di otturare l’epiglottide, viene usata raramente sul Disco. Fanno eccezione i linguisti acrobati profumatamente pagati, e naturalmente, la piccola tribù dei K’turni che l’ha inventata. Non ha un sinonimo diretto, sebbene nella lingua Cumhoolie la parola "squernt" (sensazione che si prova nello scoprire che il precedente occupante del gabinetto ha usato tutta la carta) ci si avvicini come profondità di sentimento.

La traduzione più fedele è la seguente:

il debole e sgradevole rumore di una spada sguainata proprio dietro di noi nel preciso momento in cui pensavamo di esserci liberati dei nostri nemici

Tuttavia coloro che parlano il K’turni sostengono che essa non renda il senso di sudore freddo, arresto cardiaco, budella contorte che c’è nell’originale.

Era quel genere di risata.

Esk si girò lentamente. Simon scivolò verso di lei sulla sabbia, con le mani a coppa intorno alla bocca e gli occhi chiusi. — Credevi davvero che sarebbe stato tanto facile? — disse. O qualcun’altro lo disse: non sembrava la voce di Simon, ma di dozzine di voci che parlassero tutte insieme.

— Simon? — lo chiamò, incerta.

— Lui non ci serve più — disse la Creatura con la forma di Simon. — Ci ha mostrato il cammino, ragazzina. Adesso rendici ciò che è nostro.

Esk indietreggiò.

— Io non credo che ti appartenga, chiunque tu sia — dichiarò.

La faccia davanti a lei aprì gli occhi. In essi non c’era altro che oscurità… non un colore, solo buchi in un altro spazio.

— Potremmo dire che se ce lo dai, saremmo misericordiosi. Potremmo dire che ti lasceremmo andare via di qui con la tua forma. Ma dirlo non significherebbe granché, vero?

— Non vi crederei — disse Esk.

— Be’, allora…

Lo pseudo-Simon sogghignò.

— Stai soltanto ritardando l’inevitabile — dichiarò.

— Mi sta bene.

— Potremmo riprendercelo comunque.

— Prendetelo, allora. Ma non credo che potete farlo. Non potete prendere niente, se non vi viene dato, non è così?

Giravano in tondo.

— Ce lo darai — affermò lo pseudo-Simon.

Ora alcune delle altre Creature si avvicinavano, avanzando nel deserto con un’orribile andatura a balzelloni.

— Ti stancherai — continuò quello. — Noi possiamo aspettare. Siamo molto bravi ad aspettare.

Fece una finta a sinistra, ma lei si girò rapida a fronteggiarlo.

— Tutto questo non ha importanza — disse. — È solo un sogno e nei sogni è impossibile farsi male.

L’Essere si fermò e la guardò con i suoi occhi vuoti.

— Nel vostro mondo avete una parola. Credo che si dica "psicosomatico"?

— Mai sentita — ribatté Esk sprezzante.

— Significa che ci si può fare male nei sogni. E la cosa più interessante è che, se muori in sogno, rimani qui. Sarebbe cariiiino.

Esk guardò di sottecchi le montagne lontane, che si stendevano all’orizzonte simili ad ammassi di fango sciolto. Non c’erano alberi, nemmeno rocce. Solo sabbia e fredde stelle e…

Percepì il movimento più che udirlo e si girò tenendo nelle mani la piramide a guisa di clava. Colpì lo pseudo-Simon a mezz’aria con un rumore sordo. Ma non appena quello toccò terra, fece una capriola in avanti e si rimise dritto con spiacevole facilità. Ma l’aveva sentita trattenere il respiro e aveva visto il dolore nei suoi occhi. Si fermò.