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— Ah, questo ti fa male, vero? Non ti piace vedere un altro soffrire. Non mi sembra.

L’essere si voltò e, a un suo cenno, due delle alte Creature si avvicinarono e lo afferrarono saldamente per le braccia.

I suoi occhi cambiarono. I due fori neri si trasformarono di nuovo negli occhi di Simon. Li alzò sulle Creature ai suoi lati e cercò di lottare, ma una di esse gli avvolgeva un polso con diverse paia di tentacoli e l’altra gli abbrancava il braccio con due enormi pinze da aragosta.

Quindi scorse Esk e il suo sguardo cadde sulla piccola piramide di vetro.

— Scappa! — sibilò. — Portala lontano da qui! Non lasciare che la prendano! — Fece una smorfia di dolore mentre la pinza aumentava la stretta sul suo braccio.

— È un trucco? Chi sei in realtà? — domandò la bambina.

— Non mi riconosci? — La sua voce era disperata. — Cosa ci fai nei miei sogni?

— Se questo è un sogno, allora vorrei svegliarmi, ti prego — disse lei.

— Ascolta. Devi scappare adesso, mi capisci? Non startene lì a bocca aperta.

DALLA A NOI, disse una voce fredda nella testa di Esk.

Esk guardò prima la piramide di vetro, con il suo piccolo mondo indifferente, e quindi Simon. Era così piena di sconcerto che si era dimenticata di richiudere la bocca.

— Ma che cosa è?

— Guardala bene!

Esk scrutò nell’involucro di vetro. Se teneva gli occhi socchiusi, le pareva che il piccolo Disco fosse granuloso, come se fosse composto da milioni di macchioline minuscole. Se le fissava attentamente…

— Sono soltanto numeri! — esclamò. — Il mondo intero… è tutto fatto di numeri…

— Non è il mondo, è un’idea del mondo — ribatté Simon. — Sono io che l’ho creato per loro. Loro non possono raggiungerci, capisci, ma qui le idee hanno una forma. Le idee sono reali!

DALLA A NOI.

— Ma le idee non possono fare del male a nessuno!

— Io ho trasformato le cose in numeri per comprenderle. Ma loro vogliono avere il controllo — disse amaro Simon. — Loro sono penetrati nei miei numeri come…

Gridò.

DALLA A NOI O LO FAREMO A PEZZI.

Esk guardò la faccia da incubo che vedeva più vicina.

— Come so che posso fidarmi di voi? — chiese.

TU NON PUOI FIDARTI DI NOI. MA NON HAI SCELTA.

Esk fissò il cerchio di volti che perfino un necrofilo avrebbe disdegnato. Volti messi insieme con gli scarti di un pescivendolo, volti presi a casaccio tra le creature celate nelle fosse oceaniche e nelle caverne infestate dalle apparizioni. Volti non abbastanza umani per mostrare una espressione malvagia o lasciva. E tuttavia minacciosi come un gorgo sospetto vicino a un incauto bagnante.

Lei non poteva fidarsi di loro. Ma non aveva scelta.

Intanto un’altra vicenda si svolgeva in un luogo lontano quanto lo spessore di un’ombra.

Gli apprendisti maghi erano tornati di corsa nella Grande Sala, dove Tagliangolo e la Nonnina erano ancora avvinghiati nell’equivalente magico di una presa di lotta libera. Sotto il corpo della Nonnina le lastre di pietra erano mezze fuse e piene di crepe e dietro Tagliangolo, il tavolo aveva messo le radici e già portava una ricca messe di ghiande.

Uno degli studenti si era guadagnato varie ricompense al valore, avendo osato di tirare il bordo del mantello dell’Arcicancelliere…

E adesso si affollavano tutti nella stanzetta e guardavano i due corpi.

Tagliangolo convocò i medici del corpo e i medici della mente, che si misero all’opera. Nella stanza si diffuse il ronzio della magia.

La Nonnina batté una mano sulla spalla del grande mago.

— Una parola all’orecchio, giovanotto — gli disse.

Lui sospirò. — Non direi giovane, signora, non direi proprio. — Si sentiva svuotato. Erano passati decenni da quando aveva duellato con la magia, sebbene questa fosse cosa abbastanza comune tra gli studenti. Aveva il brutto presentimento che alla fine la Nonnina avrebbe vinto. Combattere con lei, era come schiacciarsi una mosca sul naso. Non riusciva a capire come gli fosse venuto in mente di provarci.

La Nonnina lo condusse nel corridoio e a un sedile sotto la finestra, voltato l’angolo. La vecchia si sedette e appoggiò la scopa alla parete. La pioggia tamburellava forte sui tetti e delle saette indicavano che si stava avvicinando alla città un temporale degno delle Ramtop.

— È stata una dimostrazione davvero notevole — disse. — Sei stato per vincere una o due volte.

— Oh! — Tagliangolo si rianimò. — Lo pensi seriamente?

La Nonnina annuì.

Tagliangolo si tastò la tunica in vari posti finché non pescò una borsa catramosa di tabacco e un rotolo di carta. Con mani tremanti si confezionò alla bell’e meglio una striminzita sigaretta con pochi fili di tabacco da pipa usato e ci passò su la lingua, inumidendola a malapena. Poi gli tornò in mente una vaga rimembranza di decenza.

— Uhm, ti dispiace se fumo?

La vecchia si limitò a scrollare le spalle. Lui accese un fiammifero sul muro e cercò disperatamente di dirigere fiamma e sigaretta pressappoco nella stessa posizione. La Nonnina gli tolse con delicatezza il fiammifero dalla mano tremante e gliela accese.

Tagliangolo aspirò il tabacco, ebbe il colpo di tosse di rito, e si appoggiò all’indietro. L’estremità incandescente della cicca era l’unica luce nel corridoio semibuio.

— Se ne sono andati vagando — annunciò alla fine la Nonnina.

— Lo so.

— I tuoi maghi non saranno capaci di riportarli indietro.

— So anche questo.

— Tuttavia, potrebbero riportare indietro qualchecosa.

— Vorrei che tu non l’avessi detto.

Seguì una pausa mentre entrambi contemplavano cosa sarebbe potuto tornare. Esseri che avrebbero abitato i corpi viventi e avrebbero agito quasi come i legittimi proprietari.

— Probabilmente è colpa mia… — affermarono all’unisono e s’interruppero sorpresi.

— Prima tu, signora — disse Tagliangolo.

— Quei cosi, le sigarette, sono buone per i nervi? — domandò la vecchia.

Lui aprì la bocca per osservare cortesemente che il tabacco era un’abitudine riservata ai maghi, ma ci ripensò. Porse alla Nonnina la borsa del tabacco.

Lei gli raccontò della nascita di Esk, dell’arrivo del vecchio mago e della verga, delle scorrerìe della bambina nella magia. Prima di avere finito, era riuscita ad arrotolarsi un cilindro sottile e compatto, che bruciava con una fiammella azzurra e le faceva lacrimare gli occhi.

— Non so se i nervi scossi non sarebbero meglio — ansimò.

Tagliangolo non la stava ascoltando.

— È assolutamente sorprendente — affermò. — Dici che la bambina non ne ha risentito in alcun modo?

— Che io sappia, no. La verga pareva… be’, stare dalla sua parte, se capisci ciò che intendo.

— E dove si trova ora questa verga?

— Ha detto di averla buttata nel fiume…

Il vecchio mago e l’anziana strega si guardarono, i volti illuminati dalla luce di un lampo.

Tagliangolo scosse la testa. — Il fiume è in piena — disse. — C’è una possibilità su un milione.

La Nonnina fece un sorriso inflessibile. Il genere di sorriso che fa fuggire i lupi. Afferrò decisa la sua scopa.

— Una possibilità su un milione si verifica nove volte su dieci — sentenziò.

Ci sono temporali francamente scenografici, tutti saette e rombi metallici di tuono. Altri sono tropicali e soffocanti, inclini a venti bollenti e palle di fuoco. Ma quello era un temporale delle pianure del Mare Circolare, la cui principale ambizione era colpire il suolo con la maggiore quantità di pioggia possibile. Il genere di temporale che ti induce a pensare che l’intero cielo abbia ingoiato un diuretico.