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La pioggia violenta si stabilizzò in un ticchettio garbato, che è capace di andare avanti per giorni di fila. Per assisterlo, si levò anche la nebbia dal mare.

— Se avessimo i remi potremmo remare, se sapessimo dove stiamo andando — osservò Tagliangolo. La Nonnina non gli rispose.

Il mago versò fuori del bordo ancora qualche stivalata d’acqua. E gli venne in mente che probabilmente il gallone d’oro della sua tunica non sarebbe più stato lo stesso. Sarebbe stato bello poter pensare, un giorno, che la cosa avesse importanza.

— Suppongo che tu non sappia, per caso, da quale parte si trova il Centro? — si arrischiò a chiedere. — Tanto per parlare.

— Guardate da quale lato dell’albero c’è il muschio — disse la Nonnina, senza girare la testa.

— Ah! — annuì il mago.

Fissò con aria cupa l’acqua oleosa. A giudicare dall’odore salmastro ora si dovevano trovare fuori nella baia.

Del mare lo terrorizzava il pensiero che l’acqua fosse la sola cosa tra lui e gli esseri orribili che vivevano nelle sue profondità. Sicuro, sapeva che logicamente l’unica cosa che lo separava da lui e, diciamo, le tigri mangiatrici d’uomini delle giungle di Klatch era soltanto la distanza. Ma non era affatto lo stesso. Le tigri non sorgevano dai freddi abissi, con le bocche piene di denti aguzzi…

Rabbrividì.

— Non senti? — gli chiese la strega. — Si sente nell’aria. Magia! Sta filtrando da qualche cosa.

— In realtà non è solubile nell’acqua. — Tagliangolo schioccò una volta o due le labbra. In effetti la nebbia aveva un gusto di latta e nell’aria c’era una certa oleosità, doveva ammetterlo.

La Nonnina replicò severamente: — Tu sei un mago. Non sei capace di evocarla o roba del genere?

— Una questione simile non si è mai posta — rispose lui. — I maghi non gettano via le loro verghe.

— È qui da qualche parte. Aiutami a cercarla, uomo! — gli ordinò la vecchia.

Tagliangolo ebbe un gemito. Era stata una lunga notte e prima di cimentarsi ancora con la magia, gli occorrevano dodici ore di sonno, dei buoni pasti e un pomeriggio tranquillo davanti a un grande fuoco. Si stava facendo troppo vecchio, ecco il guaio. Ma chiuse gli occhi e si concentrò.

Era vero, intorno c’era della magia. Esistono dei luoghi dove la magia si accumula naturalmente. Essa si ammassa intorno ai giacimenti di ottirone, il metallo transmondano, nel legno di certi alberi, nei laghi isolati. Volteggia impalpabile nel mondo e gli esperti in materia possono catturarla ed immagazzinarla. Nella zona esisteva infatti uno di tali magazzini.

— È potente. Molto potente. — Tagliangolo si portò le mani alle tempie.

— Si sta facendo maledettamente freddo — disse la Nonnina. La pioggia insistente si era tramutata in neve.

Nel mondo si produsse un cambiamento improvviso. La barca si arrestò, senza una scossa, ma come se il mare avesse a un tratto deciso di diventare solido. La Nonnina guardò fuori dal bordo.

Il mare era diventato solido. Il rumore delle onde veniva da una grande distanza e si allontanava sempre di più.

La vecchia strega si chinò fuori del bordo e batté sull’acqua.

— Ghiaccio — annunciò. La barca era immobile in un oceano di ghiaccio. Che scricchiolava in modo sinistro.

Tagliangolo annuì lentamente.

— È logico — disse. — Se loro sono… dove pensiamo che siano, allora fa molto freddo. Fredda come la notte tra le stelle, dicono. Così anche la verga lo sente.

— Giusto. — La Nonnina scese dalla barca. — Non ci resta che trovare il centro del ghiaccio e lì c’è la verga, giusto?

— Sapevo che l’avresti detto. Posso almeno rimettermi gli stivali?

Presero a vagare sulla distesa di onde ghiacciate, con il mago che ogni tanto si fermava per cercare di individuare la posizione esatta della verga. I vestiti gli si gelavano addosso. I denti gli battevano.

— Non hai freddo? — chiese alla Nonnina, il cui abito scricciolava mentre camminava.

— Ho freddo — ammise lei. — Solo che non rabbrividisco.

— Quando ero ragazzo, i nostri inverni erano come questo — disse Tagliangolo, soffiandosi sulle dita. — Praticamente ad Ankh non nevica mai.

— Davvero — disse distratta la Nonnina, che si sforzava di penetrare con lo sguardo la nebbia gelida.

— C’era la neve sulle cime delle montagne tutto l’anno, ricordo. Oh, non ci sono più le temperature che c’erano quand’ero ragazzetto.

— Fino a questo momento almeno — aggiunse, battendo i piedi sul ghiaccio. Questo scricchiolò minaccioso e gli ricordò che era tutto ciò che lo separava dagli abissi marini. Batté di nuovo i piedi, ma questa volta il più delicatamente possibile.

— Quali sono queste montagne? — gli domandò la Nonnina.

— Oh, le Ramtop. Su verso il Centro. Un posto chiamato Collo d’Ottone.

La Nonnina muoveva le labbra. — Tagliangolo, Tagliangolo — disse piano. — C’è una parentela con il vecchio Aktur Tagliangolo. che viveva in una grande casa antica sotto la Montagna del Salto? Aveva un sacco di figli.

— Mio padre. Come mai lo sai?

— Sono cresciuta lassù — rispose lei, resistendo alla tentazione di sorridere come chi la sa lunga. — La vallata vicina. Cattivo-Somaro. Mi ricordo di tua madre. Una brava donna, allevava galline bianche e marroni, e io ero solita salire lassù per comprare le uova per la mia mamma. Questo, naturalmente, accadeva prima della mia vocazione di diventare una strega.

— Io non ti ricordo. Certo, è stato tanto tempo fa. A casa nostra c’erano sempre un sacco di ragazzini. — Sospirò. — Può darsi che una volta ti tiravo i capelli. Era una mia abitudine.

— Forse. Io mi ricordo di un ragazzetto grasso. Piuttosto antipatico.

— Potevo essere io. A me sembra di ricordare una ragazzina prepotente, ma è stato tanto tempo fa. Tanto tempo fa.

— Non avevo i capelli bianchi allora — disse la Nonnina.

— A quell’epoca, ogni cosa aveva un colore diverso.

— Questo è vero.

— D’estate non pioveva tanto.

— I tramonti erano più rossi.

— C’erano più vecchi. Il mondo ne era pieno — affermò il mago.

— Già, lo so. E adesso è pieno di giovani. Strano, davvero, si crederebbe che fosse il contrario.

— Anche l’aria era migliore. Era più facile respirare — aggiunse Tagliangolo. Continuarono a camminare faticosamente in mezzo al turbinio della neve e intanto riflettevano sulle strane vie del Tempo e della Natura.

— Sei mai tornato a casa? — chiese la Nonnina.

L’altro scrollò le spalle. — Quando morì mio padre. Strano, non ho mai raccontato questo a nessuno, ma… be’, c’erano i miei fratelli (perché io sono l’ottavo figlio, naturalmente), e avevano figli e anche nipoti. E nessuno di loro è capace di scrivere il proprio nome. Mi sarei potuto comperare l’intero villaggio. E loro mi trattavano come un re, ma… Voglio dire, sono stato in luoghi e visto cose che li farebbero rabbrividire, ho affrontato creature più terribili dei loro incubi, conosco segreti noti a molto pochi…

— Ti sentivi tagliato fuori. Non c’è nulla di strano in questo — lo assicurò lei. — Succede a tutti noi. È stata una nostra scelta.

— I maghi non dovrebbero mai andare a casa — dichiarò Tagliangolo.

La Nonnina non era d’accordo. — Non credo che possono andare a casa. Non è possibile attraversare lo stesso fiume due volte, dico sempre io.

Dopo averci pensato, l’altro ribatté: — Qui penso che ti sbagli. Io devo avere attraversato lo stesso fiume, oh, migliaia di volte.

— Ah, ma non era lo stesso fiume.

— Non era?

— No.