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La vecchia strega si chinò fuori del bordo e batté sull’acqua.

— Ghiaccio — annunciò. La barca era immobile in un oceano di ghiaccio. Che scricchiolava in modo sinistro.

Tagliangolo annuì lentamente.

— È logico — disse. — Se loro sono… dove pensiamo che siano, allora fa molto freddo. Fredda come la notte tra le stelle, dicono. Così anche la verga lo sente.

— Giusto. — La Nonnina scese dalla barca. — Non ci resta che trovare il centro del ghiaccio e lì c’è la verga, giusto?

— Sapevo che l’avresti detto. Posso almeno rimettermi gli stivali?

Presero a vagare sulla distesa di onde ghiacciate, con il mago che ogni tanto si fermava per cercare di individuare la posizione esatta della verga. I vestiti gli si gelavano addosso. I denti gli battevano.

— Non hai freddo? — chiese alla Nonnina, il cui abito scricciolava mentre camminava.

— Ho freddo — ammise lei. — Solo che non rabbrividisco.

— Quando ero ragazzo, i nostri inverni erano come questo — disse Tagliangolo, soffiandosi sulle dita. — Praticamente ad Ankh non nevica mai.

— Davvero — disse distratta la Nonnina, che si sforzava di penetrare con lo sguardo la nebbia gelida.

— C’era la neve sulle cime delle montagne tutto l’anno, ricordo. Oh, non ci sono più le temperature che c’erano quand’ero ragazzetto.

— Fino a questo momento almeno — aggiunse, battendo i piedi sul ghiaccio. Questo scricchiolò minaccioso e gli ricordò che era tutto ciò che lo separava dagli abissi marini. Batté di nuovo i piedi, ma questa volta il più delicatamente possibile.

— Quali sono queste montagne? — gli domandò la Nonnina.

— Oh, le Ramtop. Su verso il Centro. Un posto chiamato Collo d’Ottone.

La Nonnina muoveva le labbra. — Tagliangolo, Tagliangolo — disse piano. — C’è una parentela con il vecchio Aktur Tagliangolo. che viveva in una grande casa antica sotto la Montagna del Salto? Aveva un sacco di figli.

— Mio padre. Come mai lo sai?

— Sono cresciuta lassù — rispose lei, resistendo alla tentazione di sorridere come chi la sa lunga. — La vallata vicina. Cattivo-Somaro. Mi ricordo di tua madre. Una brava donna, allevava galline bianche e marroni, e io ero solita salire lassù per comprare le uova per la mia mamma. Questo, naturalmente, accadeva prima della mia vocazione di diventare una strega.

— Io non ti ricordo. Certo, è stato tanto tempo fa. A casa nostra c’erano sempre un sacco di ragazzini. — Sospirò. — Può darsi che una volta ti tiravo i capelli. Era una mia abitudine.

— Forse. Io mi ricordo di un ragazzetto grasso. Piuttosto antipatico.

— Potevo essere io. A me sembra di ricordare una ragazzina prepotente, ma è stato tanto tempo fa. Tanto tempo fa.

— Non avevo i capelli bianchi allora — disse la Nonnina.

— A quell’epoca, ogni cosa aveva un colore diverso.

— Questo è vero.

— D’estate non pioveva tanto.

— I tramonti erano più rossi.

— C’erano più vecchi. Il mondo ne era pieno — affermò il mago.

— Già, lo so. E adesso è pieno di giovani. Strano, davvero, si crederebbe che fosse il contrario.

— Anche l’aria era migliore. Era più facile respirare — aggiunse Tagliangolo. Continuarono a camminare faticosamente in mezzo al turbinio della neve e intanto riflettevano sulle strane vie del Tempo e della Natura.

— Sei mai tornato a casa? — chiese la Nonnina.

L’altro scrollò le spalle. — Quando morì mio padre. Strano, non ho mai raccontato questo a nessuno, ma… be’, c’erano i miei fratelli (perché io sono l’ottavo figlio, naturalmente), e avevano figli e anche nipoti. E nessuno di loro è capace di scrivere il proprio nome. Mi sarei potuto comperare l’intero villaggio. E loro mi trattavano come un re, ma… Voglio dire, sono stato in luoghi e visto cose che li farebbero rabbrividire, ho affrontato creature più terribili dei loro incubi, conosco segreti noti a molto pochi…

— Ti sentivi tagliato fuori. Non c’è nulla di strano in questo — lo assicurò lei. — Succede a tutti noi. È stata una nostra scelta.

— I maghi non dovrebbero mai andare a casa — dichiarò Tagliangolo.

La Nonnina non era d’accordo. — Non credo che possono andare a casa. Non è possibile attraversare lo stesso fiume due volte, dico sempre io.

Dopo averci pensato, l’altro ribatté: — Qui penso che ti sbagli. Io devo avere attraversato lo stesso fiume, oh, migliaia di volte.

— Ah, ma non era lo stesso fiume.

— Non era?

— No.

Lui alzò le spalle. — Sembrava lo stesso dannato fiume.

— Non c’è bisogno di prendere quel tono — lo rimproverò la vecchia. — Non vedo perché dovrei ascoltare un simile linguaggio da un mago che non può nemmeno rispondere alle lettere.

Seguì un silenzio, rotto soltanto dal rumore di nacchere dei denti di Tagliangolo.

— Oh, capisco — disse alla fine. — Venivano da te, è così?

— Esatto. Le ho firmate in fondo. Questo dovrebbe essere una specie di indizio, no?

— Va bene, va bene. Pensavo che fossero uno scherzo, ecco tutto — disse lui di malumore.

— Uno scherzo?

— Non riceviamo molte domande di ammissione da parte di donne. Non ne riceviamo nessuna.

— Mi domandavo perché non avevo risposta.

— Le ho gettate via, se proprio vuoi saperlo.

— Avresti almeno potuto… eccola lì!

— Dove? Dove? Oh, lì!

La nebbia si aprì e adesso la videro chiaramente… uno zampillo di fiocchi di neve, una colonna ornamentale di aria ghiacciata. E sotto…

La verga non era racchiusa nel ghiaccio, ma era tranquillamente distesa in una polla d’acqua ribollente.

Uno degli aspetti insoliti di un universo magico è l’esistenza degli opposti. Si è già detto che il buio non è il contrario della luce, è semplicemente l’assenza della luce. Allo stesso modo, lo zero assoluto è semplicemente l’assenza del calore. Se volete conoscere cos’è il vero freddo, il freddo così intenso che l’acqua non può nemmeno congelarsi ma anti-bolle, limitatevi ad osservare quella polla.

I due rimasero a guardarla in silenzio per qualche secondo, dimentichi del loro battibecco.

Poi Tagliangolo disse lentamente: — Se ci infili la mano, le dita ti salteranno via come carote.

— Credi di essere in grado di sollevarla con la magia? — gli chiese la Nonnina.

Tagliangolo si mise a tastarsi le tasche e alla fine tirò fuori la sua borsa del tabacco. Distribuì con dita esperte i resti di pochi mozziconi su una nuova cartina e la leccò per farne una sigaretta, senza mai distogliere gli occhi dalla verga.

— No. Ma ci proverò comunque.

Dopo un’occhiata bramosa alla sigaretta, se la infilò dietro l’orecchio. Tese le mani, a dita aperte, e le sue labbra si mossero senza suono per pronunciare una formula di potere.

La verga roteò nella polla, quindi si sollevò adagio dal ghiaccio, dove diventò immediatamente il centro di un bozzolo di aria ghiacciata. Tagliangolo gemeva dallo sforzo. La levitazione diretta è la più difficile delle pratiche magiche. C’è infatti il pericolo sempre presente del ben noto principio di azione e reazione. Ciò significa che un mago, il quale tenti di sollevare un oggetto pesante con il solo potere della mente, si trova di fronte alla prospettiva di finire con il cervello dentro gli stivali.

— Riesci a farla stare diritta? — chiese la Nonnina.

Con grande delicatezza la verga girò lenta nell’aria finché rimase sospesa di fronte alla vecchia, a qualche centimetro dal ghiaccio. Il gelo brillava sulle sue incisioni. Attraverso la nebbia rossastra dell’emicrania che gli velava gli occhi, sembrò a Tagliangolo che la verga lo guardasse. Con risentimento.

La Nonnina si aggiustò il cappello e si raddrizzò con aria decisa.

— Bene - disse.

Tagliangolo oscillò. Il tono di voce di lei lo trapassò come un seghetto da diamanti. Ricordava confusamente sua madre che lo sgridava da piccolo. Ebbene, la voce era la stessa, solo più raffinata concentrata arrotata con schegge di carborundo. Un tono di comando che avrebbe fatto mettere sull’attenti un cadavere e probabilmente lo avrebbe fatto marciare per metà cimitero, prima di ricordarsi di essere morto.