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Scese dal tavolo goffamente e sguazzò nelle acque scure e vorticose. Be’ lui aveva fatto del suo meglio. Aveva cercato di convincere i maghi anziani a riparare il tetto con la magia. Ma dopo avere discusso senza costrutto degli incantesimi da usare, loro si erano trovati unanimi nel sostenere che in ogni caso quello era lavoro da artigiani.

"Eccoli lì, i maghi" pensava cupamente mentre passava sotto gli archi gocciolanti "sempre a scandagliare l’infinito e a non curarsi mai del definito. Specie in materia di lavori domestici. Non abbiamo mai avuto questi guai prima dell’arrivo di quella donna."

Con l’acqua che gli faceva ciac ciac nelle scarpe, prese a salire la scala illuminata in quel momento da un lampo particolarmente violento. Aveva la sgradevole certezza che, mentre nessuno avrebbe potuto biasimarlo per quel putiferio, tutti l’avrebbero fatto. Sollevò l’orlo della veste e lo strizzò sconsolato, poi tirò fuori la sua borsa del tabacco.

Era una bella borsa verde impermeabile. Con il risultato che tutta l’acqua che ci era entrata, non poteva uscirne. Una cosa indescrivibile.

Trovò il suo pacchetto di cartine. Si erano sciolte in un ammasso. Come la leggendaria banconota da una sterlina trovata nelle tasche posteriori dei pantaloni, dopo essere stati lavati, centrifugati, asciugati e stirati.

— Accidenti! — imprecò con tutti i sentimenti.

— Ehi! Treatle!

Treatle si guardò intorno. Era stato l’ultimo a lasciare la sala, dove ora perfino le panche cominciavano a galleggiare. I punti dove la magia filtrava su dalle cantine erano indicati da mulinelli e piccole pozze gorgoglianti, ma non si vedeva nessuno.

A meno che, naturalmente, una delle statue avesse parlato. Erano troppo pesanti da rimuovere e Treatle ricordava di avere detto agli studenti che una bella lavata probabilmente gli avrebbe fatto bene.

Guardando adesso i loro visi severi, lo rimpianse. Le statue di maghi defunti, e un tempo molto potenti, parevano a volte più realistiche di quanto le statue abbiano il diritto di essere. Forse avrebbe dovuto parlare a voce bassa.

— Sì? — si arrischiò a rispondere, acutamente conscio dei loro sguardi di pietra.

— Quassù, sciocco!

Lui alzò gli occhi. La scopa scendeva pesantemente nella pioggia con una serie di scatti e di giravolte. A circa un metro e mezzo dall’acqua, perse quel po’ che le restava di pretese aeree e cadde con un tonfo dentro un mulinello.

— Non startene lì in piedi, idiota!

Treatle sbirciò nervosamente nella semioscurità.

— Devo pure stare da qualche parte — protestò.

— Voglio dire, dacci una mano! — scattò Tagliangolo, che sorgeva dalle ondine come una Venere grassa e arrabbiata. — Prima la signora, naturalmente.

Si voltò verso la Nonnina, che stava pescando nell’acqua intorno.

— Ho perduto il mio cappello — annunciò.

L’Arcicancelliere se ne uscì in un sospiro. — Ha davvero importanza in un momento come questo?

— Una strega deve avere il suo cappello, altrimenti chi la riconosce? — ribatté lei. Allungò la mano per afferrare un oggetto scuro e fradicio che scivolava via, chiocciò trionfante, lo vuotò dall’acqua e se lo calcò sulla testa. Il cappello avendo perduto la rigidezza, le ricadde molle su un occhio dandole un’aria sbarazzina.

— Bene — disse la Nonnina. Il suo tono di voce stava a indicare che l’universo intero avrebbe fatto meglio a stare attento.

In quel preciso momento un lampo mandò un altro vivido bagliore. Il che dimostra che anche gli dei meteorologici hanno un senso teatrale ben sviluppato.

— Ti sta piuttosto bene — commentò Tagliangolo.

— Scusami — disse Treatle — ma non è lei la d…

— Non ti preoccupare — lo rassicurò Tagliangolo. Prese la Nonnina per mano e l’aiutò a salire i gradini. Agitò la verga.

— Ma è contro le nostre tradizioni permettere a una d…

S’interruppe per guardare la Nonnina che toccava la parete umida vicino alla porta. Tagliangolo gli batté sul petto.

— Dimmi dove sta scritto — disse.

— Sono nella Biblioteca — interloquì la Nonnina.

— Era l’unico posto asciutto — disse Treatle — ma…

— Questo edificio ha paura dei temporali — dichiarò la vecchia. — Gli farebbe bene essere confortato.

— Ma le tradizioni… — ripeté disperato Treatle.

La Nonnina percorreva già a grandi passi il corridoio, con Tagliangolo che le trotterellava dietro. Si voltò.

— Hai sentito la signora — disse.

Treatle, a bocca aperta, li guardò allontanarsi. Il rumore dei loro passi svanì in lontananza. Lui rimase in silenzio per un momento a riflettere sulla vita e a chiedersi dove avesse sbagliato nella sua.

Comunque, non voleva essere accusato di disubbidienza.

Senza sapere esattamente perché, allungò una mano con estrema cautela e diede un colpetto amichevole alla parete.

— Là, là — esclamò.

Strano a dirsi, si sentì molto meglio.

A Tagliangolo venne fatto di pensare che sarebbe spettato a lui fare strada, trovandosi nel proprio ambiente. Ma un nicotinomane quasi all’ultimo stadio non poteva competere con la Nonnina, che aveva fretta. E, per tenere il passo, doveva avanzare a saltelli come un granchio.

— È da questa parte — disse, sguazzando nelle pozzanghere.

— Lo so. Me l’ha detto l’edificio.

— Già, volevo domandartelo. Perché, vedi, io ho vissuto qui per anni e a me non ha mai detto niente.

— Lo hai mai ascoltato?

— Non esattamente ascoltato, no — ammise Tagliangolo. — Non così.

— Be’ allora. — La Nonnina si appiattì a! muro per superare una cascata dove prima si trovava la scala per la cucina (il bucato della signora Whitlow non sarebbe più stato lo stesso). — Credo che sia quassù e lungo il corridoio, vero?

Passò accanto a un terzetto di maghi, sorpresi dalla sua vista e addirittura esterrefatti da quella del suo cappello.

Tagliangolo le ansimava dietro e. alla porta della Biblioteca, la afferrò per un braccio.

— Ascolta — disse disperato. — Senza offesa, signorina… uhm, signora…

— Penso che ora sarà sufficiente Esmerelda. Con il fatto che abbiamo condiviso una scopa e tutto…

— Posso passare avanti? È la mia Biblioteca — la supplicò.

La Nonnina si girò a guardarlo. Era la sorpresa personificata. Poi sorrise.

— Naturale. Mi dispiace tanto.

— Per amore delle apparenze, capisci — si scusò Tagliangolo.

Aprì la porta.

La Biblioteca era piena di maghi. Loro tengono ai libri come le formiche tengono alle loro uova e, nei momenti difficili, li portano in giro pressappoco nello stesso modo. L’acqua cominciava a entrare perfino lì, e spuntava nei posti più curiosi, a causa degli strani effetti gravitazionali della Biblioteca. Tutti gli scaffali più bassi erano stati vuotati e studenti e maghi si davano il cambio per ammucchiare i volumi su ogni tavolo e ogni scaffale asciutti e ancora disponibili. L’aria risuonava del fruscio incollerito delle pagine, che quasi copriva la furia lontana del temporale.

La situazione evidentemente sconvolgeva il bibliotecario, che correva da un mago all’altro, tirandoli per le tuniche senza ottenere alcun risultato, e gridando "ook".

Appena scorse Tagliangolo, gli si avvicinò rapido appoggiandosi sulle nocche. La Nonnina non aveva mai visto prima un orangutan, ma non era disposta ad ammetterlo. Rimase pertanto calmissima davanti a un ometto col pancione e una pelle taglia 12 su un corpo taglia 8.

— Ook — spiegò quello — ook.

— Suppongo di sì — tagliò corto Tagliangolo e afferrò il mago più vicino, che vacillava sotto il peso di una dozzina di lessici. L’uomo lo fissò come se fosse stato un fantasma, scorse con la coda dell’occhio la Nonnina e lasciò cadere i libri per terra. Il bibliotecario trasalì.