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Davanti a loro, le Creature, nella loro fretta d’indietreggiare cadevano le une sulle altre.

Simon guardò la verga, poi Esk. poi le Creature, quindi di nuovo la verga.

— Le tue parole richiedono un bel po’ di riflessione — disse alla fine incerto. — Vorrei capire fino in fondo.

— Ci riuscirai benissimo.

— Perché tu affermi che il vero potere consiste nel penetrare nella magia e uscirne dall’altra parte.

— Però funziona, no?

Adesso erano soli sulla fredda distesa. Le Creature erano lontane, pupazzetti disegnati dai bambini.

— Mi domando se è questo che loro intendono per sortilegio? — disse Simon.

— Non lo so. Può essere.

— Mi piacerebbe veramente trovare la spiegazione — ripeté il ragazzo, rigirando la verga nelle mani. — Sai, potremmo fare degli esperimenti sul fatto di non usare deliberatamente la magia. Potremmo non disegnare un ottogramma sul pavimento. E potremmo volontariamente non evocare ogni sorta di cose e… sudo soltanto a pensarci!

— A me piacerebbe pensare come fare per tornare a casa — disse Esk, con lo sguardo fisso alla piramide.

— Be’, questa dovrebbe essere la mia idea del mondo. Dunque dovrei essere capace di trovare il modo. Come fai questo trucco con le mani?

Avvicinò le sue. E la verga gli scivolò tra le dita, brillando per un attimo, prima di scomparire. Simon fece un sorrisetto soddisfatto.

— Bene. Adesso non dobbiamo fare altro che cercare l’Università.

Tagliangolo accese la sua terza cicca dal mozzicone della seconda. Questa ultima sigaretta doveva molto al potere creativo dell’energia nervosa: assomigliava a un cammello con le gambe tagliate.

Aveva visto la verga sollevarsi piano da Esk e atterrare su Simon.

Adesso galleggiava di nuovo nell’aria.

Nella stanza si affollavano altri maghi. Il bibliotecario sedeva sotto il tavolo.

— Se soltanto avessimo una qualche idea di ciò che sta succedendo — esclamò Tagliangolo. — E la suspense che non sopporto.

— Pensa in modo positivo, uomo — scattò la Nonnina. — E spegni quella dannata sigaretta. Non riesco a immaginare che qualcuno desideri tornare in una stanza che sembra un caminetto.

Tutti i maghi si volsero, come un solo uomo, a guardare l’Arcicancelliere, in attesa della sua reazione.

Lui si tolse di bocca la cicca informe e la spense sotto il piede, con una occhiata minacciosa che fece abbassare lo sguardo agli altri.

— Probabilmente è tempo che io smetta comunque — disse. — E questo vale anche per tutti voi. Qualche volta questo posto è peggio di un cenerario.

Poi vide la verga. Era…

Il solo modo in cui avrebbe potuto descrivere l’effetto, era che pareva spostarsi rapidissima restando esattamente allo stesso posto.

Lingue fiammeggianti di gas (posto che fosse gas) si sprigionavano dalla verga e svanivano. Sfavillava come una cometa disegnata da un poco abile esperto in effetti speciali. Scintille colorate ne sprizzavano e poi scomparivano da qualche parte.

Cambiava anche colore: da un rosso opaco, su per tutto lo spettro fino a diventare di un violetto malsano. Per tutta la sua lunghezza, corruscanti serpenti di fuoco bianco.

("Dovrebbe esserci un termine per le parole che suonano come suonerebbero le parole se avessero la voce" pensò. "La parola ’brillare’, per esempio, brilla davvero oleosa. E se mai esistesse una parola che desse esattamente l’impressione delle scintille che guizzano su per la carta che brucia. O come le luci delle città risplenderebbero nel mondo se l’intera civiltà umana fosse stipata in una unica notte, allora ’corruscanti’ sarebbe il solo termine adatto.")

Sapeva che cosa sarebbe accaduto.

— Guardate — bisbigliò. — Sta per…

In un silenzio totale, quel genere di silenzio che aspira tutti i suoni e li soffoca, la verga brillò della luce dell’ottarino in tutta la sua lunghezza.

L’ottavo colore, prodotto dalla luce che attraversa un forte campo magico, brillò attraverso i corpi, gli scaffali dei libri, le pareti. Altri colori si confusero e si mescolarono, come se la luce fosse un bicchiere di gin versato sull’acquerello del mondo. Sopra l’Università, le nuvole si fecero brillanti, si torsero in forme affascinanti e impreviste, e fluttuarono in alto.

Un osservatore, piazzato al di sopra del Disco, avrebbe scorto un piccolo tratto di terra vicino al Mare Circolare splendere come un gioiello per diversi secondi e poi spegnersi.

Nella stanza il silenzio fu rotto dal tonfo della verga che, precipitando dall’aria, rimbalzò sul tavolo di legno.

Qualcuno disse: — Ook — con una voce flebile.

Tagliangolo si ricordò alla fine come servirsi delle mani e le sollevò fino all’altezza dove sperava ci fossero i suoi occhi. Tutto era diventato nero.

— C’è… qualcun’altro? — chiese.

— Dei, non sai quanto sono contento di sentirtelo dire — pronunciò un’altra voce.

D’improvviso il silenzio si tramutò in un brusio.

— Ci troviamo ancora dove eravamo?

— Non lo so. Dove eravamo?

— Qui, credo.

— Non puoi allungare una mano?

— Non finché non sono assolutamente sicura di ciò che toccherò, buon uomo. — Era la voce inconfondibile di Nonnina Weatherwax.

— Tutti cerchino di allungare una mano — disse Tagliangolo e soffocò un urlo sentendo una mano simile a un caldo guanto di pelle chiudersi intorno alla sua caviglia. Si udì un piccolo "ook" soddisfatto, che riuscì a esprimere il sollievo, il conforto e la pura gioia di toccare un altro essere umano o, in quel caso, antropoide.

Uno sfregamento e quindi una fiammella benedetta di luce rossa: in fondo alla stanza uno dei maghi si era acceso una sigaretta.

— Chi è stato?

— Mi rincresce, Arcicancelliere, la forza dell’abitudine.

— Fuma quanto ti pare, uomo.

— Grazie, Arcicancelliere.

— Mi pare di scorgere adesso il contorno della porta — disse un’altra voce.

— Nonnina?

— Sì, posso chiaramente vedere…

— Esk?

— Sono qui, Nonnina.

— Posso fumare anche io, signore?

— Il ragazzo è con te?

— Sì.

— Ook.

— Sono qui.

— Che succede?

— Smettete tutti di parlare!

Nella Biblioteca tornò la luce normale, che non feriva gli occhi. Esk si sedette, facendo spostare la verga che rotolò sotto il tavolo. Sentì qualcosa scivolarle sugli occhi e alzò la mano per toccarla.

— Solo un momento. — La Nonnina si slanciò in avanti, afferrò la bambina per le spalle e la fissò negli occhi.

— Bentornata — disse e la baciò.

Esk alzò una mano e sentì un oggetto duro sulla sua testa. Se lo tolse per esaminarlo.

Era un cappello a cono, un po’ più piccolo di quello della Nonnina, ma di un vivido azzurro con su dipinte due stelle d’argento.

— Un cappello da mago? — esclamò. Tagliangolo si fece avanti.

— Ah, sì. — Si schiarì la gola. — Vedi, abbiamo pensato… ci è sembrato… comunque, quanto ci abbia riflettuto…

— Sei un mago — affermò semplicemente la Nonnina. — L’Arcicancelliere ha cambiato le tradizioni. In realtà, è stata una cerimonia niente affatto complicata.

— Qui da qualche parte ci deve essere la verga — aggiunse Tagliangolo. — L’ho vista cadere… ah!

Si raddrizzò con la verga in mano e la mostrò alla vecchia.

— Credevo che ci fossero sopra delle incisioni — osservò. — Questa ha l’aspetto di un semplice bastone. — Ed era proprio così. La verga appariva minacciosa e potente quanto un pezzo di legna da ardere.

Esk rigirava il cappello nelle mani, allo stesso modo di chi, aprendo il proverbiale pacchetto sfarzosamente confezionato, trova dei sali da bagno.

— È molto carino — disse in tono incerto.

— È tutto quello che sai dire? — chiese la Nonnina.

— È anche a punta. — In qualche modo, essere un mago non le faceva provare alcuna differenza dal non esserlo.