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Il Capitano Thorne, che a volte fungeva da aiutante di campo di Miles, emerse con passo affrettato dal miscuglio di bagliori e di ombre cupe, fiancheggiato da uno dei medici di bordo e… a Dio piacendo… da un soldato che portava gli abiti e gli stivali di Miles. Questi si tuffò verso gli stivali, ma fu invece catturato dal medico prima di raggiungerli.

Il dottore gli passò un paralizzatore medico fra le scapole nude e ineguali e lo fece seguire da un trattore manuale.

– Accidenti! – strillò Miles. – Non poteva aspettare un dannato secondo perché avesse inizio l'effetto del paralizzatore? E cosa significa tutto questo? – chiese, palpandosi il danno con la mano sinistra mentre il dolore cominciava già a svanire.

– Mi dispiace, signore – replicò il medico, senza eccessiva sincerità. – La smetta di toccarsi… ha le mani sporche – aggiunse, applicando una plastibenda… il rango aveva i suoi privilegi, dopo tutto. – Il Capitano Bothari-Jasek e il Comandante Quinn hanno appreso dagli altri controllori Cetagandani addetti ai monitor della prigione qualcosa che non sapevamo prima che lei entrasse nel campo, e cioè che questi numeri sono permeati da gocce di una sostanza le cui membrane lipidiche sono tenute allineate da un campo magnetico a bassa potenza che i Cetagandani generano nella cupola. Se si trascorre un'ora fuori della cupola le membrane cominciano a cedere e a liberare un veleno, e circa quattro ore più tardi il soggetto muore… in maniera molto sgradevole. Suppongo fosse una piccola garanzia ulteriore contro eventuali fughe.

– Capisco – mormorò Miles, con un brivido, poi si schiarì la gola e aggiunse, in tono più deciso: – Capitano Thorne, registri una nota di merito… con i massimi onori… per il Comandante Elli Quinn e il Capitano Elena Bothari-Jasek. Il servizio segreto del nostro… datore di lavoro ignorava questo particolare, anzi pare che i dati da esso raccolti fossero carenti sotto numerosi aspetti. Dovrò parlare con i responsabili… e in tono deciso… quando presenterò il conto spese per quest'operazione. Prima di mettere via il paralizzatore, dottore, mi anestetizzi la mano, per favore – concluse, protendendo là destra perché il medico la esaminasse.

– Lo ha fatto di nuovo, vero? – borbottò il dottore. – Quando imparerà…

Un passaggio del paralizzatore medico fu sufficiente a far scomparire la consapevolezza della mano gonfia dalla sfera percettiva di Miles: soltanto i suoi occhi, adesso, gli garantivano che essa era ancora attaccata al braccio.

– Sì, ma chi ci ha assunti sarà disposto a pagare per l'ampliamento dell'operazione? – chiese ansiosamente Thorne. – Questa storia era cominciata come una rapida azione lampo per tirare fuori un solo uomo, proprio il genere di cose in cui si specializzano organizzazioni come la nostra… mentre adesso vi è impegnata l'intera flotta dendarii. Questi dannati prigionieri sono più numerosi di noi nella misura di due a uno, il che non era previsto nel contratto originale. E se il nostro perennemente misterioso datore di lavoro decidesse di non pagarci?

– Non lo farà, hai la mia parola – replicò Miles. – Però… non ci sono dubbi sul fatto che dovrò andare a presentare il conto di persona.

– Dio li aiuti, allora – borbottò il medico, poi si allontanò per continuare a liberare dai numeri i prigionieri in attesa.

Il Commodoro Ky Tung, un tozzo Euroasiatico di mezz'età in armatura parziale e con una cuffia di comunicazione di comando, si materializzò accanto a Miles mentre le prime navette cariche di prigionieri chiudevano i portelli e salivano stridendo attraverso la nebbia scura, decollando senza una formazione precisa a mano a mano che avevano ultimato il carico. Conoscendo la predilezione di Tung per le formazioni serrate e ordinate, Miles dedusse da questo che il tempo doveva essere il fattore limitante più pericoloso.

– Su cosa stiamo caricando quella gente, lassù? – chiese a Tung.

– Abbiamo sventrato un paio di navi da carico usate e adesso possiamo ficcare circa 5000 persone nella stiva di ciascuna. Il viaggio per andare via di qui sarà rapido e sgradevole, e quella gente dovrà stare distesa e respirare il meno possibile.

– Cosa stanno mettendo insieme i Cetagandani per darci la caccia?

– Per ora poco più delle navette della polizia locale. Si dà infatti il caso che la maggior parte del loro contingente spaziale militare locale si trovi adesso dalla parte opposta del loro sole, il che spiega perché abbiamo scelto proprio questo momento per arrivare… abbiamo dovuto aspettare che riprendessero le loro manovre pratiche, nel caso cominciassi a chiederti cosa ci tratteneva. In altre parole, abbiamo mantenuto il piano originale per prelevare il Colonnello Tremont.

– Soltanto che ora è stato espanso secondo un fattore di 10.000 teste… e che dovremo effettuare almeno quattro viaggi invece di uno, giusto? – replicò Miles.

– Sì, ma senti questa – sogghignò Tung. – I Cetagandani hanno piazzato il loro campo di prigionia su questo miserabile avamposto planetario al fine di non dover impiegare troppe truppe e apparecchiature per la sorveglianza… contavano sulla distanza da Marilac e sull'andamento negativo della guerra laggiù per scoraggiare eventuali tentativi di salvataggio. Nel periodo che tu hai trascorso nel campo, però, metà del loro originale complemento di guardie è stato trasferito in altri punti caldi. La metà!

– Facevano affidamento sulla cupola – completò Miles, al suo posto, poi aggiunse, in tono più sommesso: – E quali sono le cattive notizie?

– Questa volta – replicò Tung, il cui sorriso aveva assunto una sfumatura acida, – il nostro limite massimo di tempo è di due ore.

– Dannazione. La metà della loro flotta spaziale locale costituisce comunque un nemico troppo numeroso… e sarà di ritorno fra due ore?

– Adesso fra un'ora e quaranta minuti – lo corresse Tung, lanciando un'occhiata in tralice che tradì la posizione del suo orologio operativo, proiettato olograficamente dalla cuffia di comando in un angolo del suo campo visivo.

– Ce la faremo a prelevare l'ultimo carico? – domandò Miles a bassa voce, dopo aver effettuato mentalmente qualche calcolo.

– Dipende dalla rapidità con cui preleveremo i primi tre – rispose Tung, il cui volto era ancora più impassibile del solito e non tradiva né speranza né timore.

Il che a sua volta dipende dall'efficacia con cui io sono riuscito ad addestrarli tutti… Quel che era fatto era fatto e quel che sarebbe successo non era ancora avvenuto; con uno sforzo Miles riportò la propria attenzione sulle contingenze attuali.

– Avete già trovato Elli ed Elena? – chiese.

– Ci sono tre pattuglie che le stanno cercando.

Non le avevano ancora trovate… Miles sentì lo stomaco che gli si serrava.

– Non mi sarei mai sognato di espandere quest'operazione a metà del suo svolgimento se non avessi saputo che mi stavano tenendo sotto controllo e che sarebbero riuscite a tradurre in ordini i miei vaghi accenni.

– Li hanno tradotti nel modo giusto? – domandò Tung. – Abbiamo discusso in merito alla loro interpretazione dei tuoi discorsi a doppio senso riportati dai video.

– Li hanno interpretati benissimo – convenne Miles, guardandosi intorno. – Avete registrato dei video di tutto questo? – esclamò poi, abbracciando l'intero campo con un gesto stupito della mano.

– Abbiamo registrato quello che riguardava te, prelevando le immagini dai monitor dei Cetagandani… Elli ed Elena le trasmettevano quotidianamente, in codice. Molto… divertente, signore – concluse Tung, in tono blando.

Alcune persone, rifletté Miles, erano capaci di trovare divertente vedere qualcuno costretto a inghiottire lumache.

– Una cosa molto pericolosa – osservò ad alta voce. – Quando avete ricevuto la loro ultima comunicazione?