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Infine si lasciò cadere oltre il portello, tenendo stretta la cuffia e urlando ordini in essa.

– Decollare! Decollare! Decollo immediato! Andiamo!

– Chi parla? – domandò di rimando la voce del pilota.

– Naismith.

– Sì, signore.

La navetta si sollevò pesantemente da terra fra il ruggire dei motori prima ancora che la rampa venisse ritirata; intanto il meccanismo che doveva richiuderla cominciò ad operare faticosamente fra uno stridere di metallo e di plastica… soltanto per bloccarsi all'altezza della contorta linea lasciata dall'arco al plasma.

– Sigillate quel portello laggiù! – ululò la voce del pilota, attraverso la cuffia di comunicazione.

– La rampa è bloccata! – gridò Miles, di rimando. – Bisogna sganciarla!

Il meccanismo lanciò acuti stridii nell'operare in senso inverso, la rampa vibrò e tornò a bloccarsi, mentre parecchie mani si protendevano a picchiare freneticamente contro di essa.

– In quel modo non ce la farete mai! – gridò Beatrice, che si trovava dalla parte opposta del portello rispetto a Miles, e si girò in modo da poter scalciare con entrambi i piedi nudi, incurante del vento di corsa che penetrava dall'apertura e che faceva vibrare e ondeggiare la navetta come una bottiglia sulla cui sommità un gigante stesse soffiando con forza.

Fra un coro di grida, di imprecazioni e di colpi la navetta s'inclinò con improvvisa violenza su un fianco, facendo scivolare sul ponte uomini, donne e tutti i pezzi d'equipaggiamento non fissati. In quel momento un ennesimo calcio assestato da Beatrice con i piedi ormai sanguinanti ebbe ragione di un ultimo bullone distorto: la rampa finalmente si staccò, ma Beatrice scivolò e cadde nel vuoto con essa.

Miles si tuffò di traverso verso di lei, ma non seppe mai se riuscì anche soltanto a sfiorarla, perché la sua mano destra era una massa priva di sensibilità: ciò che vide fu soltanto la bianca chiazza indistinta del volto di lei che svaniva nell'oscurità sottostante.

Nella sua mente parve calare un profondo silenzio: anche se il ruggito del vento e dei motori e il frastuono di urla e di imprecazioni non erano diminuiti di intensità, quel rumore si perdeva in un punto imprecisato del tragitto dagli orecchi al cervello, che non lo registrava e che riusciva a vedere soltanto una chiazza bianca fagocitata dal buio… un'immagine che continuava a ripetersi come un video entrato in loop.

Si ritrovò accoccolato sulle mani e sulle ginocchia a causa dell'accelerazione della navetta che lo stava premendo contro il ponte; qualcuno era riuscito a chiudere il portello e il semplice vociare umano sembrava flebile e insignificante adesso che gli dèi erano stati messi a tacere. Sollevando lo sguardo scorse il volto pallido del luogotenente di Pitt, che era accoccolato accanto a lui e stringeva ancora in pugno l'arma dendarii che aveva raccolto in quella che sembrava un'altra vita.

– Farai bene ad uccidere un mucchio di Cetagandani per Marilac, ragazzo – gli disse dopo un momento, con voce rauca. – E mi auguro che tu dimostri di valere qualcosa per qualcuno, perché di certo ho pagato un prezzo troppo alto per te.

L'uomo contrasse il volto in una smorfia incerta, troppo intimorito anche per apparire contrito, e Miles si chiese quale espressione dovesse avere la propria faccia… di certo era strana, molto strana, a giudicare da quella reazione.

Cominciò quindi a strisciare verso prua, alla ricerca di qualcosa, di qualcuno, ignorando le scie gialle prodotte negli angoli del suo campo visivo da lampi informi, finché una Dendarii in armatura ma priva di elmo lo tirò in piedi.

– Signore, non sarebbe meglio se venisse a prua nello scomparto di pilotaggio?

– Sì, d'accordo…

La donna gli passò un braccio sotto l'ascella per evitare che cadesse di nuovo e insieme si mossero verso prua nella navetta affollata da un misto di prigionieri di Marilac e di Dendarii… ogni volto che incrociavano si girava a guardarlo con espressione spaventata, ma nessuno osò dire nulla. Quando erano ormai quasi a prua, l'attenzione di Miles fu però attratta da una sorta di bozzolo argenteo.

– Aspetta… – disse, e si lasciò cadere in ginocchio con un barlume di speranza, chiamando: – Suegar? Ehi, Suegar!

Suegar aprì gli occhi appena di una fessura; era impossibile stabilire fino a che punto fosse consapevole di quello che stava succedendo, a causa dell'effetto combinato dei medicinali, dello shock e del dolore.

– Adesso sei in cammino. Ce l'abbiamo fatta, nei tempi previsti e con facilità. Con agilità e rapidità, su attraverso le regioni dell'aria, più in alto delle nuvole. Avevi interpretato le scritture nel modo giusto.

Le labbra di Suegar si mossero, e Miles si chinò maggiormente per sentire.

– … non erano vere scritture – sussurrò Suegar. – Io lo sapevo… tu lo sapevi… non mi prendere in giro…

Miles rimase in silenzio per un momento, colto alla sprovvista, poi tornò a chinarsi in avanti.

– No, fratello – sussurrò di rimando, – perché anche se siamo entrati nel fiume vestiti, di certo ne siamo usciti nudi.

Dalle labbra di Suegar scaturì una rauca risata. Miles si concesse di piangere soltanto dopo che ebbero effettuato il Balzo.

PARTE QUARTA

Illyan sedeva in silenzio.

Miles si lasciò ricadere all'indietro, pallido e sfinito, con uno stupido tremito interiore che gli faceva vibrare la voce.

– Mi dispiace, credevo di aver superato ogni cosa. Da allora sono successe tante assurde follie che non ho avuto il tempo di riflettere e di assimilare…

– Stanchezza da combattimento – suggerì Illyan.

– Il combattimento è durato soltanto un paio d'ore.

– Davvero? Da quel resoconto credevo si fosse trattato di sei settimane.

– Comunque sia. Se però il Conte Vorvolk volesse sostenere che avrei dovuto barattare delle vite umane con delle attrezzature… avevo forse cinque minuti per prendere una decisione, e per di più sotto il fuoco nemico, ma se anche avessi avuto a disposizione un mese di tempo sarei arrivato alla stessa conclusione. Di conseguenza sono disposto a sostenere le mie azioni, davanti ad una corte marziale o in qualsiasi dannata arena in cui lui mi voglia affrontare.

– Calmati – consigliò Illyan. – Mi occuperò io di Vorvolk e dei suoi consiglieri nascosti. Credo… no, ti garantisco che il loro piccolo complotto non turberà ulteriormente la tua convalescenza, Tenente Vorkosigan – concluse, con un bagliore nello sguardo.

Nel guardarlo, Miles ricordò a se stesso che Illyan prestava servizio da trent'anni nella Sicurezza Imperiale: il cane da guardia di Aral Vorkosigan aveva ancora i suoi denti aguzzi.

– Mi dispiace se la mia… negligenza ha scosso la fiducia che aveva in me, signore – aggiunse. Quella infertagli dal dubbio era infatti una strana ferita che poteva avvertire ancora come un invisibile dolore al petto, lento a guarire. Quindi la fiducia era un loop infinito, più di quanto si fosse mai reso conto. Illyan aveva forse ragione nel sostenere che lui avrebbe dovuto dare maggiore importanza alle apparenze? – In futuro cercherò di essere più intelligente.

Illyan gli indirizzò un'occhiata indecifrabile, con le labbra strette e uno strano rossore sul collo.

– Anch'io, tenente – rispose soltanto.

In quel momento la porta scivolò di lato e ci fu un frusciare di gonne. La Contessa Vorkosigan, una donna alta dai capelli rossi, con un passo deciso e ampio che non si era mai veramente adattato alla moda femminile barrayarana, sfoggiava le lunghe e ricche gonne di una matrona della classe Vor con la noncuranza di una bambina che giocasse a travestirsi, e in maniera altrettanto convincente.

– Signora – salutò Illyan, alzandosi in piedi.

– Salve Simon, e arrivederci – rispose lei, sorridendo. – Il dottore che hai spaventato mi prega di usare la mia superiore autorità per buttarti fuori di qui. So che voi ufficiali e gentiluomini avete degli affari da sbrigare, ma adesso è ora di accantonarli, o almeno così indicano i monitor medici.