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Robert Silverberg

L’Ismaele innamorato

Chiamatemi Ismaele. Tutti gli esseri umani che mi conoscono mi chiamano così. La mia razza non usa le definizioni unità-strutturali (i “nomi”) per distinguere gli individui, ma questo è il nome che gli umani mi hanno dato, e per me va bene. Venni chiamato così dalla signora Lisabeth Calkins, per la quale provo emozioni protettivo-cavalleresco-sessuali (“amore”). In tutto il mio racconto deve essere chiaro che la definizione “Ismaele” si riferisce soltanto a me stesso.

Sono membro di una specie acquatica intelligente di mammiferi non primati non umani, la “Tursiops truncatus”, i delfini dal naso a bottiglia. Ho undici anni di età, il che vuol dire che sono maturo sotto ogni aspetto. Peso centosettantacinque chili, e misuro due metri e novanta di lunghezza. Lavoro alla Stazione di Ricerche Marine Gerard-Worzel, a Santa Croce, nelle isole Vergini, in un reparto di manutenzione, dal giorno umano detto quattordici agosto mille novecento novantaquattro. Per quelli della mia specie sono sessualmente desiderabile, e anche molto considerato per il mio sviluppo intellettuale. Ho un ampio vocabolario. So comunicare con i membri dell’Homo Sapiens. Ho una considerevole capacità tecnica; come potete capire dal fatto che ho messo in funzione le apparecchiature elettrico-acustiche attraverso cui detto queste mie memorie.

Sono un organismo mammifero solitario che ha perpetrato un atto di eroismo nell’interesse della vostra specie, e che desidera soltanto la ricompensa di una relazione più intima (“amore”) con la signorina Lisabeth Calkins. Io supplico i compassionevoli membri dell’Homo Sapiens di parlare in mio favore. Sono leale, preciso, attendibile, devoto e molto intelligente. Farò lo sforzo di darle una compagnia stimolante e la completezza emotiva (“felicità”) sotto ogni aspetto, secondo le mie possibilità.

Permettetemi di mostrare le circostanze pertinenti.

Punto 1: “Mio Impiego”.

La stazione di Ricerche Marine Gerard-Worzel si trova in una importante posizione sulle coste nord dell’isola Santa Croce, nelle Indie Occidentali. Opera su un principio di condensazione atmosferica. Tutto questo io l’ho saputo dalla signorina Calkins (“Lisabeth”), che mi ha descritto, in tutti i dettagli, come funziona. Lo scopo della nostra installazione è quello di recuperare parte dell’acqua dolce, calcolata in duecento milioni di galloni al giorno, trasportata sotto forma di vapore nei cento metri più bassi di atmosfera sopra ogni chilometro quadrato di isola dalla parte sopravvento.

Un tubo del diametro di nove metri solleva l’acqua fredda del mare che si trova a novecento metri, e la trasporta per circa due chilometri fino alla nostra stazione. Il tubo scarica circa trenta milioni di galloni al giorno di acqua con una temperatura di cinque gradi centigradi. Quest’acqua viene spinta verso il nostro condensatore che intercetta circa un miliardo di metri cubi di aria tropicale calda al giorno. Quest’aria ha una temperatura di venticinque gradi centigradi, e un’umidità relativa dal settanta all’ottanta per cento. Nel condensatore, al contatto con l’acqua di mare fredda, l’aria scende a una temperatura di dieci gradi, e raggiunge un’umidità del cento per cento, permettendoci di estrarre circa sedici galloni di acqua per metro cubo d’aria. Quest’acqua senza-sale (“potabile”) viene introdotta nell’acquedotto dell’isola, dato che Santa Croce manca di riserve idriche naturali per il fabbisogno degli esseri umani. I rappresentanti del governo che visitano i nostri impianti dicono solitamente che senza di noi la grande espansione industriale di Santa Croce sarebbe stata assolutamente impossibile.

Per ragioni di economia operiamo unitamente a una impresa di coltura-acquatica (“l’allevamento dei pesci”) che sfrutta i nostri scarichi d’acqua. Quando le acque marine sono passate attraverso il condensatore diventano inutili. Tuttavia, dal momento che provengono da fondali marini profondi, il loro contenuto di fosfati e di nitrati disciolti è del mille e cinquecento per cento superiore a quello che si trova nelle acque di superficie. Queste acque ricche di nutrimento vengono pompate dal condensatore a una vicina laguna circolare di origini naturali (“il corral di corallo”) che è piena di pesce. In questo migliorato ambiente i pesci si riproducono in abbondanza.

(Scriteriati esseri umani discutono talvolta sulla moralità di usare i delfini nella conduzione dell’allevamento dei pesci. Pensano che sia degradante costringerci a produrre creature acquatiche amiche che verranno poi mangiate dall’uomo. Io posso semplicemente far notare questo, primo: nessuno di noi lavora qui sotto costrizione, e, secondo: la mia specie non considera immorale cibarsi di creature acquatiche. Anche noi mangiamo i pesci.)

Il mio ruolo nel funzionamento della Stazione di Ricerche Marine è di grande importanza. Io (“Ismaele”) ho le funzioni di Sovrintendente della Squadra di Manutenzione-Assorbimento. Comando nove membri della mia specie. Nostro compito è quello di controllare le valvole di aspirazione del condotto marino principale. Queste valvole vengono intasate di frequente da piccoli organismi, quali le stelle marine o le alghe, e ostacolano il normale funzionamento dell’impianto. Nostro compito è di scendere a intervalli periodici e di togliere le ostruzioni. Normalmente si può farlo senza gli organi manipolativi (“dita”) di cui siamo sfortunatamente sprovvisti.

(Certi individui umani obiettano che è ingiusto usare i delfini come forze lavorative quando molti membri dell’Homo Sapiens sono senza lavoro. La risposta intelligente a questo è, primo: l’evoluzione ci ha designato a lavorare egregiamente sott’acqua senza la necessità di speciali apparecchi respiratori, e, secondo: soltanto esseri umani eccezionali possono compiere le nostre funzioni, ed esseri umani di questo genere sono rari nelle forze lavorative.)

Copro questo incarico da due anni e quattro mesi. In tutto questo tempo non ci sono state interruzioni significative di aspirazione nelle valvole da me controllate.

Come compenso per il mio lavoro (“salario”) ricevo una grande quantità di cibo. Con una paga del genere si potrebbe assumere un semplice squalo, logico, ma sopra e oltre il secchio giornaliero di pesce io ricevo anche l’amicizia degli esseri umani, e ho inoltre la possibilità di sviluppare la mia intelligenza latente attraverso le bobine di consultazione, gli espansori di vocabolario, e varie apparecchiature di addestramento. Come potete vedere ho sfruttato tutte le mie possibilità.

Punto 2: “Signorina Lisabeth Calkins”.

Il suo dossier è nell’archivio della stazione e io ho potuto consultarlo per mezzo del lettore-bobine in dotazione alla nostra vasca.

Lei è una femmina di ventisette anni. Quindi, dal punto di vista cronologico, è della generazione precedente, come i miei predecessori genetici (“genitori”). Ma io non ho il tabù culturale di molti Homo Sapiens contro le relazioni emotive con una femmina più vecchia. E d’altra parte, facendo la debita compensazione per la differenza delle specie, si può vedere che la signorina Lisabeth e io siamo coetanei. Lei ha raggiunto la maturità sessuale a circa metà della sua vita trascorsa. Come me.

(Devo ammettere che ha superato leggermente l’età ottimale in cui una femmina umana prende il maschio permanente. Presumo inoltre che non si dedichi alla pratica dell’accoppiamento temporaneo, dato che nel suo dossier non si dice che abbia riprodotto. È possibile tuttavia che tra gli umani non si abbiano necessariamente riproduzioni dopo ogni accoppiamento annuale, o che gli accoppiamenti avvengano a caso, in momenti che non si possono predire, e del tutto slegati dal processo riproduttivo. Questo mi sembra strano e in qualche modo sbagliato, ma certi dati mi fanno pensare che sia così. Nel materiale archivistico a mia disposizione ci sono alcune informazioni sulle abitudini umane negli accoppiamenti. Devo informarmi con più precisione.