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Subito dopo Lisabeth venne alla mia vasca di riposo, e mi disse: «Sei stato grande, Ismaele. Hai dato loro corda in modo da registrare la confessione… È meraviglioso! Tu sei un prodigio, Ismaele».

Ebbi un trasporto di gioia.

Era venuto il momento. Balbettai: «Lisabeth, ti amo».

Le parole risuonarono tra le pareti della vasca come urlate da un altoparlante. Gli echi amplificarono e modularono trasformandole in grotteschi latrati che sembravano quelli di una foca deficiente. «Ti amo… Ti amo… Ti amo…»

«Ma, Ismaele!…»

«Non so dirti cosa significhi per me. Vieni a vivere con me, e sii il mio amore. Lisabeth, Lisabeth, Lisabeth!»

Roventi dichiarazioni mi uscirono dalla bocca. La supplicai di scendere nella mia vasca e di lasciarsi abbracciare. Lei rise e mi fece notare che non era neppure in costume da bagno, perché era appena rientrata dalla città. Io implorai. Supplicai. Lei si arrese. Eravamo soli. Lei si spogliò, prima di scendere nella vasca, e per la prima volta la vidi completamente nuda. Rimasi scosso… per quelle brutte glandole lattifere dondolanti che di solito teneva saggiamente nascoste, per quelle strisce di pelle bianchiccia che il sole non aveva potuto abbronzare; per quella imprevista macchia di peli… Ma non appena fu scesa nella vasca dimenticai tutte quelle imperfezioni, e le corsi incontro. «Amore!» gridai. «Caro amore!» La strinsi tra le pinne, in un modo che immaginai doveva essere umano. «Lisabeth! Lisabeth!» Scivolammo sott’acqua. Per la prima volta in vita mia provai la vera passione, quella cantata dai poeti, quella che sconvolge anche le menti più fredde. La strinsi con forza. Lei mi picchiò la parte terminale degli arti superiori (“i pugni”) sulla zona pettorale, e al primo momento lo considerai un segno di passione corrisposta. Poi il mio cervello offuscato dall’amore si rese conto che lei poteva essere a corto d’aria. Tornai rapidamente alla superficie. La mia cara Lisabeth, tossendo, e ansando, respirò profondamente e cercò di liberarsi. Io, stupito, allentai la stretta. Lei uscì dalla vasca e si lasciò cadere sul bordo, esausta, con tutto il pallido corpo tremante. «Perdonami» dissi. «Ti amo, Lisabeth! Per amor tuo ho salvato la Stazione!»

Lei cercò di atteggiare le labbra in un certo modo per farmi capire che non era in collera (“un sorriso”). E con voce debole disse: «A momenti mi facevi annegare, Ismaele!».

«Mi sono lasciato trasportare dalla passione. Torna nella vasca. Sarò più gentile. Lo prometto. Per averti vicina…»

«Oh, Ismaele! Cosa stai dicendo?»

«Ti amo! Ti amo!»

Ci fu un rumore di passi. L’uomo della centrale elettrica, il dottor Madison, arrivò di corsa. Lisabeth portò rapidamente le mani sulle glandole lattifere, e con i vestiti che si era tolta ricoprì la parte centrale del corpo. Questo mi fece soffrire. Se gli nascondeva le parti brutte vuol dire che era innamorata di lui.

«Stai bene, Liz?» chiese lui. «Ti ho sentita gridare…»

«Non è niente, Jeff. Sono scesa nella vasca, e lui mi ha stretta tra le pinne. È innamorato di me. Capisci? Innamorato di me!»

Si misero a ridere per l’assurdità di un delfino distrutto dall’amore.

Prima dello spuntare dell’alba ero molto lontano. Nuotai dove nuotano i delfini, lontano dagli uomini e dalle cose. La risata beffarda di Lisabeth continuava a seguirmi. Lei, forse, non aveva voluto essere crudele di proposito. Ma come aveva potuto ridere di me in quel modo atroce, lei che mi conosceva meglio di ogni altro?

Rimasi al largo per diversi giorni, a curare le mie ferite, trascurando il mio lavoro alla Stazione. Poco a poco il dolore si trasformò in profonda tristezza, e io tornai verso l’isola. Lungo la strada mi venne incontro una femmina della mia specie. Era appena entrata in calore; e mi si offrì. Io le dissi di seguirmi, e lei lo fece. Io mi trovai diverse volte costretto a respingere gli altri maschi che la volevano, e la portai alla Stazione, nella laguna usata dai delfini per fare sport. Un membro della mia squadra, Mordred, venne a chiedermi come stavo, e io gli dissi di chiamare Lisabeth, e di informarla che ero tornato.

Lisabeth venne subito sulla spiaggia. Agitò le braccia per salutarmi, sorrise, e mi chiamò per nome.

Io cominciai a trastullarmi con la mia delfina davanti ai suoi occhi. Facemmo la danza dell’accoppiamento. Picchiammo colpi di coda sulla superficie, spiccammo salti, ci librammo fuori dall’acqua.

Lisabeth rimase a guardarci, e io sperai disperatamente che potesse ingelosirsi.

Afferrai la mia compagna e la portai sul fondo, la presi con rabbia, poi le dissi di andare, per far nascere mio figlio, da qualche altra parte. «Informa Lisabeth» dissi poi a Mordred «che ho trovato un altro amore, ma che un giorno potrò anche perdonare.»

Mordred mi lanciò un’occhiata gelida, e si mise a nuotare verso la spiaggia.

La mia tattica non ebbe l’effetto sperato. Lisabeth mi mandò a dire che era felice del mio ritorno, e che era spiaciuta di avermi offeso, ma non c’era traccia di gelosia nel suo messaggio. La mia anima si ridusse in alghe marce. Tornai a pulire le valvole, io, Ismaele! Io che ho letto Shakespeare e Keats! Oh, Lisabeth, non ti accorgi dunque del mio dolore?

Questa sera, nel buio, ho registrato la mia storia. Voi che ascoltate, chiunque siate, aiutate un organismo solitario, mammifero e acquatico, che desidera avere contatti più intimi con una femmina di una specie differente. Parlate di me a Lisabeth. Lodate la mia intelligenza, la mia lealtà, e la mia devozione.

Ditele che le concedo ancora una possibilità. Le offro una esperienza unica ed eccitante. L’aspetto domani sera vicino agli scogli. Fatela venire a nuoto fino a me. Fate che venga a stringersi al derelitto Ismaele. Fate che mi dica parole d’amore.

Dal profondo della sua anima… dal profondo, Lisabeth… il delfino Ismaele ti augura buona notte, in brontolanti toni di amore disperato.