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«Può andare ad abitare nel tuo sacchetto di fili d’erba», disse Tenar, «insieme con le altre, le figurine d’osso.»

A queste parole, Therru riprese forza quel tanto che bastava per tirare fuori la borsa d’erba e a metterci dentro il delfino. Ma toccò a Tenar ringraziare il povero donatore. Therru non voleva né guardarlo né parlargli. Dopo qualche tempo, la bambina chiese di ritornare nella cabina, e Tenar la lasciò giù, in compagnia dell’uomo d’osso, dell’animale d’osso e del delfino.

È così semplice, pensò con ira, è così semplice per Faina portarle via la luce del sole, portarle via la nave e il re e la sua giovinezza, ed è così difficile ridarglieli! Ho impiegato un anno per ridarglieli, e lui, con un solo gesto, glieli toglie e li butta via. E che cosa ci guadagna? Che Potere ne ricava? Che il Potere sia solo questo… vacuità?

Raggiunse il re e il mago, che erano appoggiati alla balaustra della nave. Il sole aveva già fatto gran parte del suo corso, e la nave procedeva in un trionfo di luce che ricordò a Tenar il suo sogno di volare con il drago.

«Lady Tenar», disse il re, «non vi affido alcun messaggio per il nostro comune amico. Non voglio imporvi un simile fardello, e mi sembrerebbe di porre limiti alla sua libertà, e non voglio neppure questo. Sarò incoronato tra meno di un mese. Se fosse lui a porgermi la corona, il mio regno inizierebbe come desidera il mio cuore. Ma che lui ci sia o no, è stato lui a darmi il regno. Mi ha fatto re, e non me ne dimenticherò.»

«So che non ve ne dimenticherete», rispose Tenar, gentilmente. Era così serio, compito, protetto dall’ufficialità del suo rango, eppure così vulnerabile nella sua onestà, nella purezza del suo volere. Tenar sentì un profondo affetto per lui. Il giovane re pensava di avere imparato il dolore, ma l’avrebbe dovuto imparare di nuovo, innumerevoli altre volte, per tutta la vita, senza dimenticare nulla.

E perciò, diversamente da Faina, non avrebbe mai scelto la via più facile.

«Sarò ben lieta di portargli il vostro messaggio», rispose Tenar. «Soltanto lui, però, potrà decidere di ascoltarlo.»

Il Maestro dei Venti sorrise. «È sempre stato così», disse. «Qualunque cosa abbia fatto, è sempre stato solo lui a decidere.»

«Lo conoscete da molto tempo?»

«Da prima che lo conosceste voi, signora. Gli ho insegnato», disse il mago, «quello che ho potuto… È arrivato alla scuola di Roke ancora ragazzo, accompagnato da una lettera di Ogion in cui si diceva che aveva grandi poteri. Ma la prima volta che lo portai fuori su una barca, per insegnargli come parlare al vento, ha sollevato una tromba marina. Allora mi resi conto di quale sarebbe stato il nostro futuro. Pensai: o prima dei sedici anni sarà affogato, o sarà Arcimago prima dei quaranta… Almeno, mi piace credere di averlo pensato.»

«È ancora l’Arcimago?» chiese Tenar. Si accorse subito di aver fatto una domanda terribilmente ignorante, e dopo il silenzio che ne seguì temette di essersi dimostrata indiscreta, e non solo ignorante.

Il mago rispose, infine: «In questo momento non c’è un Arcimago di Roke». Lo disse in tono estremamente cauto, scegliendo con attenzione le parole.

Tenar non osò chiedergli di spiegarsi meglio.

«Credo», disse il re, «che la Guaritrice della Runa della Pace possa far parte del consiglio del nostro regno; siete d’accordo con me, signore?»

Dopo un’altra pausa, e un po’ a malincuore, il mago disse: «Certamente».

Il re attese, ma il mago non disse altro.

Allora, Lebannen si girò verso l’acqua illuminata dal sole e parlò come se cominciasse a raccontare una storia: «Quando io e lui siamo arrivati a Roke dal più lontano Occidente, portati dal drago…» S’interruppe, e il nome del drago si pronunciò da solo nella mente di Tenar: Kalessin, come un suono di gong.

«Il drago mi lasciò a Roke, ma portò via lui. Il custode della porta della Grande Casa disse allora: ‘Ha finito di agire. Torna a casa’. E prima ancora, sulla spiaggia di Selidor, lui mi aveva ordinato di lasciare il suo bastone, perché ormai non era più un mago. Così, i Maestri di Roke si consultarono per eleggere un nuovo Arcimago.

«Vollero che fossi presente anch’io, perché sapessi quello che deve sapere un re sul Consiglio dei Saggi. E inoltre ero presente per sostituire uno di loro: Thorion l’Evocatore, la cui arte si era volta contro lui medesimo, a opera del grande male che Lord Sparviero ha trovato e ha fermato. Quando eravamo nel deserto, tra la parete e le montagne, io vidi Thorion. Lord Sparviero gli parlò e gli insegnò come tornare alla vita al di là della parete. Ma Thorion non prese quella strada. Non fece ritorno.»

Con le mani forti e affusolate, il giovane re strinse con violenza il legno della balaustra, continuando a fissare le onde marine. Tacque per un istante, poi riprese il racconto.

«Così, fui io a completare il numero dei nove che si raccolsero per scegliere il nuovo Arcimago.

«Sono… sono dei saggi», continuò, lanciando un’occhiata a Tenar. «Non solo conoscono la loro arte, ma sono persone fidate. Si servono delle differenze tra loro, come ho visto fare altre volte, per rendere più salda la loro decisione. Ma questa volta…»

«Il fatto è», intervenne il Maestro dei Venti, vedendo che Lebannen non voleva dare l’impressione di criticare i Maestri di Roke, «che quella volta parlarono solo delle differenze, senza prendere decisioni. Non raggiungemmo alcun accordo. Perché l’Arcimago non era morto, capite, eppure non era un mago… ma era ancora chiaramente un signore dei draghi, come avevamo visto. E perché il nostro Maestro delle Metamorfosi era ancora sconvolto dopo avere visto la sua arte rivolgersi contro di lui, ed era convinto che Evocatore sarebbe ritornato dalla morte, e ci aveva supplicato di aspettarlo. E perché il Maestro degli Schemi non volle parlare. È di Karg come voi, signora; lo sapevate? Viene da Karego-At.» Con quei suoi occhi acuti, la sorvegliava attentamente: da che parte soffiava il vento? «Così, per tutti questi fatti, ci trovammo bloccati. Quando il Guardiano chiese i nomi dei candidati, non ne venne presentato nessuno. Ciascuno guardava gli altri…»

«Io guardavo in terra», disse Lebannen.

«Così, alla fine ci rivolgemmo a una persona che conosceva certamente i nomi: il Maestro dei Nomi. Questi stava osservando attentamente il Maestro degli Schemi che sedeva in mezzo alle sue piante come un ceppo di legno. Dovete sapere che ci incontriamo nel Boschetto, tra quegli alberi le cui radici sono più profonde delle stesse isole. Ormai era già sceso il crepuscolo. A volte tra quegli alberi c’è una luce, ma non quella notte. Era buio, non c’erano le stelle, al disopra degli alberi il cielo era nuvoloso. E il Maestro degli Schemi si alzò e prese la parola… ma nella sua lingua, non nell’Antica Lingua, non in hardico ma in kardico. Pochi di noi la conoscevano: in gran parte non sapevamo neppure di che lingua si trattasse, e non sapevamo che cosa pensare. Ma il Maestro dei Nomi ci disse quel che aveva detto il Maestro degli Schemi: una donna di Gont.»

S’interruppe. Non guardava più Tenar. Dopo qualche istante, lei chiese: «E niente di più?»

«Non una parola. Quando lo interrogammo, ci fissò e non seppe che cosa rispondere, perché aveva parlato in una visione, capite… Aveva visto lo schema delle cose, il modello, e non è materia che si possa facilmente trasformare in parole, e ancor meno in idee. Neanche lui sapeva che cosa pensare: sapeva quel poco che sapevamo noi.»

I Maestri di Roke erano degli insegnanti, dopotutto, e il Maestro dei Venti era un buon insegnante: non poté fare a meno di darle dei chiarimenti. Più di quanto non volesse in partenza, forse. Guardò per un istante Tenar e poi distolse gli occhi.

«Sembrava dunque che dovessimo proprio venire a Gont. Ma perché? Per cercare chi? ‘Una donna’… Non molto, come indicazione! Evidentemente, questa donna ci dovrà guidare al nostro Arcimago, chissà come. E allora, come avrete immaginato, venne fatto il vostro nome: infatti, di che altra donna di Gont avevamo sentito parlare? Quella non è una grande isola, ma la vostra fama è immensa. Uno di noi disse: ‘Ci porterà da Ogion’. Ma sapevamo che Ogion aveva rifiutato molti anni fa il posto di Arcimago, e certo non l’avrebbe accettato adesso che era vecchio e malato. E mi pare, infatti, che Ogion sia morto proprio in quei giorni. Poi un altro disse: ‘Ci può portare anche da Sparviero’. A quel punto brancolavamo davvero nel buio.»