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«Certo», confermò Lebannen. «E cominciò anche a piovere, in mezzo a quegli alberi.» Sorrise. «Avevo temuto di non vedere mai più la pioggia. Fu una grande gioia per me.»

«Nove membri del Consiglio bagnati e uno solo felice», commentò il Maestro dei Venti.

Tenar rise. Non poteva fare a meno di provare simpatia per quell’uomo. Se era così guardingo verso di lei, anche a lei conveniva essere cauta nei suoi confronti; ma con Lebannen, e soprattutto in sua presenza, era ammissibile solo la sincerità.

«La donna di Gont non posso essere io», disse, «perché io non posso condurvi da Sparviero.»

«Anch’io ero dell’idea», disse il mago, con un’aria di sincerità che forse era vera, «che non poteste essere voi, signora. Per prima cosa, il Maestro degli Schemi avrebbe certo detto il vostro nome durante la visione. Sono così pochi coloro che portano apertamente il loro nome vero! Tuttavia, il Consiglio di Roke mi ha incaricato di chiedervi se conoscete qualche donna della vostra isola che possa essere la persona che cerchiamo: la madre o la sorella di un uomo di Potere, o anche la sua insegnante, perché sappiamo che ci sono streghe molto sagge a modo loro. Che Ogion conoscesse una donna di questo genere? Dicono che conoscesse ogni persona dell’isola, anche se abitava da solo e vagava nei boschi. Peccato che non sia più vivo per aiutarci!»

Tenar aveva già pensato alla pescatrice della storia di Ogion. Ma quella donna era già vecchia quando Ogion l’aveva incontrata, molti anni prima, e ormai doveva essere morta. Anche se i draghi, pensò, erano molto longevi.

Per qualche tempo rimase in silenzio, e poi disse soltanto: «Purtroppo non conosco persone del genere».

Sentiva perfettamente l’irritazione del mago, e la fatica che questi faceva per controllarsi. Che cosa mi nasconde? si stava di certo chiedendo il mago. Che cosa vuole, esattamente? E Tenar si chiese perché non potesse parlargli. Ma la sordità del mago la costringeva a tacere. Non poteva nemmeno dirgli che era sordo.

«Allora», disse Tenar, dopo qualche minuto, «non c’è un Arcimago di Earthsea. Ma c’è un re.»

«In cui giustamente riponiamo la nostra fiducia e le nostre speranze», disse il mago, in tono sincero e con calore. Lebannen, che li guardava e li ascoltava, sorrise.

«Negli scorsi anni», disse Tenar, esitante, «ci sono stati tanti dolori. La mia… la bambina… Cose del genere sono state fin troppo comuni. E ho sentito uomini e donne di Potere lamentarsi della perdita, o della trasformazione, dei loro Poteri.»

«L’uomo che è stato sconfitto dall’Arcimago e dal nostro sovrano nelle terre deserte, quel Pannocchia, aveva causato infiniti danni. Noi stiamo cercando di ricostruire la nostra arte, curando i nostri maghi e la nostra magia, ma occorrerà molto tempo prima che l’opera sia terminata», disse il mago, con decisione.

«Mi chiedo se ricostruire e curare siano sufficienti», rispose Tenar, «anche se, naturalmente, sono cose da farsi… Ma mi chiedo se una persona come Pannocchia non sia giunta ad avere quei Poteri perché le cose stavano già cambiando, e se il cambiamento non ci sia già stato. Un grande cambiamento. E forse è a causa di questo cambiamento che abbiamo di nuovo un re su Earthsea… forse un re e non un Arcimago.»

Il Maestro dei Venti la guardò come se vedesse una nube di tempesta all’estremo orizzonte. Sollevò perfino la mano, automaticamente, come se dovesse fare un incantesimo sul vento, ma poi la abbassò. Sorrise. «Non dovete temere, signora», disse. «Roke e l’arte magica dureranno. Il nostro tesoro è ben protetto!»

«Ditelo a Kalessin», rispose Tenar, che non riusciva a sopportare tanta incoscienza, tanta disattenzione. Il mago la fissò, sorpreso. Aveva sentito il nome del drago. Ma non aveva sentito le parole di Tenar. Del resto, come si poteva pretenderlo, da un uomo che non aveva più ascoltato alcuna voce di donna, da quando la madre aveva smesso di cantargli la ninna-nanna?

«Davvero», disse Lebannen. «Kalessin è giunto a Roke, che si dice completamente protetta contro i draghi; e non grazie a un incantesimo di Lord Sparviero, che a quell’epoca non aveva magia… Ma non credo, Maestro dei Venti, che Lady Tenar avesse paura per sé.»

Il mago si sforzò di riparare all’offesa. «Vi chiedo scusa, signora», disse. «Parlavo come se mi fossi rivolto a una donna comune.»

Per poco Tenar non scoppiò a ridere. Avrebbe potuto confondere quel mago, ma si limitò a dire, con indifferenza: «Oh, le mie paure sono comuni». Era inutile insistere con quell’uomo; non le dava ascolto.

Ma il giovane re taceva e ascoltava.

Un mozzo, dall’alto di quel mondo vertiginoso e ondeggiante di alberi, vele e sartie che stava sopra le loro teste, gridò con voce chiara e musicale: «Città in vista dietro il promontorio!» e dopo qualche istante anche coloro che stavano sul ponte videro il raggruppamento di tetti di ardesia, le volute di fumo azzurrino, i vetri delle finestre che riflettevano il sole al tramonto, i moli e i magazzini di Valmouth, in fondo alla sua baia di seta blu.

«La porto io, o ci pensate voi, signore?» chiese il comandante della nave, sempre impassibile, e il Maestro dei Venti rispose:

«Manovriamo a vela, mastro comandante. Preferisco non avere a che fare con quelle bagnarole!» Indicò le decine di barche da pesca che riempivano la baia. Così, la nave del re entrò in porto lentamente, come un cigno in mezzo agli anatroccoli, salutata da ogni barca accanto a cui passava.

Tenar guardò lungo i moli, ma non vide altre navi.

«Ho un figlio che fa il marinaio», disse a Lebannen. «Pensavo che la sua nave potesse trovarsi nel porto.»

«Che nave è?»

«Era terzo di bordo sul Gabbiano di Eskel, ma da allora sono passati più di due anni. Può darsi che abbia cambiato nave. Non sta mai fermo.» Sorrise. «Quando vi ho visto, vi ho scambiato per lui. Non vi assomigliate granché, ma l’altezza, la corporatura, l’età sono pressappoco le stesse. E io ero confusa e spaventata… Paure comuni.»

Il mago era salito sul castello di prua, e Tenar e Lebannen erano rimasti soli.

«Ce ne sono troppe, di queste paure comuni», disse il re.

Era la sola possibilità di parlargli da solo, e Tenar disse in fretta, in tono esitante: «Volevo dire… ma sarebbe stato inutile… potrebbe non esserci una donna di Gont… e non so chi possa essere, non ne ho idea… ma potrebbe esserci una donna, adesso o in futuro, e forse hanno proprio bisogno di lei. È possibile?»

Il re la ascoltò. Lui non era sordo. Aggrottò la fronte, pensieroso, come se cercasse di capire una lingua straniera. E si limitò a dire, sottovoce: «È possibile».

Una pescatrice, dalla sua barchetta, gridò: «Da dove venite?» e il mozzo, dall’alto, rispose: «Dalla Città del Re!»

«Come si chiama questa nave?» chiese Tenar. «Mio figlio mi chiederà il nome della nave su cui ho navigato.»

«Delfino», le rispose Lebannen, sorridendo. Figlio mio, mio re, mio caro ragazzo, pensò Tenar; come mi piacerebbe averti vicino!

«Devo andare a prendere la bambina», disse.

«Come arriverete a casa?»

«A piedi. Sono poche miglia, in cima alla valle.» Indicò la Valle di Mezzo, ampia e illuminata dal sole, tra le due braccia della montagna, simile a un grembo. «Il villaggio è sul fiume, e la mia fattoria è a mezzo miglio dal villaggio. È uno degli angoli più graziosi del vostro regno.»

«Ma sarete al sicuro?»

«Oh, certo. Trascorrerò la notte con mia figlia, qui a Valmouth. E nel villaggio c’è tutta gente di cui ci si può fidare. Non sarò sola.»