Выбрать главу

«Con la vedova, certo.»

Ged abbassò la faccia. Tenar aspettò che riprendesse.

Con gli occhi fissi sul fuoco, Ged continuò: «Poi li ho persi di vista. Nella valle, la strada procede in piano, e non potevo seguirli come avevo fatto sino a quel momento, in mezzo agli alberi, dietro di loro. Dovevo allontanarmi, tagliare per i campi senza farmi vedere. Non conosco la zona, qui; solo la strada, e avevo paura di perdermi, di non trovare la casa, se avessi imboccato delle scorciatoie. Poi si è fatto buio, e io temevo di avere già oltrepassato la fattoria, perciò sono ritornato sulla strada, e per poco non sono finito addosso a loro, che si erano fermati qui, al bivio. Avevano visto uscire il vecchio, e avevano deciso di aspettare che fosse buio, per evitare il pericolo che arrivasse qualcuno. Si sono nascosti nel fienile. Io ero fuori, addossato alla parete».

«Devi essere mezzo congelato», disse Tenar, cupa.

«Sì, faceva freddo.» Tese le mani in direzione del fuoco, come se il pensiero del freddo gliele avesse raggelate di nuovo. «Ho trovato il forcone accanto alla porta della capanna. Quando sono usciti dal loro nascondiglio, si sono diretti alla porta sul retro. Io sarei potuto venire all’ingresso per avvertirti, sarebbe stata la mossa più intelligente, ma riuscivo solo a pensare a coglierli di sorpresa: pensavo che fosse il mio unico vantaggio… che tutte le porte fossero sprangate e che dovessero entrare con la forza. Ma poi ho visto che sono entrati dalla porta sul retro, senza colpo ferire. Io sono entrato dopo di loro. Me la sono cavata per un pelo, quando hanno trovato la porta chiusa.» Fece una sorta di risatina. «Sono passati accanto a me, nel buio. Avrei potuto fargli lo sgambetto. Uno di loro aveva esca e acciarino, e accendeva un bastoncino di legno quando volevano controllare qualche chiusura. Sono arrivati alla porta d’ingresso. Ho sentito che chiudevi le imposte, e ho capito che li avevi scoperti. Parlavano di rompere la finestra dove ti avevano scorta. Poi quello dal berretto ha visto la finestra della cucina.» Indicò la finestra con il lungo e ampio davanzale. «Ha detto: ‘Trovatemi una pietra, rompo il vetro’. Gli altri lo hanno raggiunto e lo stavano aiutando a salire, quando sono intervenuto io. Ho lanciato un grido, e loro hanno lasciato cadere il compagno; poi, uno di loro… questo… si è gettato contro di me.»

«Ah, ah…» mormorò il ferito, dal pavimento, come se volesse intervenire nel racconto di Ged. Questi si alzò e si curvò su di lui.

«Sta per morire», disse.

«No», rispose Tenar. Non riusciva a smettere di tremare, ma ormai era soltanto un tremito interiore. Il bricco bolliva. Tenar preparò il tè e posò le mani sull’esterno della teiera, per riscaldarsele, mentre il tè era in infusione. Ne versò due tazze, e poi una terza, cui aggiunse un po’ di acqua fredda. «È ancora troppo caldo», disse a Ged. «Aspetta un minuto, prima di berlo. Provo a fargliene bere un po’.»

Si sedette sul pavimento, accanto alla testa dell’uomo, gliela sollevò e poi gli accostò alle labbra la tazza di tè tiepido, quasi infilandogliela tra i denti. Il tè gli scivolò nella bocca e l’uomo inghiottì meccanicamente. «Non morirà», disse Tenar, «ma qui il pavimento è un pezzo di ghiaccio. Portiamolo accanto al fuoco.»

Ged fece per prendere il tappeto che copriva la panca tra il focolare e l’ingresso. «Non prendere quello», lo avvertì Tenar. «È un tessuto troppo bello.» Andò a cercare nell’armadio e ne trasse un mantello di feltro, vecchio e liso, e lo stese per terra. Poi lei e Ged vi sdraiarono il corpo inerte e lo ricoprirono con le falde del mantello. Sulle bende, le macchie rosse non si erano più allargate.

Tenar si alzò, per poi immobilizzarsi subito.

«Therru», disse.

Ged si guardò intorno, ma la bambina non c’era. Tenar corse in camera da letto.

La camera dei bambini era buia e silenziosa. Tenar cercò il letto e posò la mano sulla curva tiepida della coperta, sopra la spalla di Therru.

«Therru?»

Il respiro della bambina era perfettamente regolare. Non si era svegliata. Tenar sentì il calore del suo corpo, come una piccola stufa nella stanza gelida.

Nell’uscire, Tenar passò la mano sul cassettone e incontrò un oggetto di metallo: l’attizzatoio da lei posato per chiudere le imposte. Lo riportò in cucina, scavalcò il corpo steso a terra e riappese l’attizzatoio al gancio accanto al fuoco. Poi, per qualche istante, continuò a fissare le fiamme.

«Non potevo fare niente», disse. «Che cosa avrei potuto fare? Forse uscire immediatamente, gridando aiuto, e correre da Rivochiaro e Prunella. Non avrebbero avuto il tempo di fare del male a Therru.»

«Si sarebbero asserragliati dentro la casa, con la bambina, e tu saresti rimasta fuori, con i due vecchi. O avrebbero potuto prenderla con loro e sparire. Hai fatto quel che hai potuto, e hai fatto la cosa giusta, aspettando il momento migliore. Alla luce che veniva dalla porta, hanno visto te con un coltello, e me dietro. Con la luce, hanno notato il forcone… e il loro compagno steso a terra. Così, se la sono data a gambe.»

«Chi era in grado di farlo», disse Tenar. Si girò verso il ferito e, con la punta del piede, gli spostò leggermente la gamba, come se fosse un oggetto in parte strano e in parte repellente, una vipera morta. «Tu hai fatto la cosa giusta», disse a Ged.

«Non credo che avesse visto il forcone. Correva, e ci è finito dentro. È stato come…» Ma non disse come. La esortò: «Bevi il tè», e se ne servì dell’altro dalla teiera, ancora calda perché era posata sui mattoni del focolare. «È buono», aggiunse, e lei obbedì.

«Quando ero bambino», riprese Ged, dopo qualche tempo, «i Karg hanno fatto un’incursione nel mio villaggio. Erano armati di lance… lunghe e con penne legate all’asta.»

Tenar annuì. «Guerrieri degli Dèi Fratelli», disse.

«Io ho fatto un incantesimo di nebbia. Per confonderli. Ma alcuni di loro continuarono ad avanzare lo stesso. Ne ho visto uno che finiva di corsa contro un forcone… come lui. Solo che quella volta lo ha attraversato da parte a parte, sotto la vita.»

«Tu hai colpito una costola», disse Tenar.

Lui annuì.

«È l’unico errore che hai fatto», commentò Tenar. Si accorse che le battevano i denti; bevve il tè. «Ged», disse, «e se tornassero indietro?»

«Non torneranno.»

«Potrebbero dare fuoco alla casa.»

«A questa casa?» Ged indicò le spesse pareti di pietra.

«Il pagliaio…»

«Non torneranno», ripeté lui, ostinato.

«Va bene. Non torneranno.»

Continuarono a girare le tazze tra le dita, per riscaldarsi le mani.

«Ha dormito per tutto il tempo», disse Tenar.

«Meglio così.»

«Ma lo vedrà… qui, domattina.»

Si fissarono, senza parole.

«Se l’avessi ucciso… o se morisse!» disse Ged, con ira. «Potrei trascinarlo fuori e seppellirlo.»

«Allora, fallo.»

Ma Ged si limitò a scuotere la testa, con ira.

«Che importanza vuoi che abbia? Perché non dovremmo farlo?» chiese Tenar.

«Non lo so.»

«Non appena farà chiaro…»

«Lo porterò fuori di casa. Con la carriola. Il vecchio può aiutarmi a sollevarlo.»

«Ormai non può sollevare più niente. Ti aiuterò io.»

«Posso farcela anche da solo. Lo porterò al villaggio. Là c’è un guaritore?»

«C’è una strega, Edera.»

All’improvviso, Tenar si sentì mortalmente stanca. Riusciva a malapena a tenere in mano la tazza.

«C’è ancora del tè», disse a Ged, parlando a fatica.

Lui se ne versò un’altra tazza.

Il fuoco le danzava negli occhi. Le fiamme ondeggiarono, guizzarono verso l’alto, scesero, illuminarono di nuovo la pietra coperta di fuliggine, il cielo scuro, il cielo pallido, gli abissi del crepuscolo, le profondità d’aria e di luce al di là del mondo. Fiamme gialle e arancione, rosse lingue di fiamma, lingue di fuoco, le parole che lei non poteva pronunciare.