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Aggiunse una sola parola: stanotte.

«Dov’è Erica?» chiese poi alla bambina, piegando due volte su se stessa la strisciolina di carta. «Deve portare questo biglietto a casa di Zia Muschio.»

Avrebbe voluto andarci di persona, per vedere Ged, ma non voleva correre rischi: forse quegli uomini la sorvegliavano nella speranza che li conducesse fino a lui.

«Vado io», sussurrò Therru.

Tenar la guardò, aggrottando le sopracciglia.

«Dovrai andare da sola, Therru. Ed è in fondo al villaggio.»

La bambina annuì.

«Dallo solo a lui!» raccomandò Tenar.

La bambina annuì di nuovo.

Tenar infilò il biglietto nella tasca della bambina, la abbracciò, la baciò e poi la lasciò andare. Therru si allontanò, senza zoppicare e senza nascondere la faccia, ma a testa alta, correndo senza impedimenti, volando, pensò Tenar, e la guardò svanire nella luce della sera, oltre la cornice buia della porta, volando come un uccello, come un drago, come una bambina libera.

FALCHI

Presto, Therru fu di ritorno con la risposta di Sparviero: «Ha detto che partirà questa notte».

Tenar ascoltò con soddisfazione, lieta del fatto che avesse accettato il suo piano e che si allontanasse dai messaggeri e dai messaggi da lui temuti. Solo più tardi, dopo avere servito a Erica e a Therru il loro piccolo banchetto a base di rane, dopo avere messo a dormire Therru e averle cantato la ninna-nanna, quando sedeva da sola al tavolo, senza lampada e senza luce del fuoco, Tenar sentì una stretta al cuore. Ged se n’era andato. Era debole, spaventato e insicuro: aveva bisogno di amici e lei lo aveva allontanato da coloro che avrebbero voluto aiutarlo. Se n’era andato, ma lei doveva rimanere, per allontanare i segugi dalla sua pista, o quanto meno per scoprire se intendevano rimanere a Gont o ritornare a Havnor.

Il panico di Ged e il fatto che lei lo avesse assecondato cominciarono a sembrarle atteggiamenti così irragionevoli da farle pensare che la fuga di Ged fosse un’assurdità. Avrebbe riflettuto sulla cosa e si sarebbe semplicemente nascosto in casa di Muschio, che era l’ultimo posto di Earthsea dove un re sarebbe andato a cercare il suo Arcimago. Era meglio rimanere laggiù finché gli uomini del re non se ne fossero andati. Poi sarebbe potuto ritornare alla casa di Ogion, che era il posto più adatto a lui. E le cose sarebbero andate come prima, con lei che si prendeva cura di Ged finché non avesse ripreso le forze, e con lui che le offriva la sua preziosa compagnia.

Un’ombra si disegnò sulla soglia, nascondendo le stelle. «Sst! Dormite tutti?» Entrò Zia Muschio. «Be’, se n’è andato», disse, con l’aria di chi prende parte a una cospirazione. «Ha imboccato la vecchia strada della foresta. Dice che da lì, domattina, arriverà alla strada per la Valle di Mezzo, dietro Fontana delle Querce.»

«Bene», rispose Tenar.

Più ardita del solito, Muschio si sedette senza essere invitata. «Gli ho dato una pagnotta e una forma di cacio per mangiare qualcosa durante il tragitto.»

«Grazie, Muschio. Sei stata gentile.»

«Goha.» Nell’oscurità, la voce di Muschio prendeva la cantilena delle sue salmodie e dei suoi incantesimi. «C’era una cosa che volevo chiederti, cara, senza andare al di là di quel che mi è lecito conoscere, perché so che sei vissuta con persone importanti e sei stata una di loro anche tu, e questo mi tappa la bocca quando ci penso. Eppure, anch’io conosco cose che tu non puoi sapere, anche se conosci le Rune, e l’Antica Lingua, e hai imparato molte cose dai sapienti e in terra straniera.»

«È proprio come dici tu, Muschio.»

«Ah, bene. Così, quando abbiamo detto che una strega riconosce un’altra strega e io ho detto… dell’uomo che adesso se n’è andato… che non era un mago, qualunque cosa fosse stato in precedenza, ma tu continuavi a negarlo. Avevo ragione, vero?»

«Si.»

«Proprio come pensavo. Avevo ragione.»

«L’ha detto anche lui», osservò Tenar.

«Certo. Non è uno che dica bugie, e neppure uno di quelli che ti raccontano prima una cosa e poi un’altra, finché non capisci più qual è l’una e qual è l’altra. Su questo non c’è dubbio. E non è neppure uno di quelli che cercano di tirare il carro senza i buoi. Ma ti dico che sono contenta che se ne sia andato, perché non sta bene, ormai, visto che lui non è come prima.»

Tenar non aveva idea di quel che la strega volesse dire, tolta l’immagine di tirare il carro senza i buoi. «Non capisco perché abbia tanta paura», disse. «Cioè, in parte lo so, ma non capisco perché si vergogni tanto. Ma avrebbe preferito morire. Del resto, per me, vivere significa avere il proprio lavoro da fare, e poterlo fare. È questa la soddisfazione, il vanto. E se non puoi fare il tuo lavoro, o te lo tolgono, allora che ti resta? Occorre avere qualcosa…»

Muschio ascoltò e fece vari cenni d’assenso con la testa, come se le avesse rivelato qualche profonda verità. Poi, dopo una breve pausa, disse: «È ben strano che un uomo fatto viva come un ragazzino di quindici anni! Non ti pare?»

Tenar stava quasi per chiederle quale fosse il significato di quell’affermazione, ma qualcosa glielo impedì. Comprese che aveva teso l’orecchio per sentire i passi di Ged che rientrava dai suoi vagabondaggi nella foresta, che si aspettava di sentire la sua voce: i sensi di Tenar negavano la sua lontananza. Alzò gli occhi verso la strega: una macchia scura seduta sulla sedia di Ogion accanto al focolare spento.

«Ah!» esclamò, e in un istante le parve di capire molte cose.

«È per quello che…» continuò. «È per quello che non ho mai…»

S’interruppe, e dopo un lungo silenzio commentò: «E loro… i maghi… Che cos’è, un incantesimo?»

«Certo, cara», disse Muschio. «Una stregoneria che fanno su se stessi. Alcuni ti diranno che fanno un patto, come una specie di matrimonio al contrario, con promesse e tutto il resto, e che così riescono a ottenere un Potere maggiore. Ma a me sembra una cosa sbagliata, come se trattassero con gli Antichi Poteri, cosa che i veri maghi non possono fare. E il vecchio mago mi ha detto che non è così. Anche se so che qualche strega l’ha fatto, e senza gravi conseguenze.»

«Quelle che mi hanno allevato lo facevano», disse Tenar. «Promettevano la loro verginità.»

«Oh, certo. Non c’erano uomini, mi hai detto, ma solo quegli unuchi. Spaventoso!»

«Ma perché», si chiese Tenar, «non mi è mai venuto in mente di…»

La strega rise. «Perché è il loro Potere, cara. Non ti viene neppure in mente! Non ci pensi! E non ci pensano neanche loro, una volta fatto l’incantesimo. E come farebbero, con il Potere che hanno? Non va bene, non possono. Non puoi avere se non dai, e questo vale per tutti. Lo sanno anche loro, i maghi, gli uomini di Potere, lo sanno meglio di tutti. Però lo sai anche tu: non è facile per un uomo adulto non essere uomo, anche se può far cadere il sole dalla sua orbita. Perciò se lo tolgono del tutto dalla mente, con i loro incantesimi di legame. E l’incantesimo non sgarra. Anche nei brutti tempi che abbiamo visto recentemente, con gli incantesimi che non riuscivano o che andavano di traverso, non ho mai sentito dire di un mago che avesse violato quegli incantesimi, e che si servisse del suo Potere per soddisfare i desideri del suo corpo. Nessuno di loro, neanche i peggiori, sarebbe disposto a rischiare. Naturalmente ci sono quelli che si creano delle illusioni, ma non fanno che prendere in giro se stessi. E c’è qualche stregone di poco conto, di quelli che usano la magia per riparare le pentole, che tenta qualche incantesimo di seduzione sulle contadine, ma a quanto ho visto si tratta di incantesimi piuttosto fiacchi. Il Potere dell’uno vale quanto il Potere dell’altra, e non succede niente. Almeno, così mi pare.»