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Tenar ascoltò le parole della strega e rifletté. Alla fine disse: «Si isolano».

«Certo. I maghi devono farlo.»

«Ma tu non lo fai.»

«Io? Io sono solo una vecchia strega di villaggio, cara.»

«Vecchia quanto?»

Dopo qualche istante, la voce divertita di Zia Muschio uscì dall’oscurità: «Quanto basta a non cacciarmi più nei guai».

«Ma avevi detto… Non hai sempre mantenuto la castità.»

«Che intendi dire, cara?»

«Come i maghi.»

«Oh, no di certo!» disse la strega. «Non sono mai stata una bellezza, tuttavia riuscivo a guardarli in un certo modo… non era stregoneria, lo capisci anche tu, cara… ma se guardi gli uomini in un certo modo, loro poi vengono a cercarti, come è vero che il corvo gracchia. Dopo due o tre giorni arrivavano da me. ‘Mi occorre qualcosa per il mio cane, che ha la rogna.’ ‘Mi serve una tisana per la nonna, povera vecchia.’ Ma io sapevo benissimo quello che cercavano, e se mi piacevano poteva anche darsi che lo trovassero. Ma solo per amore… non sono di quelle, sai, anche se certe streghe lo sono, e, a mio parere, disonorano tutta la categoria. Io faccio il mio lavoro a pagamento, ma il piacere me lo prendo per amore, l’ho sempre detto. E non è sempre un piacere. Ero pazza di un uomo di qui, lo sono stata per anni, un bell’uomo, ma un cuore duro, gelido. Adesso è morto. Il padre di quel Townsend che è venuto ad abitare qui… devi averlo visto. Oh, ero talmente presa da quell’uomo che ho perfino usato la mia arte. Ho fatto tanti incantesimi su di lui, ma tutti sprecati. Niente di niente. Come cavar sangue da una rapa… E se sono venuta qui a Re Albi da ragazza era perché mi ero cacciata in un guaio con un uomo di Porto Gont. Non dovrei parlarne, perché era gente ricca, una famiglia importante. Erano loro ad avere il potere, non io! Non volevano che il figlio si mettesse con una ragazza del popolo come me, mi hanno dato della sporca puttana e mi avrebbero eliminato senza pensarci due volte, come si fa fuori un gatto, se non fossi corsa quassù. Ma, oh, come mi piaceva quel ragazzo, con le braccia e le gambe lisce, muscolose e grandi occhi neri. Sono passati molti anni, ma lo rivedo ancora davanti a me come se fosse ieri.»

Per qualche tempo, nessuna delle due parlò.

«E quando avevi un uomo, Muschio», chiese Tenar, «dovevi rinunciare al tuo Potere?»

«Nemmeno a una briciola», disse la strega, compiaciuta di sé.

«Ma hai detto che non si ha senza dare. Oppure, per le donne è diverso da com’è per gli uomini?»

«Perché, c’è qualcosa che non è diverso, cara?»

«Non saprei», rispose Tenar. «Mi pare che gran parte delle differenze ce le creiamo da noi, e poi ci lamentiamo della loro esistenza. Non vedo perché la magia, il Potere, debba essere diversa tra uomo e donna. A meno che non si tratti di due tipi diversi di magia.»

«L’uomo dà, cara. La donna prende», sentenziò Muschio.

Tenar non disse niente, ma la spiegazione l’aveva lasciata chiaramente insoddisfatta.

«Almeno in apparenza, il nostro Potere è molto piccolo accanto al loro», riprese Muschio, «ma scende in profondità. È tutto radice, come una vecchia siepe di more. Il Potere dei maghi, invece, è come una pianta di fico, grande, alta, solenne, ma se arriva una tempesta la sradica facilmente. Invece non c’è niente che riesca a distruggere una siepe di more.» Fece la sua risata chioccia, soddisfatta di avere trovato un paragone efficace. «Dunque, allora», continuò allegramente, «come ti dicevo, forse è meglio che se ne sia andato, perché la gente del villaggio cominciava a parlare.»

«A parlare?» fece Tenar, sorpresa.

«Tu sei una donna rispettabile, cara, e la reputazione è la ricchezza della donna.»

«La sua ricchezza…» disse Tenar, in tono vacuo. «Il suo tesoro. Il suo valore.» Si alzò: era stanca di stare seduta, e si stirò varie volte la schiena e le braccia. «Come i draghi che cercano una caverna e poi la trasformano in una fortezza per il loro tesoro, per le loro ricchezze, e poi si stendono sopra di esse, a dormire. Prendere, prendere e non dare mai!»

«Saprai anche tu il valore di una buona reputazione», disse Muschio, asciutta, «quando l’avrai perduta. Non è tutto, certo. Ma è difficile trovare qualcosa che la sostituisca, quando non ce l’hai più.»

«Tu rinunceresti a essere una strega per diventare una donna rispettabile, Muschio?»

«Non lo so», rispose lei, pensosa, dopo qualche istante. «Non so se potrei, però. So fare l’una, ma non so se saprei fare l’altra.»

Tenar la prese per le mani. Sorpresa, Muschio si alzò e si tirò leggermente indietro, ma Tenar la baciò sulla guancia.

La strega alzò una mano e timidamente le sfiorò i capelli: una carezza come quelle che le faceva Ogion. Poi si tirò indietro e mormorò di dover tornare a casa. Sulla soglia, però, chiese: «O forse preferivi che rimanessi, con tutti quegli stranieri che ci sono in giro?»

«Va’ pure», disse Tenar. «Sono abituata agli stranieri.»

Quella notte, addormentandosi, entrò di nuovo nelle grandi distese di vento e di luce, ma la luce era fumosa, rossa, arancione e ambra, come se l’aria stessa si fosse infuocata. In quell’elemento, lei aveva l’impressione di essere e di non essere: di volare nel vento e di essere il vento, il vento che soffiava, la forza che si liberava; e nessuna voce la chiamò.

La mattina seguente, Tenar sedeva sulla soglia e si spazzolava i capelli. Non li aveva chiari come tanti altri abitanti di Karg; aveva la pelle bianca, ma i capelli scuri. Ed erano ancora scuri, senza un solo filo grigio. Li aveva lavati con l’acqua che aveva messo a bollire per lavare i panni, perché quel giorno aveva deciso di fare il bucato, visto che Ged era andato via e che la sua rispettabilità non correva pericoli. Si era asciugata i capelli al sole, continuando a spazzolarli, e a causa dell’aria secca e calda del mattino, tra i capelli e la spazzola crepitavano piccole scintille.

Therru si fermò dietro di lei, a guardarla. Tenar si voltò e la vide così attenta che quasi tremava.

«Che cosa c’è, passerotto?»

«Il fuoco che vola via!» disse la bambina, in tono impaurito, o forse esaltata. «Per tutto il cielo!»

«Sono solo le scintille dei miei capelli», rispose Tenar, leggermente sorpresa. Therru sorrideva, e lei non ricordava di avere mai visto sorridere la bambina. Therru allora sollevò tutt’e due le mani, quella sana e quella bruciata, come per seguire il movimento di qualcosa che volava sui capelli sciolti di Tenar. «Il fuoco, esce da tutte le parti!» ripeté, ridendo.

In quel momento, Tenar si chiese per la prima volta come Therru la vedesse — come vedesse il mondo — e comprese di non saperlo: non sapeva che cosa si potesse vedere con un occhio bruciato dal fuoco. Le tornarono alla mente le parole di Ogion: «Impareranno a temerla», ma non sentì alcun timore della bambina. Invece, si diede un’altra spazzolata ai capelli, vigorosa, in modo che volassero le scintille, e ancora una volta sentì la piccola risatina roca e deliziata.

Tenar lavò le lenzuola, gli strofinacci dei piatti, le sue camicie e la gonna di ricambio, i vestitini di Therru, e posò tutto sull’erba asciutta (dopo essersi assicurata che le capre fossero nel recinto), fermandolo con alcune pietre perché il vento era forte, con una violenza da fine estate.

Therru era cresciuta. Era ancora piccola e magra per la sua età (che doveva essere sugli otto anni) ma negli ultimi due mesi, ora che finalmente le ustioni erano guarite e non le facevano più male, aveva cominciato a mangiare con più appetito e a correre di più. Le erano diventati stretti anche i vestiti, abitini usati che le erano stati passati dall’ultima figlia di Lodola, che aveva cinque anni.

Tenar pensò che poteva recarsi al villaggio per fare visita al tessitore, Ventaglio, e chiedergli un paio di scampoli in cambio degli avanzi che gli aveva fornito per i maiali. Aveva voglia di cucire un vestito per Therru e desiderava rivedere il vecchio Ventaglio. La morte di Ogion e la malattia di Ged l’avevano tenuta lontana dal villaggio e dai conoscenti che aveva laggiù. Come sempre, l’avevano allontanata dalla gente che conosceva e dalle cose che sapeva fare, dal mondo in cui aveva scelto di vivere: un mondo non di re e regine, di grandi potenze e di imperi, di magie, viaggi e avventure (pensò, mentre si accertava che Therru fosse con Erica e si metteva in cammino verso il villaggio), ma di gente comune che faceva cose comuni: sposarsi, allevare figli, coltivare i campi, cucire e fare il bucato. Quel pensiero la irritò e la sua mente allora si rivolse a Ged, che ormai doveva essere a metà strada dalla Valle di Mezzo. Se lo immaginò sul sentiero, vicino alla piccola valle dove lei e Therru erano scese per dormire: un uomo minuto, dai capelli grigi, che camminava solo e in silenzio, con in tasca mezza pagnotta del pane della strega e nel cuore un carico di tristezza.