«È ora che tu lo scopra, forse», disse tra sé, rivolgendosi però a lui. «È tempo che tu scopra di non avere imparato tutto, quando eri a Roke!» E mentre lo apostrofava così, scorse un’altra immagine: vide accanto a Ged uno degli uomini che avevano aspettato lei e Therru su quella stessa strada. Involontariamente, gridò: «Ged, attento!» perché aveva paura per lui, che non portava neppure un bastone. Non vide l’uomo massiccio con i baffi, ma un altro del gruppo, un uomo più giovane con un berretto di cuoio: quello che aveva fissato con ira Therru.
Quando alzò lo sguardo notò, proprio accanto all’abitazione di Ventaglio, la casetta in cui lei era stata ospitata durante la sua permanenza laggiù. Davanti alla casa passava in quel momento un uomo. Era l’uomo che Tenar ricordava, quello con il berretto di cuoio. Camminava per la strada e non l’aveva scorta. Lei lo vide avviarsi lungo le strade del villaggio senza fermarsi. Si dirigeva verso le colline, oppure verso il castello. Senza chiedersi perché, Tenar lo seguì a distanza finché non comprese quale fosse la sua meta. L’uomo salì in direzione del castello del Signore di Re Albi, e non imboccò la strada presa da Ged.
Allora Tenar tornò indietro e si recò dal vecchio Ventaglio.
Anche se, come tanti tessitori, era quasi un recluso, Ventaglio era sempre stato gentile, a modo suo, timidamente, con la ragazza di Karg, e aveva vigilato su di lei. Quante persone, si disse, avevano protetto la sua rispettabilità! Ormai quasi cieco, Ventaglio aveva un’apprendista che faceva gran parte del lavoro. Fu lieto di ricevere una visita. Sedeva come in pompa magna su una vecchia poltrona scolpita, sotto l’oggetto che gli aveva dato il nome: un grande ventaglio dipinto — un tesoro di famiglia -, dono, si diceva, di un generoso capitano pirata a suo nonno, per ringraziarlo di avergli fabbricato in fretta nuove vele in un momento di necessità. Era esposto aperto sulla parete. Gli uomini e le donne delicatamente dipinti, in sontuose vesti color rosa e giada e celeste, le torri e i ponti e le bandiere del Grande Porto di Havnor erano familiari a Tenar, che aveva già visto altre volte il ventaglio. Spesso, i visitatori che giungevano a Re Albi venivano portati a vederlo. Era l’oggetto più bello dell’intero villaggio: su questo, tutti erano d’accordo.
Tenar si soffermò ad ammirarlo, sapendo che la cosa sarebbe piaciuta al vecchio, ma anche perché era davvero bello, e il vecchio tessitore disse: «Non hai visto molte cose come questa, vero, in tutti i tuoi viaggi!»
«No, certo. Nella Valle di Mezzo non c’è niente di simile», rispose Tenar.
«Quando abitavi qui, nella casa accanto, ti ho mai fatto vedere la parte dietro?»
«La parte dietro? No», rispose lei, e allora il tessitore dovette assolutamente togliere dalla parete il ventaglio, anche se fu lei ad arrampicarsi per staccarlo dai chiodi, poiché il vecchio non vedeva bene e non poteva salire sulla sedia. Con voce ansiosa, lui le disse come doveva fare, e Tenar glielo consegnò; Ventaglio lo prese, lo osservò con gli occhi miopi, provò ad aprirlo e a chiuderlo per vedere se le stecche funzionavano, poi lo chiuse del tutto e lo diede a Tenar.
«Aprilo lentamente», le disse.
Lei obbedì, e le parve di vedere muoversi i draghi mentre si muovevano le pieghe del ventaglio. Dipinti con colori tenui sulla seta ingiallita, vide spostarsi e raggrupparsi tra monti e nuvole draghi color rosa, azzurro, verde, nello stesso ordine in cui erano raggruppate le figure sull’altro lato.
«Osservalo controluce», la invitò il vecchio tessitore.
Tenar fece come le diceva, e vide i due lati, i due dipinti, divenire uno solo, grazie alla luce che filtrava attraverso la seta: così, le nubi e i monti divennero le torri della città, e gli uomini e le donne ebbero le ali, e i draghi guardarono con occhi umani.
«Hai visto?» chiese il vecchio tessitore.
«Sì», mormorò lei.
«Io non posso più vederli, ma conservo l’immagine nella mia mente. Non l’ho mostrata a molte persone, quella parte.»
«È meravigliosa.»
«Volevo farla vedere al vecchio mago, ma tra una cosa e l’altra mi sono sempre dimenticato di farlo.»
Tenar guardò ancora una volta controluce il ventaglio, poi lo appese di nuovo al muro come in precedenza, con i draghi nascosti nell’oscurità e gli uomini e le donne a passeggio nella luce del giorno.
Poi il tessitore la portò a vedere i maiali, una bella coppia, ben ingrassata in vista degli insaccati di quell’autunno. Risero della goffaggine di Erica come portatrice di avanzi. Tenar gli disse che le occorreva un pezzo di tela per fare un vestito alla bambina: Ventaglio sorrise soddisfatto e le mostrò una bella pezza di lino, mentre la giovane donna che gli faceva da apprendista, e che pareva avere preso da lui anche la scarsa socievolezza, oltre che la professione, continuava ininterrottamente a lavorare al telaio, con aria irritata.
Tornando a casa, Tenar pensò a Therru seduta a quel telaio. Sarebbe stato un lavoro decoroso. Il lavoro era noioso, sempre lo stesso, ma la tessitura era comunque un lavoro onorevole e nelle mani di alcuni una nobile arte. E non era insolito il fatto che i tessitori fossero un po’ schivi, e che molti di loro non si sposassero, chiusi tutto il giorno a fare il loro lavoro: tuttavia erano rispettati. E lavorando in casa, seduta al telaio, Therru non avrebbe dovuto mostrare la faccia. Ma la mano rattrappita? Con quella poteva spingere la spola, preparare l’ordito?
E si sarebbe dovuta nascondere per tutta la vita?
Ma che cosa doveva fare? «Sapendo come dev’essere la sua vita…»
Tenar cercò di pensare ad altro. Al vestito che le avrebbe fatto. I vestiti della figlia di Lodola erano di ruvida stoffa fatta in casa, brutti come il peccato. Lei, invece, poteva tingere metà della pezza, magari di giallo, o addirittura di rosso con la robbia della palude. E poi fare un grembiule o una sopravveste bianca, con una gala. Perché mai Therru doveva sempre rimanere nascosta in casa, al telaio, e non avere mai una gala al vestito? La tela era sufficiente per un’altra camicia, e forse per un altro grembiule, se l’avesse tagliata attentamente.
«Therru!» chiamò, avvicinandosi alla casa. Quando era uscita, Erica e Therru erano nel recinto delle capre. La chiamò di nuovo, perché voleva mostrare alla bambina la tela e parlarle del vestito. Erica arrivò da dietro la capanna, portando con sé Sippy, legata a una corda.
«Dov’è Therru?»
«Con te», rispose la ragazza, con una tale tranquillità che Tenar si guardò attorno, alla ricerca della bambina, prima di capire che Erica non aveva idea di dove si trovasse, e che aveva semplicemente espresso a voce una sua speranza.
«Dove l’hai lasciata?»
Erica non ne aveva idea. Non aveva mai tradito la fiducia di Tenar, in precedenza; sembrava aver capito che Therru doveva essere sempre tenuta d’occhio, come Sippy. Ma forse era la stessa Therru ad averlo intuito, e a tenersi vicino a lei? Tenar pensò che fosse questa la spiegazione e, non ricevendo indicazioni da Erica, cominciò a chiamare la bambina, ma non ricevette risposta.