Verso mezzogiorno il Bonadventure era arrivato alla foce del fiume della Cascata. Al di là, sulla riva destra, gli alberi riapparvero, ma più rari, e tre miglia più innanzi, essi non formavano che gruppetti isolati fra i contrafforti occidentali del monte, la cui arida schiena si prolungava fino al litorale.
Quale contrasto fra la parte sud e la parte nord di quella costa! Tanto la prima era boscosa e verdeggiante, quanto l’altra era aspra e selvaggia! Si sarebbe detta una «costa ferrigna», come viene chiamata in certi paesi, e la sua struttura tormentata sembrava indicare che una vera cristallizzazione s’era bruscamente prodotta nel basalto ancora ardente delle epoche geologiche. Ammassamento dall’aspetto terribile, che avrebbe a tutta prima spaventato i coloni, se il caso li avesse gettati su questa parte dell’isola. Dalla cima del monte Franklin non avevano potuto notare l’aspetto profondamente sinistro di quella sponda, giacché la dominavano troppo dall’alto; ma, visto dal mare, quel litorale si presentava con un carattere così strano, che forse non si sarebbe trovato l’uguale in nessuna parte del mondo.
Il Bonadventure passò davanti a quella costa alla distanza di mezzo miglio. Fu facile vedere che si componeva di massi delle più svariate dimensioni, da venti fino a trecento piedi di altezza, e di tutte le forme, cilindrici come rulli, prismatici come campanili, piramidali come obelischi, conici come ciminiere di fabbriche. Una banchisa di mare glaciale non sarebbe stata più capricciosa nel suo sublime orrore! Qui, ponti gettati da uno scoglio all’altro; là, arcate disposte come quelle di una navata di cattedrale, di cui lo sguardo non poteva scoprire la profondità; in un punto, larghi incavi, le cui volte avevano un aspetto monumentale; in un altro, una vera folla di punte, di piccole piramidi, di guglie, come nessuna cattedrale gotica ha mai potuto vantare. Tutti i capricci della natura, più variati ancora di quelli dell’immaginazione, ornavano il litorale grandioso, che si prolungava per una lunghezza di otto o nove miglia.
Cyrus Smith e i suoi compagni guardavano con un sentimento di sorpresa, che confinava con la stupefazione. Ma se essi rimanevano muti, Top non si peritava di emettere latrati, che destavano i mille echi della muraglia basaltica. L’ingegnere osservò che quei latrati avevano qualche cosa di strano, proprio come quelli fatti udire dal cane alla bocca del pozzo di GraniteHouse.
«Andiamo ancora sotto costa» disse.
E il Bonadventure andò a randeggiare lungo gli scogli. Esisteva forse là qualche grotta, che conveniva esplorare? Ma Cyrus Smith non vide nulla: non una caverna, non un’anfrattuosità, che potesse servire di rifugio a un essere qualsiasi, poiché la base delle rocce era sotto il livello delle acque. Poco dopo i latrati di Top cessarono e l’imbarcazione tornò in rotta ad alcune gomene dal litorale.
Nella parte nordovest dell’isola, il lido ridivenne piano e sabbioso. Rari alberi si profilavano sopra una terra bassa e paludosa, che i coloni avevano già intravista, e, con contrasto violento con l’altra costa deserta, la vita vi si manifestava con la presenza di miriadi d’uccelli acquatici.
La sera, il Bonadventure ormeggiò in un piccolo seno della costa, a nord dell’isola, vicino a terra, talmente le acque erano profonde in quel punto. La notte passò tranquillamente, perché la brezza cessò con le ultime luci del giorno e non riprese che con le prime sfumature dell’alba.
Siccome era facile prendere terra quella mattina, i cacciatori ufficiali della colonia, cioè Harbert e Gedeon Spilett, andarono a fare una passeggiata di due ore e ritornarono con parecchie filze di beccaccini e anatre. Top aveva fatto prodigi e non un capo di selvaggina era andato perduto, grazie al suo zelo e alla sua destrezza.
Alle otto del mattino, il Bonadventure salpava e filava rapidissimamente verso il capo MandibolaNord, andando in fil di ruota mentre il vento tendeva a rinfrescare.
«Del resto,» disse Pencroff «non mi meraviglierei che si preparasse qualche burrasca da ovest. Ieri il sole è tramontato su un orizzonte molto rosso e stamane vedo delle «code di gatto» che non promettono nulla di buono.»
Le «code di gatto» erano cirri lunghi e sottili, sparpagliati allo zenit, e la cui altezza sul livello del mare non è mai inferiore ai cinquemila piedi. Si sarebbero detti leggeri batuffoli di ovatta, e la loro presenza annuncia generalmente l’approssimarsi di qualche perturbazione atmosferica.
«Bene,» disse Cyrus Smith, «spieghiamo tutta la tela possibile e andiamo a ridosso nel golfo del Pescecane. Credo che il Bonadventure vi si troverà al sicuro.»
«Benissimo» rispose Pencroff; «d’altronde, la costa nord è formata di dune di scarso interesse.»
«Non mi dispiacerebbe» soggiunse l’ingegnere «passare non solo la notte, ma anche tutta la giornata di domani in questa baia, che merita d’essere esplorata con ogni cura.»
«Credo che vi saremo costretti, lo vogliamo o no» rispose Pencroff; «giacché l’orizzonte comincia a diventare minaccioso verso ovest! Guardate come s’oscura!»
«A ogni modo, abbiamo vento favorevole per raggiungere il capo Mandibola» osservò il giornalista.
«Vento buonissimo» rispose il marinaio; «ma per entrare nel golfo, bisognerà bordeggiare, e mi piacerebbe vederci chiaro in quei paraggi che non conosco!»
«Paraggi che devono essere seminati di scogli,» aggiunse Harbert «se dobbiamo giudicare da quanto abbiamo veduto sulla costa sud del golfo del Pescecane.»
«Pencroff,» disse allora Cyrus Smith «fate ciò che credete meglio. Ci rimettiamo a voi.»
«State tranquillo, signor Cyrus,» rispose il marinaio «non mi esporrò senza necessità! Preferirei una coltellata nella mia opera viva, che andare su uno scoglio con quella del mio Bonadventure!»
Ciò che Pencroff chiamava opera viva era la parte immersa dello scafo, alla quale egli teneva più che alla sua stessa pelle!
«Che ora è?» chiese Pencroff.
«Le dieci» rispose Gedeon Spilett.
«Che distanza ci separa dal capo, signor Cyrus?»
«Circa quindici miglia» rispose l’ingegnere.
«È questione di due ore e mezzo» disse allora il marinaio. «Saremo all’altezza del capo fra mezzogiorno e l’una. Sfortunatamente, la marea diventa discendente in quel momento, e il riflusso uscirà dal golfo. Temo molto che sarà difficile entrarvi, avendo vento e mare contrari.»
«Tanto più che oggi è luna piena» fece osservare Harbert; «e le maree d’aprile sono fortissime.»
«Bene, Pencroff,» domandò Cyrus Smith «non potete dare fondo alla punta del capo?»
«Gettare l’ancora vicino a terra, con cattivo tempo in vista?» esclamò il marinaio. «Ci pensate, signor Cyrus? Sarebbe proprio voler finire in costa!»
«Allora, che cosa farete?»
«Cercherò di tenermi al largo fino all’ora del flusso, vale a dire sino alle sette della sera; e poi, se sarà ancora abbastanza chiaro, tenterò di entrare nel golfo; altrimenti, ci terremo sui bordi per tutta la notte ed entreremo domani al sorgere del sole.»
«Ve l’ho detto, Pencroff, ci rimettiamo a voi!» disse Cyrus Smith.
«Ah!» fece Pencroff «se ci fosse un faro su questa costa, sarebbe più comodo per i naviganti!»
«Sì» rispose Harbert; «ma questa volta non avremo l’ingegnere compiacente che ci accenda un fuoco per guidarci in porto!»
«To’! È vero, caro Cyrus,» disse Gedeon Spilett «non vi abbiamo mai ringraziato; ma, francamente, senza quel fuoco, non avremmo mai potuto raggiungere…»
«Un fuoco?» chiese Cyrus Smith, meravigliatissimo delle parole del cronista.
«Vogliamo dire, signor Cyrus,» spiegò Pencroff «che fummo assai preoccupati a bordo del Bonadventure durante le ultime ore che precedettero il nostro ritorno, e saremmo passati sottovento all’isola, se non fosse stato per la precauzione da voi presa, la notte dal 19 al 20 ottobre, di accendere un fuoco sull’altipiano di GraniteHouse.»