Così stabilito, Ayrton fece i preparativi per la partenza. Il suo proposito era audace, ma poteva riuscire, grazie all’oscurità della notte. Una volta arrivato al bastimento, Ayrton, aggrappandosi o alle briglie di bompresso o alle landre dei parasartie, avrebbe potuto conoscere il numero e forse sorprendere le intenzioni dei deportati.
Ayrton e Pencroff, seguiti dai compagni, scesero sulla spiaggia. Ayrton si spogliò e si spalmò di grasso, per soffrir meno della temperatura dell’acqua, che era ancora fredda. Poteva darsi, infatti, che fosse obbligato a rimanervi per parecchie ore.
Pencroff e Nab, intanto, erano andati a cercare la piroga, ormeggiata alcune centinaia di passi più in su, sulla riva del Mercy, e quando ritornarono, Ayrton era pronto a partire.
Sulle spalle di Ayrton venne gettata una coperta, e i coloni gli strinsero la mano.
Erano le dieci e mezzo della sera, quando tutti e due sparvero nell’oscurità. I loro compagni andarono ad attenderli ai Camini.
Il canale fu agevolmente attraversato e la piroga approdò alla riva opposta dell’isolotto. Questo fu fatto non senza qualche precauzione, nel caso in cui dei pirati si fossero aggirati da quelle parti. Ma, dopo alcuni accertamenti, parve assodato che l’isolotto fosse deserto. Dunque, Ayrton, seguito da Pencroff, lo attraversò con passo rapido, spaventando gli uccelli annidati nei buchi delle rocce; poi, senza esitare, si gettò in mare e nuotò senza rumore in direzione del bastimento, del quale alcune luci, accese da poco, indicavano allora la posizione esatta.
Quanto a Pencroff, si rannicchiò in un’anfrattuosita della riva e attese il ritorno del compagno.
Intanto, Ayrton nuotava vigorosamente e scivolava attraverso la distesa d’acqua senza produrvi nemmeno il più lieve fremito. La sua testa affiorava appena e i suoi occhi si fissavano sulla massa scura del brigantino, i cui fanali si riflettevano nel mare. Egli non pensava che al dovere che aveva promesso di compiere e non si preoccupava nemmeno dei pericoli che correva, non solo a bordo della nave, ma anche in quei paraggi, spesso frequentati dai pescicani. La corrente lo portava ed egli s’allontanava rapidamente dalla costa.
Una mezz’ora dopo, Ayrton, senza essere stato veduto né sentito, si immergeva, accostava la nave e s’aggrappava con una mano alle briglie del bompresso. Allora respirò, e issandosi sulle catene, pervenne a raggiungere l’estremità del tagliamare. Là stavano ad asciugare alcune paia di calzoncini da marinaio. Ne infilò un paio. Poi, essendosi collocato in posizione sicura, ascoltò.
A bordo del brigantino non si dormiva. Tutt’altro. Si discuteva, si cantava, si rideva. Ed ecco le parole, accompagnate da bestemmie, che maggiormente colpirono Ayrton:
«Che buon acquisto il nostro brigantino!»
«Fila bene, lo Speedy! (Nota: Parola inglese che significa veloce. Fine nota) Merita il suo nome!»
«Tutta la marina di Norfolk può mettersi al suo inseguimento, senza poterlo raggiungere.»
«Evviva il suo comandante!»
«Evviva Bob Harvey!»
Sarà facile comprendere quello che Ayrton provasse udendo questo frammento di conversazione, quando si saprà che in Bob Harvey aveva riconosciuto uno dei suoi vecchi compagni d’Australia, un marinaio audace, che aveva proseguito i suoi criminosi disegni. Bob Harvey s’era impadronito, nei paraggi dell’isola di Norfolk, di quel brigantino, carico d’armi, di munizioni, di utensili d’ogni sorta, destinati a una delle isole Sandwich. Tutta la sua banda era salita a bordo e, pirati dopo essere stati deportati, quei miserabili scorrevano ora l’Oceano Pacifico, distruggendo le navi, massacrando gli equipaggi, depredando, più feroci degli stessi malesi!
I deportati parlavano ad alta voce, raccontavano le loro nefande prodezze, bevevano esageratamente. Ed ecco quello che Ayrton poté comprendere dai loro discorsi:
L’equipaggio dello Speedy si componeva ora unicamente di prigionieri inglesi, evasi da Norfolk.
Ed ecco che cos’è Norfolk.
A 29° 2’ di latitudine sud e 165° 42’ di longitudine est, ad est dell’Australia, si trova una piccola isola di sei leghe di circonferenza; è dominata dal monte Pitt, da un’altezza di millecinquecento piedi sul livello del mare. È l’isola di Norfolk, divenuta sede di uno stabilimento di pena, ove sono rinchiusi i più pericolosi condannati dei penitenziari inglesi. Ve ne sono cinquecento, sottoposti a una disciplina di ferro, colpiti da pene terribili, custoditi da centocinquanta soldati e centocinquanta guardie agli ordini d’un governatore. Sarebbe difficile immaginare una peggior genia di scellerati. Qualche volta, benché accada raramente, nonostante la ferrea sorveglianza di cui sono oggetto, parecchi riescono a fuggire, impadronendosi di navi, che sorprendono; con queste poi si danno alla pirateria negli arcipelaghi polinesiani.
Così avevano fatto Bob Harvey e i suoi compagni. Così un giorno aveva voluto fare anche Ayrton. Bob Harvey s’era impadronito del brigantino Speedy, ancorato in vista dell’isola di Norfolk; l’equipaggio era stato massacrato e da un anno la nave, divenuta bastimento di pirati, batteva i mari del Pacifico, al comando di Harvey, un tempo capitano di lungo corso, ora predone del mare. E Ayrton lo conosceva bene!
I pirati erano per la maggior parte riuniti sul casseretto, a poppa della nave, ma alcuni, stesi in coperta, parlavano fra loro ad alta voce.
Mentre la conversazione continuava sempre in mezzo alle grida e alle libagioni, Ayrton apprese che soltanto il caso aveva condotto lo Speedy in vista dell’isola di Lincoln. Bob Harvey non vi aveva mai messo piede, ma — come Cyrus Smith aveva presagito — trovando sulla sua rotta quella terra sconosciuta, di cui nessuna carta indicava l’ubicazione, aveva pensato di visitarla e, all’occorrenza, se essa gli conveniva, di farne il porto di armamento del brigantino..
Quanto alla bandiera nera inalberata sull’antenna dello Speedy e al colpo di cannone ch’era stato sparato, come fanno le navi da guerra nel momento in cui ammainano la bandiera, era una pura spavalderia da pirati. Non era punto un segnale e nessuna comunicazione esisteva ancora tra gli evasi da Norfolk e l’isola di Lincoln.
La proprietà dei coloni era, dunque, minacciata da un enorme pericolo! Evidentemente, l’isola, con la sua abbondante riserva d’acqua dolce, il suo piccolo porto, le sue ricchezze naturali d’ogni sorta, così ben valorizzate dai coloni, le profondità celate di GraniteHouse, non poteva non convenire ai deportati. Nelle loro mani, essa sarebbe divenuta un eccellente luogo di rifugio e, per il fatto stesso ch’era sconosciuta, avrebbe assicurato loro, per lungo tempo forse, l’impunità e la sicurezza. Era pure evidente che la vita dei coloni non sarebbe stata rispettata e che il primo proposito di Bob Harvey e dei suoi complici sarebbe stato di massacrarli senza misericordia. Cyrus Smith e i suoi non avevano, dunque, nemmeno la speranza di fuggire, di nascondersi nell’interno dell’isola, perché i deportati si proponevano di stabilirvi la loro residenza e perché, anche nel caso che lo Speedy fosse partito per una spedizione, probabilmente alcuni uomini dell’equipaggio sarebbero pur sempre rimasti a terra, per colonizzarla. Dunque, bisognava combattere, bisognava distruggere fino all’ultimo quei miserabili, indegni di pietà e contro i quali ogni mezzo sarebbe stato buono.
Questo pensò Ayrton, e sapeva bene che Cyrus Smith avrebbe condiviso il suo modo di vedere.
Ma, la resistenza e, alla fine, la vittoria, erano possibili? Ciò dipendeva dall’armamento del brigantino e dal numero d’uomini ch’erano a bordo.
Ayrton volle saperlo a ogni costo e siccome, un’ora dopo il suo arrivo, le vociferazioni s’erano calmate un poco e buona parte dei deportati erano immersi nel sonno dell’ubriachezza, egli non esitò ad avventurarsi sul ponte dello Speedy, che le lanterne spente lasciavano allora in una profonda oscurità.