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«Signor Cyrus,» disse Harbert «ciò che mi stupisce però è che questa esplosione non abbia prodotto maggiore effetto. La detonazione non è stata forte e, insomma, pochi sono i rottami e le tavole divelte. Sembrerebbe che il bastimento sia piuttosto colato a picco che saltato.»

«Ti stupisce questo, figlio mio?» domandò l’ingegnere.

«Sì, signor Cyrus.»

«E meraviglia anche me, Harbert» rispose l’ingegnere; «ma quando visiteremo lo scafo del brigantino, avremo la spiegazione del fatto.»

«Ah, diamine, signor Cyrus,» disse Pencroff «non pretenderete, spero, che lo Speedy sia colato così, semplicemente, come un bastimento che urta contro uno scoglio!»

«Perché no?» osservò Nab «Vi sono degli scogli nel canale!»

«Bravo, Nab!» rispose Pencroff. «Non hai aperto gli occhi al momento buono! Un istante prima di affondare, il brigantino — l’ho veduto perfettamente — s’è sollevato su di un’onda enorme ed è poi ricaduto, inclinandosi sulla sinistra. Ora, se avesse soltanto urtato, sarebbe colato molto tranquillamente, come ogni onesta nave che cola a picco.»

«Ma è che appunto non si trattava di un’onesta nave!» rispose Nab.

«Insomma, vedremo, Pencroff» soggiunse l’ingegnere.

«Vedremo» aggiunse il marinaio. «Ma scommetterei la testa che non ci sono rocce nel canale. Via, signor Cyrus; vorreste forse dire che c’è ancora qualcosa di misterioso in questo avvenimento?»

Cyrus Smith non rispose.

«A ogni modo,» disse Gedeon Spilett «urto o esplosione, converrete, Pencroff, che è arrivato proprio a puntino.»

«Sì!… sì…» rispose il marinaio «ma non è questa la faccenda.»

Domando al signor Smith se vede, in quanto è avvenuto, qualcosa di soprannaturale.

«Non mi pronuncio, Pencroff» disse l’ingegnere. «Questo è tutto quanto vi posso rispondere.»

Risposta che non soddisfece menomamente Pencroff. Egli propendeva per «un’esplosione», e non volle ricredersi. Mai avrebbe potuto ammettere che in quel canale, formato da un letto di sabbia fine come quella della spiaggia stessa, e ch’egli aveva spesso attraversato con la bassa marea, vi fosse uno scoglio ignorato. E d’altronde, nel momento in cui il brigantino affondava, la marea era alta, vale a dire aveva più acqua sotto la chiglia di quanta gliene occorresse per superare, senza urtarli, tutti gli scogli che si fossero mostrati scoperti a marea bassa. Dunque, non poteva esservi stato urto. Dunque, il bastimento non aveva toccato. Dunque, era saltato in aria.

E bisognava convenire che il ragionamento del marinaio non mancava di una certa logica.

Verso l’una e mezzo i coloni s’imbarcarono nella piroga e si recarono sul luogo del disastro. Era deplorevole che le due imbarcazioni del brigantino non avessero potuto essere ricuperate. Una, com’è noto, s’era fracassata alla foce del Mercy ed era assolutamente fuori uso; l’altra era sparita con il brigantino, e schiacciata indubbiamente dal medesimo, non era più riapparsa.

Intanto, lo scafo dello Speedy cominciava a mostrarsi al di sopra della linea d’acqua. Il brigantino era talmente inclinato sul fianco, che, dopo aver rotto gli alberi sotto il peso della zavorra spostata dalla caduta, si trovava quasi con la chiglia in aria. Era stato veramente capovolto dall’inesplicabile, ma spaventosa azione sottomarina, che s’era nello stesso tempo manifestata con un’enorme tromba d’acqua.

I coloni fecero il giro dello scafo, e via via che la marea calava, poterono conoscere, se non la causa che aveva provocato la catastrofe, per lo meno l’effetto prodotto.

A prua, ai due lati della chiglia, da sette ad otto piedi prima della ruota di prua, i fianchi del brigantino erano spaventevolmente squarciati per una lunghezza di venti piedi almeno. S’aprivano colà due larghe falle che sarebbe stato impossibile turare. Non solo la fodera di rame e il fasciame erano scomparsi, ridotti senza dubbio in polvere, ma persino dell’ossatura della nave, della chiodatura e delle caviglie di legno che la tenevano insieme non v’era più traccia. Lungo tutto lo scafo, sino alle forme di poppa, i corsi disgiunti non tenevano più. La falsa chiglia era stata divelta con violenza inesplicabile, e la chiglia stessa, strappata dal paramezzale in parecchi punti, era rotta in tutta la sua lunghezza.

«Per mille diavoli!» esclamò Pencroff. «Ecco una nave che sarà difficile rimettere a galla.»

«Dite impossibile» osservò Ayrton.

«In ogni caso,» fece osservare a sua volta Gedeon Spilett al marinaio «l’esplosione, se esplosione c’è stata, ha prodotto degli strani effetti. Ha provocato lo squarcio dello scafo nelle sue parti inferiori, invece di far saltare il ponte e l’opera morta! Queste larghe. aperture sembra siano state fatte piuttosto dall’urto di uno scoglio, che dall’esplosione di un deposito di polvere!»

«Non ci sono scogli nel canale!» replicò il marinaio. «Ammetto tutto quello che volete, eccetto l’urto contro una secca.»

«Cerchiamo di penetrare nell’interno del brigantino» disse l’ingegnere. «Forse sapremo che cosa pensare circa la causa della sua distruzione.»

Era la miglior decisione da prendere e, del resto, conveniva inventariare tutte le ricchezze contenute a bordo e disporre per il loro ricupero.

L’accesso nell’interno del brigantino era facile. La marea scendeva sempre e il disotto del ponte, divenuto ora il disopra per il rovesciamento dello scafo, era praticabile. La zavorra, composta di pesanti pani di ghisa, l’aveva sfondato in più punti. Si sentiva il mare rumoreggiare, passando per le fessure dello scafo.

Cyrus Smith e i suoi compagni, con l’ascia in mano, avanzarono sul ponte molto danneggiato. Casse d’ogni sorta lo ingombravano e siccome erano rimaste in acqua solo per un tempo limitato, il loro contenuto, probabilmente, non era avariato.

I coloni s’occuparono dunque di mettere tutto quel carico in un posto sicuro. L’acqua non sarebbe risalita che entro alcune ore, che furono utilizzate nel modo più profittevole. Ayrton e Pencroff avevano fissato, ad un’apertura praticata nello scafo, un paranco che serviva ad alare i barili e le casse. La piroga riceveva il materiale e lo trasportava immediatamente sulla spiaggia. Si raccoglieva tutto indistintamente, salvo fare più tardi una cernita degli oggetti ricuperati.

In ogni caso, i coloni poterono subito constatare, con viva soddisfazione, che il brigantino possedeva un carico molto svariato, un assortimento d’articoli di tutte le specie: utensili, manufatti, strumenti, il carico, cioè, dei bastimenti che fanno il grande cabotaggio della Polinesia. Forse i coloni avrebbero trovato un po’ di tutto, e bisognava convenire ch’era appunto quello che loro occorreva.

Tuttavia, e Cyrus Smith l’osservava con tacita meraviglia, non solo lo scafo del brigantino, come s’è detto, aveva sofferto enormemente per l’urto, qualunque fosse la sua origine, che aveva determinato la catastrofe, ma tutta la struttura interna era devastata, specialmente verso prua. Paratie e puntelli erano schiantati, come se qualche formidabile granata fosse scoppiata nell’interno del brigantino. I coloni poterono portarsi facilmente da prua a poppa, dopo aver rimosso le casse che venivano estratte a poco a poco. Non erano pesanti, né difficili a rimuoversi, ma semplici colli, il cui stivaggio era reso irriconoscibile.

I coloni giunsero sino a poppa del brigantino, nella parte, un tempo, sormontata dal casseretto. Secondo l’indicazione di Ayrton qui bisognava cercare la cala della polvere. Poiché Cyrus Smith pensava ch’essa non fosse esplosa, era possibile che alcuni barili potessero essere recuperati e che la polvere, ordinariamente contenuta in involucri metallici, non avesse sofferto al contatto dell’acqua.

Così era, infatti. In mezzo a una grande quantità di proiettili, i coloni trovarono una ventina di barili, internamente foderati di rame, che furono estratti con precauzione. Pencroff si convinse con i suoi propri occhi che la distruzione dello Speedy non poteva essere attribuita a un’esplosione. La parte dello scafo in cui si trovava la cala della polvere era precisamente quella che aveva sofferto meno.