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«Signor Cyrus,» disse un giorno Pencroff (era l’8 novembre) «adesso che l’armamento è terminato, dobbiamo provare la gittata dei pezzi.»

«Credete che sia utile?» rispose Cyrus Smith.

«È più che utile, è necessario! Altrimenti, come conoscere la distanza alla quale possiamo mandare uno di questi bei proiettili?»

«Proviamo, dunque, Pencroff» rispose l’ingegnere. «Tuttavia, credo che ci convenga fare l’esperimento adoperando non la polvere ordinaria, di cui desidero lasciare intatta la riserva, ma la pirossilina, che non ci mancherà mai.»

«Questi cannoni potranno sopportare la deflagrazione della pirossilina?» chiese il giornalista che non desiderava meno di Pencroff far la prova dell’artiglieria di GraniteHouse.

«Credo di sì. D’altronde,» soggiunse l’ingegnere «agiremo prudentemente.»

L’ingegnere aveva notato che quei cannoni erano di eccellente fabbricazione ed egli se ne intendeva. Fatti in acciaio temperato e a retrocarica, dovevano poter sopportare una carica considerevole e di conseguenza avere un’enorme portata. Infatti, dal punto di vista dell’effetto utile, la traiettoria descritta della palla da cannone dev’essere tesa il più possibile, e questa tensione non si può ottenere che a condizione che il proiettile sia animato da una grandissima velocità iniziale.

«Ora,» disse Cyrus Smith ai compagni «la velocità iniziale è in ragione della quantità di polvere utilizzata. Nella fabbricazione dei pezzi, tutto sta nell’impiego di un materiale quanto più possibile resistente e l’acciaio è incontestabilmente di tutti i metalli quello che resiste meglio. Ho, dunque, ragione di pensare che i nostri cannoni sopporteranno senza rischio l’espansione dei gas della pirossilina e daranno risultati eccellenti.»

«Ne saremo ancora più certi quando avremo provato!» disse Pencroff.

È inutile dire che i quattro cannoni erano in perfetto stato. Dopo che furono tolti dall’acqua, il marinaio s’era assunto il compito di lucidarli coscienziosamente. Quante ore aveva passato a sfregarli, ungerli di grasso, lisciarli, a pulire il meccanismo dell’otturatore e la vite di pressione! E adesso i pezzi erano brillanti come a bordo d’una fregata della marina degli Stati Uniti.

In quel giorno, dunque, alla presenza di tutto il personale della colonia, mastro Jup e Top compresi, i quattro cannoni furono successivamente provati. Vennero caricati con pirossillina, tenendo conto della sua potenza esplosiva, la quale, come si è detto, è quadrupla di quella della polvere ordinaria. I proiettili che dovevano lanciare erano cilindroconici.

Pencroff, tenendo la corda della miccia, era pronto a far fuoco.

A un segno di Cyrus Smith, il colpo parti. Il proiettile, diretto sul mare, passò al disopra dell’isolotto e andò a perdersi al largo, a una distanza che non fu possibile calcolare con esattezza.

Il secondo cannone fu puntato sulle estreme rocce della punta del Relitto e il proiettile, colpendo una pietra aguzza a circa tre miglia da GraniteHouse, la fece volare in schegge.

Era Harbert che aveva puntato il cannone e sparato, e fu molto fiero del suo colpo di prova. Ma Pencroff ne fu più fiero di lui! Un colpo simile, e tutto il merito spettava al suo caro ragazzo!

Il terzo proiettile, lanciato stavolta sulle dune che formavano la costa superiore della baia dell’Unione, colpì la sabbia a una distanza di almeno quattro miglia; poi, dopo aver rimbalzato, si perdette in mare, entro una nube di spuma.

Per il quarto pezzo Cyrus Smith forzò un poco la carica, allo scopo di provarne l’estrema portata. Poi fu accesa la miccia a mezzo di una lunga corda, poiché ognuno s’era tratto in disparte per l’eventualità che esplodesse.

Fu udita una violenta detonazione, ma il pezzo aveva resistito, e i coloni, che s’erano precipitati alla finestra, poterono vedere il proiettile sfiorare, smussandole, le rocce del capo Mandibola, a circa cinque miglia di distanza da GraniteHouse, e scomparire poi nel golfo del Pescecane.

«Ebbene, signor Cyrus,» esclamò Pencroff, i cui evviva avrebbero potuto gareggiare con le detonazioni prodotte dalle cannonate «che cosa dite della nostra batteria? Tutti i pirati del Pacifico non hanno che da presentarsi davanti a GraniteHouse! Non uno sbarcherà adesso senza il nostro permesso!»

«Credete a me, Pencroff,» rispose l’ingegnere «è meglio non farne l’esperienza.»

«A proposito!» riprese il marinaio «e dei sei furfanti che s’aggirano per l’isola, che cosa ne faremo? Li lasceremo scorrazzare per le nostre foreste, i nostri campi, le nostre praterie? Sono veri giaguari, quei pirati, e mi sembra che non dobbiamo esitare a trattarli come tali. Che cosa ne pensate, Ayrton?» soggiunse Pencroff voltandosi verso il compagno.

Ayrton esitò sulle prime a rispondere, e Cyrus Smith deplorò che Pencroff gli avesse un po’ sbadatamente rivolto quella domanda; provò, quindi, una forte commozione quando Ayrton rispose con voce umile:

«Sono stato uno di quei giaguari, signor Pencroff, e non ho il diritto di parlare…»

E si allontanò lentamente. Pencroff aveva compreso.

«Maledetta bestia che sono!» esclamò. «Povero Ayrton! Eppure egli ha diritto di parlare qui quanto chiunque altro!»

«Sì,» disse Gedeon Spilett «ma la sua riservatezza gli fa onore e conviene rispettare il sentimento di dolore, che conserva per il suo triste passato.»

«Ho inteso, signor Spilett,» rispose il marinaio «e non ricadrò più in simile indelicatezza! Preferirei mangiarmi la lingua piuttosto che esser causa di un dispiacere ad Ayrton! Ma ritorniamo al nostro argomento. Mi sembra che quei banditi non abbiano diritto ad alcuna pietà e che dobbiamo al più presto sbarazzarne l’isola.»

«È proprio questo il vostro parere, Pencroff?» chiese l’ingegnere.

«Assolutamente.»

«E prima di dar loro la caccia senza misericordia, non vorreste aspettare che facciano nuovi atti di ostilità contro di noi?»

«Quello che hanno fatto non basta, dunque?» domandò Pencroff, che non capiva quelle esitazioni.

«Possono rinascere a nuovi sentimenti e, forse, pentirsi…»

«Pentirsi, quelli!» esclamò il marinaio, alzando le spalle.

«Pencroff, pensa ad Ayrton!» disse allora Harbert, prendendo la mano del marinaio. «È tornato un uomo onesto!»

Pencroff guardò i suoi compagni uno dopo l’altro. Non avrebbe mai creduto che la sua proposta dovesse provocare un’esitazione qualunque. La sua rude natura non poteva ammettere che si transigesse con i malfattori sbarcati nell’isola, con i complici di Bob Harvey, gli assassini dell’equipaggio dello Speedy; ed egli li considerava come bestie feroci, che bisognava distruggere senza esitazione e senza rimorsi.

«To’!» fece. «Ho tutti contro. Volete esser generosi con quei miserabili! Sia pure. Voglia il Cielo che non dobbiamo pentircene!»

«Quale pericolo possiamo correre,» disse Harbert «se stiamo in guardia?»

«Uhm!» fece il giornalista, che non si pronunciava. «Sono sei e bene armati. Se ciascuno di loro s’imbosca in un angolo e spara su di noi, saranno in breve padroni della colonia!»

«Perché non l’hanno ancora fatto?» disse Harbert. «Indubbiamente perché trovano che non è nel loro interesse. Del resto, noi pure siamo sei.»

«Bene, bene!» rispose Pencroff, che nessun ragionamento avrebbe potuto convincere. «Lasciamo quei galantuomini dedicarsi alle loro piccole occupazioni e non ci pensiamo più.»

«Andiamo, Pencroff» disse Nab. «Non dimostrarti più cattivo di quel che sei! Scommetto che se uno di quegli sciagurati fosse qui, dinanzi a te, a buon tiro di fucile, tu non gli spareresti addosso…»