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«Tirerei su lui come su un cane arrabbiato, Nab» rispose freddamente Pencroff.

«Pencroff,» disse allora l’ingegnere «avete spesso dimostrato molta deferenza verso i miei consigli. Volete anche in questa circostanza rimettervi alla mia decisione?»

«Farò come piacerà a voi, signor Smith» rispose il marinaio, che però non era per nulla convinto.

«Ebbene, aspettiamo, e non attacchiamo che quando saremo attaccati. In questo senso fu decisa la condotta da tenere verso i pirati, benché»

Pencroff non se ne aspettasse niente di buono. I coloni non li avrebbero attaccati, ma sarebbero stati in guardia. Dopo tutto, l’isola era grande e fertile. Se qualche sentimento d’onestà era rimasto in fondo alla loro anima, quei miserabili potevano forse emendarsi. Conveniva loro, nelle condizioni in cui dovevano ormai vivere, rifarsi una vita nuova. A ogni modo, non foss’altro che per umanità, si doveva attendere. I coloni forse non avrebbero più avuta la facoltà d’andare e venire senza timore, come per il passato. Sino allora non avevano avuto da guardarsi che dagli animali selvaggi; ora, invece, sei pirati, forse della peggior specie, s’aggiravano per l’isola. Era grave, indubbiamente, e per uomini meno coraggiosi sarebbe stata la perdita di ogni tranquillità.

Non importa! I coloni avevano ora ragione contro Pencroff. Avrebbero avuto ragione anche in avvenire? Vedremo.

CAPITOLO VI

PROPOSITI DI SPEDIZIONE «AYRTON NEL RECINTO» VISITA A PORTO PALLONE «OSSERVAZIONI FATTE DA PENCROFF A BORDO DEL «BONADVENTURE»«DISPACCIO INVIATO AL RECINTO «AYRTON NON RISPONDE» PARTENZA DEL GIORNO DOPO — PERCHÉ IL FILO NON FUNZIONA PIÙ «UNA DETONAZIONE»

LA PIÙ GRANDE preoccupazione dei coloni era adesso quell’esplorazione completa dell’isola, ch’era stata decisa e che avrebbe avuto ora due scopi: prima di tutto, scoprire l’essere misterioso la cui esistenza non era più discutibile, e nello stesso tempo sapere che cosa ne era stato dei pirati, quale rifugio avevano scelto, che vita conducevano e che cosa si poteva temere da parte loro.

Cyrus Smith desiderava partire senza indugio; ma, dovendo la spedizione durare parecchi giorni, era sembrato opportuno caricare il carro di oggetti diversi per accampamento e di utensili atti a facilitare l’organizzazione delle soste. Ora, in quel momento, uno degli onagri, ferito a una gamba, non poteva essere attaccato; gli erano necessari alcuni giorni di riposo; i coloni ritennero, quindi, di poter senza pregiudizio rimandare la partenza di una settimana, cioè al 20 novembre. Il mese di novembre, alla latitudine di quelle terre, corrisponde al maggio delle zone boreali. Si era, dunque, nella bella stagione. Il sole arrivava sul tropico del Capricorno e rendeva i giorni più lunghi che in ogni altro mese dell’anno. Il tempo sarebbe stato, quindi, in tutto favorevole alla spedizione, la quale, anche se non avesse raggiunto il suo fine principale, poteva essere feconda di scoperte, soprattutto dal punto di vista dei prodotti naturali, poiché Cyrus Smith si proponeva d’esplorare le fitte foreste del Far West, che si estendevano sino alla estremità della penisola Serpentine.

Intanto, fu stabilito che, durante i nove giorni precedenti la partenza, tutti avrebbero posto mano agli ultimi lavori dell’altipiano di Bellavista.

Però, era necessario che Ayrton tornasse al recinto, dove gli animali domestici reclamavano le sue cure. Venne, dunque, deciso ch’egli sarebbe andato a passarvi due giorni e che non sarebbe ritornato a GraniteHouse, se non dopo aver abbondantemente approvvigionato le stalle.

Mentre stava per partire, Cyrus Smith, facendogli osservare che l’isola era ora meno sicura di un tempo, gli domandò se voleva che uno di loro lo accompagnasse.

Ayrton rispose ch’era inutile, ch’egli bastava, e che, d’altronde, non temeva nulla. Se fosse accaduto qualche incidente nel recinto o nei dintorni, ne avrebbe immediatamente avvertito i coloni mediante un telegramma a GraniteHouse.

Ayrton parti, dunque, il giorno 9 all’alba, conducendo seco il carro, tirato da un solo onagro e due ore dopo il campanello elettrico annunciava che al recinto aveva trovato tutto in ordine.

In quei due giorni Cyrus Smith s’occupò dell’esecuzione di un progetto, che doveva mettere definitivamente GraniteHouse al sicuro da ogni sorpresa. Si trattava di dissimulare completamente l’apertura superiore dell’antico scaricatoio, ch’era già murato e seminascosto sotto erbe e piante, all’angolo sud del lago Grant. Niente di più facile, perché bastava alzare di due o tre piedi il livello delle acque del lago, sotto le quali l’apertura sarebbe stata allora completamente immersa.

Ora, per rialzare detto livello, non c’era che da mettere uno sbarramento stabile ai due canali aperti nel lago, per i quali si alimentavano il Creek Glicerina e quello della Grande Cascata. I coloni si posero subito all’opera e i due sbarramenti, che del resto non misuravano più di sette o otto piedi di larghezza per tre di altezza, furono rapidamente eretti con macigni cementati.

Dopo questa sistemazione, era impossibile supporre che all’estremità del lago esistesse un condotto sotterraneo, attraverso il quale un tempo si scaricava l’eccedenza delle acque.

Inutile dire che la piccola derivazione che serviva ad alimentare il serbatoio di GraniteHouse e a manovrare l’ascensore era stata trattata col massimo riguardo, sicché l’acqua non sarebbe mai mancata. Così, una volta tirato su l’ascensore, quel sicuro e comodo rifugio avrebbe sfidato ogni sorpresa o colpo di mano.

Il lavoro era stato sbrigato sollecitamente, per modo che Pencroff, Gedeon Spilett e Harbert trovarono il tempo di fare una capatina a Porto Pallone. Il marinaio era desiderosissimo di sapere se il piccolo seno, in fondo al quale era ormeggiato il Bonadventure, era stato visitato dai corsari.

«Quei gentiluomini,» fece osservare Pencroff «hanno appunto preso terra sulla costa meridionale e, se hanno seguito il litorale, c’è da temere che abbiano scoperto il piccolo porto, nel qual caso non arrischierei nemmeno mezzo dollaro per il nostro Bonadventure.»

Le apprensioni di Pencroff non erano prive di fondamento, e una visita a Porto Pallone parve a tutti molto opportuna.

Il marinaio e i suoi compagni partirono, dunque, bene armati, nel pomeriggio del 10 novembre. Pencroff, introducendo palesemente due palle in ciascuna canna del suo fucile, crollava il capo, il che non presagiva niente di buono per chiunque gli fosse andato troppo vicino, «bestia o uomo che fosse», disse. Anche Gedeon Spilett e Harbert presero i loro fucili e, verso le tre, lasciarono tutt’insieme GraniteHouse.

Nab li accompagnò sin dove il Mercy faceva gomito e dopo il loro passaggio alzò il ponte. Fu convenuto che un colpo di fucile avrebbe annunciato il ritorno dei coloni e che a quel segnale Nab sarebbe andato a ristabilire la comunicazione tra le due rive del fiume.

La piccola comitiva avanzò diritta lungo la strada del porto verso la costa meridionale dell’isola. Non c’erano che tre miglia e mezzo, ma Gedeon Spilett e i suoi compagni impiegarono due ore a percorrere la breve distanza. Frugarono tutto il margine della strada, tanto dal Iato della folta foresta che da quello della palude delle tadorne, ma non trovarono traccia alcuna dei fuggitivi, che senza dubbio, non ancora informati del numero dei coloni né dei mezzi di difesa di cui disponevano, dovevano essersi ritirati nelle parti meno accessibili dell’isola.

Pencroff, arrivato a Porto Pallone, vide con soddisfazione estrema il Bonadventure tranquillamente ormeggiato nella stretta cala. Del resto, Porto Pallone era si ben celato in mezzo a quelle alte rocce, che né dal mare, né dalla terra si poteva scoprirlo, a meno di non esservi proprio sopra o dentro.

«Andiamo» disse Pencroff; «quei furfanti non sono ancora venuti qui. Le erbe alte convengono di più ai rettili: vedrete che li troveremo nel Far West.»