«È una gran fortuna,»— aggiunse Harbert «poiché se avessero trovato il Bonadventure, se ne sarebbero impadroniti per fuggire, il che ci avrebbe impedito di ritornare appena possibile all’isola di Tabor.»
«Infatti,» rispose il giornalista «sarà bene portarvi un documento, che faccia conoscere la situazione dell’isola di Lincoln e la nuova residenza di Ayrton, nel caso in cui lo yacht scozzese venisse a riprenderlo.»
«Ebbene, il Bonadventure è sempre qui, signor Spilett» replicò il marinaio. «Il suo equipaggio è pronto a ripartire al primo segnale!»
«Penso, Pencroff, che sarà una cosa da fare non appena sia terminata la nostra spedizione nell’isola. Dopo tutto, è possibile che quest’ignoto, se riusciamo a trovarlo, la sappia lunga sull’isola di Lincoln e sull’isola di Tabor. Non dimentichiamo ch’egli è l’autore incontestabile del documento e che probabilmente sa qualche cosa di positivo circa il ritorno dello yacht!»
«Per tutti i diavoli!» esclamò Pencroff «chi può dunque essere! Quel personaggio ci conosce e noi non lo conosciamo! Se è un semplice naufrago, perché si nasconde? Noi siamo delle brave persone, suppongo, e la compagnia delle brave persone non è sgradita a nessuno! È venuto volontariamente qui? Può abbandonare l’isola, se vuole? Si trova ancora qui o non c’è più?»
Così ragionando, Pencroff, Harbert e Gedeon Spilett s’erano imbarcati e percorrevano il ponte del Bonadventure. A un tratto, il marinaio, esaminando la bitta sulla quale era dato volta il cavo dell’ancora:
«Ah, diamine!» gridò. «Questa è grossa!»
«Che cosa c’è, Pencroff?» domandò il giornalista.
«C’è, che non sono stato io a far questo nodo!»
E Pencroff mostrò una cima che assicurava il cavo alla bitta stessa, per impedirgli di mollare.
«Come? Non siete stato voi?» chiese Spilett.
«No! Lo giurerei. Questo è un nodo piano mentre io ho l’abitudine di prendere due mezzi colli. (Nota: Tipo di nodo, diffuso tra i marinai, che ha il vantaggio di non sciogliersi mai. Fine nota)
«Vi sarete sbagliato, Pencroff.»
«Non mi sono sbagliato!» affermò il marinaio. «Noi marinai abbiamo la mano in queste cose, naturalmente, e la mano non si sbaglia!»
«Allora, i deportati sarebbero, dunque, venuti a bordo?» chiese Harbert.
«Non so,» rispose Pencroff «ma una cosa però è certa, e cioè che l’ancora del Bonadventure è stata levata e poi gettata di nuovo! E guardate! ecco un’altra prova. Hanno filato il cavo dell’ancora e la sua fasciatura (Nota: La fasciatura è un pezzo di vecchia tela con cui si avvolge il cavo dell’ancora, perché non si logori nella parte che è a contatto con la cubia. Fine nota) non arriva più sulla cubia. Vi ripeto che qualcuno si è servito della nostra imbarcazione!»
«Ma se i deportati se ne fossero serviti, l’avrebbero saccheggiata, oppure sarebbero fuggiti…»
«Fuggiti!… E dove? All’isola di Tabor?» ribatté Pencroff. «Credete che si sarebbero arrischiati su di una barca di così piccolo tonnellaggio?»
«Bisognerebbe, in tal caso, ammettere ch’essi avessero conoscenza dell’isolotto» disse il giornalista.
«Comunque sia,» disse il marinaio «com’è vero ch’io sono Bonadventure Pencroff di Vineyard, il Bonadventure ha navigato senza di noi!»
Il marinaio affermava ciò con tanta sicurezza, che né Gedeon Spilett né Harbert poterono contestare le sue parole. Era evidente che, da quando Pencroff l’aveva ricondotta a Porto Pallone, l’imbarcazione era stata, più o meno, rimossa. Per il marinaio, l’ancora era stata levata e poi ricalata, non c’era dubbio. Ora, perché queste manovre, se l’imbarcazione non era stata adoperata per qualche spedizione?
«Ma non avremmo dovuto vedere il Bonadventure passare al largo dell’isola?» fece notare il giornalista, che ci teneva a formulare tutte le obiezioni possibili.
«Eh, signor Spilett,» rispose il marinaio «basta salpare di notte con buon vento, e in due ore si è fuori di vista dell’isola!»
«Ebbene,» riprese Gedeon Spilett «mi domando ancora: a che scopo i deportati si sarebbero serviti del Bonadventure e perché dopo essersene serviti, l’avrebbero ricondotto in porto?»
«Eh, signor Spilett,» rispose il marinaio «mettiamo anche questo nel numero delle cose inesplicabili e non pensiamoci più! L’importante era che il Bonadventure fosse al suo posto e vi è. Disgraziatamente, se i deportati riuscissero a prenderlo una seconda volta, potrebbe darsi davvero che non lo ritrovassimo più al suo posto!»
«Allora, Pencroff,» disse Harbert «sarebbe forse prudente ricondurre l’imbarcazione davanti a GraniteHouse.»
«Si e no,» rispose Pencroff «o piuttosto no. L’imbocco del Mercy è un punto cattivo per un’imbarcazione, esposto al mare.»
«Ma tirandolo in secco, fin proprio sotto ai Camini?…»
«Forse… sì…» rispose Pencroff. «A ogni modo, dato che dobbiamo lasciare GraniteHouse per una spedizione abbastanza lunga, credo che il Bonadventure sarà più al sicuro qui durante la nostra assenza, e faremo bene a lasciarvelo sino a che l’isola sia liberata da quei manigoldi.»
«Così pare anche a me» disse il giornalista. «Almeno, in caso di cattivo tempo, esso non sarà esposto come all’imboccatura del Mercy.»
«E se i pirati venissero nuovamente a fargli visita?» disse Harbert.
«Ebbene,» rispose Pencroff «anche non trovandolo più qui, farebbero presto a cercarlo dalla parte di GraniteHouse e, durante la nostra assenza, nulla impedirebbe loro d’impadronirsene lo stesso. Penso dunque, come il signor Spilett, che bisogna lasciarlo a Porto Pallone. Ma al nostro ritorno, se non abbiamo ancora sbarazzato l’isola da quei furfanti, sarà prudente ricondurre la nostra imbarcazione a GraniteHouse, fino al momento in cui essa non avrà più da temere nessuna cattiva visita.»
«Siamo intesi. In cammino!» disse il cronista.
Pencroff, Harbert e Gedeon Spilett, al loro ritorno a GraniteHouse comunicarono all’ingegnere quel ch’era successo, e questi approvò le loro disposizioni per il presente e per l’avvenire. Egli promise, anzi, al marinaio di studiare il tratto di canale fra l’isolotto e la costa, per vedere se fosse possibile crearvi un porto artificiale per mezzo di sbarramenti. Così, il Bonadventure sarebbe stato sempre sotto gli occhi dei coloni, e, all’occorrenza, anche sotto chiave.
La sera stessa fu inviato ad Ayrton un telegramma per pregarlo di portar con sé dal recinto una coppia di capre, che Nab voleva acclimatare sulle praterie dell’altipiano. Cosa strana, Ayrton non diede segno di aver ricevuto il telegramma, com’era sua abitudine. La cosa non mancò di meravigliare l’ingegnere. Ma poteva darsi che Ayrton non si trovasse al recinto in quel momento, oppure che fosse già in cammino per tornare a GraniteHouse. Infatti, due giorni erano trascorsi dalla sua partenza ed egli aveva deciso che appunto la sera del 10 o la mattina dell’11 al più tardi, sarebbe stato di ritorno.
I coloni attesero, dunque, che Ayrton si mostrasse sulle alture di Bellavista. Nab e Harbert vigilarono, anzi, nelle vicinanze del ponte, per abbassarlo appena il loro compagno si fosse presentato.
Ma verso le dieci della sera nulla ancora si sapeva di Ayrton. Fu, quindi, giudicato opportuno di lanciare un nuovo dispaccio, chiedendo una risposta immediata.
Ma il campanello di GraniteHouse rimase muto.
Allora, l’inquietudine dei coloni fu grande. Che cos’era accaduto? Ayrton non era, dunque, più al recinto o, se si trovava ancora, non aveva forse più la libertà dei suoi movimenti? Dovevano andare al recinto nell’oscurità della notte?
La cosa fu discussa. Gli uni volevano partire, gli altri restare.
«Ma,» disse Harbert «può darsi che si sia prodotto qualche guasto nell’apparecchio telegrafico e che non funzioni più.»
«Può essere» disse il giornalista.
«Aspettiamo fino a domani» rispose Cyrus Smith. «È possibile, infatti, che Ayrton non abbia ricevuto il nostro telegramma, oppure che noi non abbiamo ricevuto il suo.»