E attesero, non senza una certa ansietà, com’era facile immaginare.
Alle prime luci del giorno successivo «l’11 novembre — Cyrus Smith lanciò ancora la corrente elettrica attraverso il filo e non ricevette alcuna risposta.»
Ripeté il tentativo, ma col medesimo risultato.
«In cammino per il recinto!» disse.
«E bene armati!» aggiunse Pencroff.
Fu subito deciso che GraniteHouse non sarebbe rimasta deserta e che Nab vi si sarebbe fermato. Dopo aver accompagnato gli altri fino al Creek Glicerina, avrebbe rialzato il ponte e, nascosto dietro un albero, sarebbe stato attento al loro ritorno, o a quello di Ayrton.
Nel caso in cui i pirati si fossero presentati o avessero tentato di varcare il passaggio, egli doveva tentare di arrestarli a fucilate e, in fine, rifugiarsi in GraniteHouse, dove, una volta tirato su l’ascensore, sarebbe stato al sicuro.
Cyrus Smith, Gedeon Spilett, Harbert e Pencroff dovevano recarsi direttamente al recinto e, se non vi trovavano Ayrton, battere i boschi circostanti.
Alle sei della mattina, l’ingegnere e i suoi tre compagni avevano passato il Creek Glicerina, mentre Nab s’appostava dietro una specie di parapetto, circondato da alcune grandi dracene sulla riva sinistra del ruscello.
I coloni, dopo aver lasciato l’altipiano di Bellavista, presero immediatamente la via del recinto. Portavano il fucile al braccio, pronti a far fuoco alla minima dimostrazione ostile. Le due carabine e i due fucili erano stati caricati a palla.
Da ogni lato della strada il bosco era fittissimo e poteva agevolmente nascondere dei malfattori, i quali, armati come erano, sarebbero stati veramente temibili.
I coloni camminavano rapidamente e in silenzio. Top li precedeva, ora correndo sulla strada, ora facendo qualche svolta improvvisa nel folto del bosco, ma sempre muto e non dando segno di alcunché d’insolito. E si poteva star certi che il fedele animale non si sarebbe lasciato sorprendere, ma avrebbe abbaiato alla minima apparenza di pericolo.
Strada facendo, Cyrus Smith e i suoi compagni seguivano il filo telegrafico, che univa il recinto a GraniteHouse. Dopo aver percorso due miglia circa, non avevano ancora notato nessuna interruzione. I pali erano in buono stato, gli isolatori intatti, il filo regolarmente teso. Tuttavia a un certo punto l’ingegnere osservò che la tensione cominciava a diminuire e, alla fine, al palo n. 74, Harbert, che camminava innanzi a tutti, si fermò gridando: «Il filo è rotto!»
Gli altri affrettarono il passo e giunsero al punto ove il giovinetto s’era fermato.
Il palo abbattuto attraversava la strada. L’interruzione del filo era dunque constatata ed era evidente che i dispacci di GraniteHouse non avevano potuto esser ricevuti al recinto, né quelli del recinto a GraniteHouse.
«Non è stato il vento ad atterrare questo palo» osservò Pencroff.
«No» rispose Gedeon Spilett. «La terra è stata scavata alla sua base ed è stato divelto da mano d’uomo.»
«Inoltre, il filo è spezzato» aggiunse Harbert, mostrando le due estremità del filo di ferro, ch’era stato rotto violentemente.
«La rottura è recente?» chiese Cyrus Smith.
«Sì,» rispose Harbert «è stata prodotta da poco tempo.»
«Al recinto! Al recinto!» gridò il marinaio.
I coloni si trovavano allora a metà strada fra GraniteHouse e il recinto. Dunque rimanevano loro ancora due miglia e mezzo. Si avviarono a passo di corsa.
Infatti, c’era da temere che fosse accaduto qualche grave avvenimento al recinto. Indubbiamente, Ayrton aveva mandato un telegramma, che non era arrivato. Ma la ragione dell’inquietudine dei suoi compagni era più grave; la circostanza più inesplicabile era che Ayrton, mentre aveva promesso di tornare la sera innanzi, non si era ancora visto. Inoltre, non era senza un motivo, che era stata interrotta ogni comunicazione fra il recinto e GraniteHouse. E chi altri se non i pirati aveva interesse a interrompere questa comunicazione?
I coloni correvano, dunque, con il cuore stretto dall’emozione. Si erano ormai sinceramente affezionati al loro nuovo compagno. Stavano forse per trovarlo colpito dalla mano stessa di coloro di cui un tempo era stato il capo?
Giunsero in breve al punto in cui la strada costeggiava il ruscelletto derivato dal Creek Rosso, che irrigava le praterie del recinto. Avevano allora moderato il passo, per non arrivare ansanti nel momento in cui era forse necessario cimentarsi in una lotta. I fucili non erano più in posizione di riposo, ma pronti a far fuoco. Ognuno sorvegliava un lato della foresta. Top faceva sentire dei sordi brontolii, che non erano di buon augurio.
Lo steccato di cinta apparve finalmente attraverso gli alberi. Non vi si vedeva alcuna traccia di danni. La porta era chiusa come al solito. Un silenzio profondo regnava nel recinto. Non si facevano sentire né i belati consueti dei mufloni, né la voce di Ayrton.
«Entriamo!» disse Cyrus Smith.
E l’ingegnere avanzò, mentre i suoi compagni, appostati a venti passi da lui, erano pronti a far fuoco.
Cyrus Smith alzò il saliscendi interno della porta e stava per spingere uno dei battenti, quando Top abbaiò violentemente. Di sopra la palizzata si udì uno sparo, cui rispose un grido di dolore.
Harbert, colpito da una palla, giaceva a terra!
CAPITOLO VII
IL GIORNALISTA E PENCROFF NEL RECINTO «IL TRASPORTO DI HARBERT» DISPERAZIONE DEL MARINAIO «CONSULTO FRA IL GIORNALISTA E L’INGEGNERE» METODO DI CURA «RINASCE QUALCHE SPERANZA» COME AVVERTIRE NAB? «UN MESSAGGERO SICURO E FEDELE» LA RISPOSTA DI NAB
AL GRIDO di Harbert, Pencroff, lasciando cadere la sua arma, s’era slanciato verso di lui.
«Me l’hanno ucciso!» gridava. «Lui, il mio caro ragazzo! Me l’hanno ucciso!»
Cyrus Smith e Gedeon Spilett si erano precipitati verso Harbert. Il giornalista ascoltava se il cuore del povero ragazzo battesse ancora.
«Vive!» disse. «Ma bisogna trasportarlo…»
«A GraniteHouse? È impossibile!» rispose l’ingegnere.
«Al recinto, allora!» gridò Pencroff.
«Un momento» disse Cyrus Smith.
E si slanciò a sinistra, in modo da girare attorno al recinto. Là si trovò alla presenza di uno dei deportati che, mirandolo, gli attraversò il cappello con una palla. Pochi secondi dopo, prima ancora che avesse avuto il tempo di sparare un secondo colpo, questi cadeva, colpito al cuore dal pugnale di Cyrus Smith, più sicuro ancora del fucile.
Contemporaneamente Gedeon Spilett e il marinaio si issarono sugli angoli della palizzata, la scavalcarono, saltarono dentro al recinto, abbatterono i puntelli, che sostenevano la porta internamente e si precipitarono nella casa, ch’era vuota, e subito dopo il povero Harbert riposava sul letto di Ayrton.
Alcuni istanti più tardi Cyrus Smith era vicino a lui.
Vedendo Harbert inanimato, il dolore del marinaio fu terribile. Singhiozzava, piangeva, voleva rompersi la testa contro il muro. Né l’ingegnere, né il giornalista poterono calmarlo. L’emozione soffocava anch’essi. Non potevano parlare.
Tuttavia fecero quanto dipendeva da loro per sottrarre alla morte il povero giovane, che agonizzava sotto i loro occhi. Gedeon Spilett, dopo i tanti incidenti di cui era stata ricca la sua vita, non era digiuno di qualche pratica di medicina spicciola. Sapeva un po’ di tutto e già in molte circostanze s’era trovato a dover curare ferite prodotte tanto da arma bianca che da arma da fuoco. Aiutato da Cyrus Smith, procedette, dunque, alle cure che lo stato di Harbert richiedeva.
A tutta prima, il giornalista fu colpito dal torpore generale che prostrava il giovinetto, torpore dovuto forse all’emorragia, forse alla commozione, se la palla aveva urtato un osso con tale forza da produrre una scossa violenta.