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Il recinto non aveva ancora subito alcuna devastazione. Le porte erano chiuse e gli animali domestici non avevano potuto disperdersi nella foresta. Non si vedeva traccia di lotta, né guasto alcuno all’abitazione o alla palizzata. Solo le munizioni di cui Ayrton era provvisto erano sparite con lui.

«L’infelice sarà stato sorpreso,» disse Cyrus Smith «e, siccome avrà opposto resistenza, avrà dovuto soccombere.»

«Sì, lo temo!» rispose il giornalista. «Poi, senza dubbio, i deportati si sono installati nel recinto, dove han trovato tutto in abbondanza, e hanno preso la fuga solo quando ci hanno veduti arrivare. È chiaro, altresì, che al nostro arrivo Ayrton, morto o vivo che fosse, non era più qui.»

«Bisognerà battere la foresta,» disse l’ingegnere «e sbarazzare l’isola da quei miserabili. Pencroff aveva dei giusti presentimenti, quando voleva che si desse loro la caccia come a bestie feroci. Ci sarebbero state risparmiate molte disgrazie!»

«Sì,» rispose il giornalista «ma adesso abbiamo il diritto d’essere senza pietà.»

«Però,» disse l’ingegnere «adesso siamo costretti ad aspettare qualche tempo e a rimanere qui sino a quando si potrà trasportare senza pericolo Harbert a GraniteHouse.»

«E Nab?» chiese il giornalista.

«Nab è al sicuro.»

«E se, inquieto per la nostra assenza, si arrischiasse a venir qui?»

«Bisogna che non venga!» rispose vivacemente Cyrus Smith. «Sarebbe assassinato per via!»

«Il guaio è che molto probabilmente egli cercherà di raggiungerci!»

«Ah, se il telegrafo funzionasse ancora, si potrebbe avvertirlo! Ma adesso è impossibile! Lasciar soli qui Harbert e Pencroff, non possiamo! Ebbene, andrò io solo a GraniteHouse.»

«No, no! Cyrus,» rispose il giornalista «bisogna che voi non vi esponiate! Il vostro coraggio sarebbe vano. Quei miserabili, evidentemente, sorvegliano il recinto, sono in agguato nelle fitte boscaglie che lo circondano e, se partite, avremo presto a lamentare due disgrazie invece di una!»

«Ma Nab?» ripeteva l’ingegnere. «Da ventiquattr’ore è senza nostre notizie! Vorrà certo venire.»

«E siccome starà meno in guardia di noi,» rispose Gedeon Spilett «sarà colpito!…»

«Non c’è, dunque, modo di avvertirlo?»

Mentre l’ingegnere rifletteva, il suo sguardo cadde su Top che, andando e venendo, sembrava dicesse: «E non ci sono qua io?»

«Top!» chiamò Cyrus Smith.

L’animale diede un balzo alla chiamata del padrone.

«Sì, andrà Top!» disse il giornalista, che aveva compreso l’idea dell’ingegnere. «Top passerà dove noi non passeremmo! Porterà a GraniteHouse le notizie del recinto e ritornerà con quelle di GraniteHouse.»

«Presto!» rispose Cyrus Smith. «Presto!»

Gedeon Spilett aveva rapidamente strappato una pagina dal suo taccuino e vi scrisse queste righe:

«Harbert ferito. Siamo al recinto. Sta’ in guardia. Non abbandonare GraniteHouse. I deportati sono comparsi nelle vicinanze? Rispondi per mezzo di Top».

Questo laconico biglietto conteneva tutto quello che Nab doveva sapere e chiedeva contemporaneamente a lui tutto quel che i coloni avevano interesse di conoscere. Il biglietto fu piegato e attaccato al collare di Top in modo molto visibile.

«Top! Cane mio,» disse allora l’ingegnere accarezzando l’animale «Nab, Top! Nab! Va’, va’!»

A queste parole, Top si mise a saltellare. Comprendeva, indovinava quanto si esigeva da lui. La strada del recinto gli era nota. In meno di mezz’ora poteva percorrerla ed era sperabile, che dove né Cyrus Smith né il giornalista avrebbero potuto avventurarsi senza pericolo, Top invece, correndo fra le erbe o nei boschi, sarebbe passato inosservato.

L’ingegnere andò alla porta del recinto e spinse uno dei battenti.

«Nab! Top, Nab!» ripeté ancora una volta l’ingegnere, stendendo la mano in direzione di GraniteHouse.

Top si slanciò fuori e disparve quasi subito.

«Arriverà!» disse il cronista.

«Sì, e tornerà, il fedele animale!»

«Che ora è?» domandò Gedeon Spilett.

«Le dieci.»

«Fra un’ora può essere qui. Spieremo il suo ritorno.»

La porta del recinto fu di nuovo chiusa. L’ingegnere e il giornalista rientrarono in casa. Harbert era profondamente assopito. Pencroff manteneva le compresse sempre umide. Gedeon Spilett, vedendo che in quel momento non c’era niente da fare, s’accinse a preparare qualche cibo, pur sorvegliando attentamente la parte del recinto addossata al contrafforte, dalla quale era possibile una aggressione.

I coloni attesero il ritorno di Top non senza ansietà. Un po’ prima delle undici Cyrus Smith e il giornalista, con la carabina in mano, stavano dietro alla porta, pronti ad aprirla al primo latrato del cane. Essi erano certi che se Top avesse potuto arrivare felicemente a GraniteHouse, Nab l’avrebbe immediatamente rimandato.

Erano là, ambedue, da dieci minuti circa, quando una detonazione rimbombò, subito seguita da ripetuti latrati.

L’ingegnere aperse la porta e, vedendo ancora un resto di fumo nel bosco a cento passi di distanza, fece fuoco in quella direzione.

Quasi subito Top balzò nel recinto, di cui venne impetuosamente richiusa la porta.

«Top! Top!» esclamò l’ingegnere, prendendo fra le braccia la buona, grossa testa del suo cane.

Un biglietto era attaccato al collo dell’animale e Cyrus Smith lesse queste parole, tracciate con grossolana scrittura da Nab:

«Niente pirati nei dintorni di GraniteHouse. Non mi muoverò. Povero signor Harbert!»

CAPITOLO VIII

I DEPORTATI NEI PRESSI DEL RECINTO — SISTEMAZIONE PROVVISORIA «CONTINUAZIONE DELLA CURA DI HARBERT» I PRIMI GIUBILI DI PENCROFF «RIPENSANDO AL PASSATO» CIÒ CHE RISERVA L’AVVENIRE «LE IDEE DI CYRUS SMITH IN PROPOSITO»

E così i deportati erano sempre là: spiavano il recinto ed erano decisi a uccidere i coloni uno dopo l’altro! Non c’era che da trattarli come bestie feroci. Ma bisognava prendere grandi precauzioni, giacché i miserabili avevano in quel momento il vantaggio della posizione, vedendo senza essere veduti, potendo attaccare di sorpresa senza essere sorpresi.

Cyrus Smith sistemò le cose in modo da poter vivere nel recinto, le cui provviste, del resto, potevano bastare per un tempo abbastanza lungo. La dimora di Ayrton era stata fornita di tutto il necessario alla vita, e i deportati, spaventati dall’arrivo dei coloni, non avevano avuto tempo di metterla a sacco. Probabilmente, come fece notare Gedeon Spilett, le cose erano andate così: i sei deportati, sbarcati nell’isola, s’erano tenuti sul litorale sud e, dopo aver girato intorno alla penisola Serpentine, non essendo disposti ad avventurarsi fra le boscaglie del Far West, avevano raggiunto la foce del fiume della Cascata. Quivi giunti, rimontando la riva destra del corso d’acqua, erano arrivati ai contrafforti del monte Franklin, fra i quali era naturale che cercassero qualche rifugio e non avevano tardato a scoprire il recinto allora disabitato. Molto verosimilmente, s’erano installati là, aspettando il momento di mettere in esecuzione i loro abominevoli disegni. L’arrivo di Ayrton li aveva colti di sorpresa, ma erano riusciti a impadronirsi dell’infelice e… il seguito s’indovinava facilmente!

Adesso i deportati — ridotti a cinque, è vero, ma bene armati — s’aggiravano per i boschi e avventurarvisi equivaleva a esporsi ai loro colpi senza possibilità né di pararli, né di prevenirli.