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Mancavano notizie di Nab, ma non si sentivano inquieti per lui. Il coraggioso negro, trincerato dentro GraniteHouse, non si sarebbe lasciato sorprendere. Top non gli era più stato rimandato, giacché era parso inutile esporre il fedele animale a qualche fucilata, che avrebbe privato i coloni del loro più utile ausiliario.

I coloni, dunque, attendevano, ma avevano fretta di trovarsi tutti riuniti a GraniteHouse. L’ingegnere soffriva nel vedere le sue forze divise, perché ciò faceva il gioco dei pirati. Dopo che Ayrton era sparito, essi non erano che quattro contro cinque, giacché Harbert non contava ancora, e non era questa la preoccupazione minore del bravo ragazzo, che comprendeva di quale imbarazzo egli fosse causa.

Sul modo di agire, allo stato presente delle cose, contro i deportati si discusse a fondo nella giornata del 29 novembre fra Cyrus Smith, Gedeon Spilett e Pencroff, in un momento in cui Harbert, assopito, non poteva udirli.

«Amici,» disse il giornalista, dopo che ebbero parlato di Nab e dell’impossibilità di comunicare con lui «anch’io credo, come voi, che avventurarsi sulla strada del recinto sarebbe rischiare di ricevere una fucilata senza poterla restituire. Ma non avete pensato che adesso converrebbe, invece, dare apertamente la caccia a quei miserabili?»

«Ci pensavo» rispose Pencroff. «Credo che noi non siamo uomini da paventare un proiettile e, per conto mio, se il signor Cyrus approva, sono pronto a gettarmi nella foresta! Che diavolo! Un uomo vale quanto un altro!»

«Ma può valerne cinque?» domandò l’ingegnere.

«Io mi unirò a Pencroff,» rispose il giornalista «e tutt’e due, bene armati e accompagnati da Top…»

«Caro Spilett, e voi, Pencroff,» riprese Cyrus Smith «ragioniamo freddamente. Se i deportati avessero il loro covo in una determinata località dell’isola; se questa località ci fosse nota, e non si trattasse che di stanarveli, capirei un attacco diretto. Ma non ci sarà, piuttosto, da temere che essi siano sicuri di essere i primi a sparare?»

«Eh, signor Cyrus,» esclamò Pencroff «non sempre una palla giunge a segno!»

«Quella che ha colpito Harbert non ha sbagliato, Pencroff» rispose l’ingegnere. «D’altronde, dovete convenire che se tutt’e due lasciate il recinto, rimarrei io solo a difenderlo. Potete garantire che i banditi non vi vedranno uscire, che non vi lasceranno addentrare nella foresta e che non ci attaccheranno durante la vostra assenza, sapendo non esservi qui che un ragazzo ferito e un uomo?»

«Avete ragione, signor Cyrus,» rispose Pencroff, in preda a una sorda collera «avete ragione. Faranno di tutto per riprendere il recinto, che sanno ben fornito di provviste. E da solo voi non potreste tener loro testa. Ah, se fossimo a GraniteHouse!»

«Se fossimo a GraniteHouse,» disse l’ingegnere «la situazione sarebbe molto differente! Là non temerei di lasciare Harbert con uno di noi e gli altri tre andrebbero a perlustrare le foreste dell’isola. Ma siamo al recinto, e conviene che ci restiamo sino al momento in cui potremo lasciarlo tutti assieme!»

Nulla si poteva opporre ai ragionamenti di Cyrus Smith, e i suoi compagni lo compresero.

«Se Ayrton fosse ancora dei nostri!» disse Gedeon Spilett. «Poveretto! Il suo ritorno alla vita sociale è stato di breve durata!»

«Se è morto!…» aggiunse Pencroff in tono piuttosto singolare.

«Sperate, dunque, Pencroff, che quei furfanti lo abbiano risparmiato?»

«chiese Gedeon Spilett.»

«Sì, se hanno avuto interesse a farlo!»

«Come! Supporreste che Ayrton, ritrovando i suoi vecchi complici, dimenticando tutto quello che ci deve…»

«Chi sa?» rispose il marinaio, che non arrischiava senza esitare questa spiacevole supposizione.

«Pencroff,» disse Cyrus Smith, afferrando per un braccio il marinaio

«questo è un cattivo pensiero, e mi affliggereste molto persistendo a parlare così. Garantisco della fedeltà di Ayrton.»

«E io pure» aggiunse con vivacità il giornalista.

«Si… sì… signor Cyrus… ho torto» rispose Pencroff. «Ho avuto un cattivo pensiero, infatti, e nulla lo giustifica! Ma che cosa volete? Non son più padrone di me! Ho perduto completamente la testa. Questa detenzione nel recinto mi pesa orribilmente e non sono mai stato tanto sovreccitato come adesso!»

«Abbiate pazienza, Pencroff» disse l’ingegnere. «Fra quanto tempo, caro Spilett, credete che Harbert possa essere trasportato a GraniteHouse?»

«È un po’ difficile dirlo, Cyrus,» rispose il giornalista «perché un’imprudenza potrebbe produrre conseguenze funeste. Ma, insomma, se la convalescenza si svolge regolarmente e se fra otto giorni le forze gli saranno ritornate, ebbene, allora vedremo!»

Otto giorni! Il ritorno a GraniteHouse sarebbe avvenuto soltanto ai primi di dicembre.

Allora la primavera sarebbe stata già al suo secondo mese. Il tempo era bello e il caldo incominciava a farsi sentire. Le foreste dell’isola erano in pieno rigoglio e si avvicinava il momento dei consueti raccolti. Il ritorno a GraniteHouse sarebbe stato dunque seguito da grandi lavori che solo la ideata spedizione nell’isola avrebbe interrotti.

Si capisce, quindi, quanto nuocesse ai coloni quel sequestro nel recinto. Ma, se erano obbligati a piegarsi alla necessità, non lo facevano senza impazienza.

Una volta o due il cronista s’arrischiò a uscire sulla strada e fece il giro del recinto chiuso dalla palizzata. Top l’accompagnava e Gedeon Spilett, con la carabina carica, era pronto a ogni evento.

Non fece alcun cattivo incontro e non trovò alcuna traccia sospetta. Il cane l’avrebbe avvertito d’ogni pericolo, e siccome Top non abbaiava, se ne poteva dedurre che non c’era nulla da temere, in quel momento almeno, e che i deportati erano occupati in un’altra parte dell’isola.

Nondimeno, durante la sua seconda uscita, il 27 novembre, Gedeon Spilett, che s’era avventurato nei boschi per un quarto di miglio a sud della montagna, notò che Top fiutava qualche cosa. Il cane non aveva più la sua andatura indifferente; andava e veniva, frugando nelle erbe e negli sterpi, come se il suo odorato gli avesse rivelato qualche oggetto sospetto.

Gedeon Spilett seguì Top, l’incoraggiò, lo incitò con la voce, pur avendo l’occhio attento a tutto e la carabina spianata, approfittando del riparo degli alberi per nascondersi. Non era probabile che Top avesse sentito la presenza di un uomo, giacché, in tal caso, l’avrebbe annunciata con latrati contenuti e una specie di collera sorda. Ora, dato che il cane non faceva sentire alcun brontolio, voleva dire che il pericolo non era né vicino, né imminente.

Circa cinque minuti passarono così, Top frugando, il giornalista seguendolo e secondandolo prudentemente, quando, tutto a un tratto, il cane si precipitò verso un folto cespuglio e ne trasse un brandello di stoffa.

Era un pezzo di vestito, macchiato e lacero, che Gedeon Spilett portò immediatamente al recinto.

I coloni l’esaminarono e riconobbero in esso un pezzo della giacca di Ayrton; era infatti un pezzo del feltro fabbricato unicamente nel laboratorio di GraniteHouse.

«Vedete, Pencroff,» fece osservare Cyrus Smith «c’è stata resistenza da parte del povero Ayrton. I pirati l’hanno trascinato suo malgrado. Dubitate ancora della sua onestà?»

«No, signor Cyrus» rispose il marinaio; «è già molto tempo che mi sono liberato della mia diffidenza di un istante. Ma mi pare che da questo fatto si possa trarre una conseguenza.»

«Quale?» chiese il giornalista.

«Che Ayrton non è stato ucciso al recinto, ma l’hanno trascinato via vivo, poiché ha resistito! Ora, forse, egli vive ancora!»

«Può essere, infatti» rispose l’ingegnere che rimase pensieroso.