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«Sono stato trattenuto dal Divino dell’Ordine del Bastardo», spiegò, mentre pane, carne e frutta venivano passati tra i presenti.

Cercando di non lanciarsi sul cibo come un cane affamato, Cazaril si rivolse al siniscalco con un suono interrogativo e cominciò a mangiare.

«Un giovane molto serio e decisamente logorroico», aggiunse dy Ferrej, a mo’ di spiegazione.

«Che voleva?» domandò la Provincara. «Altre donazioni per l’ospizio dei trovatelli? Abbiamo già mandato un carico la settimana scorsa, e i servi del castello rifiutano di rinunciare ad altri vestiti vecchi.»

«Chiede balie», rispose dy Ferrej, con la bocca piena.

«Non dalla mia casa», dichiarò la Provincara, sbuffando.

«No, però voleva che facessi sapere in giro che il Tempio è in cerca di balie, nella speranza che qualcuno abbia una parente decisa a fare un atto di carità. La scorsa settimana un altro neonato è stato depositato davanti alle loro porte e si aspettano di vederne affluire altri. A quanto pare, è il periodo dell’anno in cui questo fenomeno è più frequente.»

Secondo la logica della teologia da cui era animato, l’Ordine del Bastardo classificava le nascite indesiderate fra le cose fuori stagione che ricadevano sotto la giurisdizione del suo Dio, inclusi naturalmente i bastardi e i bambini rimasti orfani di entrambi i genitori quand’erano ancora troppo piccoli. Gli ospedali per i trovatelli e gli orfanotrofi del Tempio erano una delle cose più importanti di cui l’Ordine si occupava; Cazaril non poté fare a meno di pensare che, per un Dio che comandava legioni di demoni, non doveva essere difficile ottenere donazioni per le sue opere buone.

Benché lo considerasse un crimine, dato che si trattava di un’annata eccellente, Cazaril annacquò il proprio vino, temendo che gli andasse alla testa. Accorgendosene, la Provincara gli rivolse un cenno di approvazione, ma nel contempo si lanciò in una discussione relativa proprio all’annacquamento del vino con la sua dama di compagnia, emergendone almeno in parte trionfante e con in mano mezzo bicchiere di vino non allungato.

«Il Divino mi ha però raccontato anche una storia interessante», continuò dy Ferrej, dopo un momento. «Indovinate chi è morto la scorsa notte…»

«Chi, padre?» fu pronta a chiedere Lady Betriz.

«Ser dy Naoza, il famoso spadaccino.»

Quel nome risultò del tutto nuovo a Cazaril, ma non alla Provincara, che sbuffò. «Era ora», disse. «Un uomo orribile. Io non ho mai voluto riceverlo, anche se suppongo che ci siano stati alcuni stolti che lo hanno fatto. Ha finalmente sottovalutato la sua vittima di turno… voglio dire, il suo avversario?»

«È a questo punto che la storia si fa interessante: a quanto pare, è stato assassinato mediante la magia di morte», replicò dy Ferrej, sorseggiando quindi il vino in attesa che il mormorio di sorpresa dei suoi ascoltatori si spegnesse. Di fronte a lui, Cazaril smise di colpo di masticare.

«Il Tempio ha intenzione di risolvere questo mistero?» chiese infine la Royesse Iselle.

«Non esiste nessun mistero in questa che, a quanto ho capito, è una vera e propria tragedia. Circa un anno fa, dy Naoza è stato spinto per strada dal figlio di un mercante di lana di provincia, col solito risultato. Naturalmente, dy Naoza ha sostenuto che si è trattato di un duello, ma chi ha assistito alla scena sostiene che sia stato un vero e proprio omicidio a sangue freddo. Chissà come, però, quando il padre del ragazzo ha cercato di far processare Naoza, nessuno di quei testimoni è più stato reperibile. Sono addirittura corse voci sulla probità del giudice.»

La Provincara accolse quelle affermazioni con un verso di disgusto.

«Continuate», si azzardò a dire Cazaril, sempre più interessato.

«Quel mercante era vedovo, e quello era il suo unico figlio», riprese il siniscalco, incoraggiato dal suo interessamento. «Ad aggravare le cose, il ragazzo era prossimo a sposarsi. Certo, la magia di morte è una cosa decisamente spiacevole, ma non posso fare a meno di nutrire una certa comprensione per quel povero mercante… Ecco, almeno suppongo che fosse ricco, ma di certo era troppo vecchio per usare la spada con un’abilità pari a quella di dy Naoza. Probabilmente la magia nera gli è parsa la sua unica alternativa, e ha dedicato tutto l’anno successivo a studiarla… Al Tempio, badate bene, non hanno idea di come abbia appreso quelle cognizioni. Il mercante, tuttavia, aveva smesso di seguire i propri affari, almeno a quanto mi hanno detto. La scorsa notte, quel mercante si è recato in un mulino abbandonato, a una decina di chilometri da Valenda, ha cercato di evocare un demone… e ci è riuscito! Il suo corpo è stato trovato nel mulino, stamattina.»

Il Padre dell’Inverno era il Dio di tutte le morti che si verificavano a tempo debito, nonché il Dio della giustizia, mentre il Bastardo, oltre a occuparsi di varie calamità, era anche il Dio dei boia ed era preposto a svariati lavori sporchi. Pare che il mercante si sia rivolto alla persona giusta, per ottenere il suo miracolo, pensò Cazaril, mentre il libriccino che aveva in tasca gli sembrava di colpo pesantissimo e a rischio di prendere fuoco da un momento all’altro.

«Io non nutro nessuna compassione per lui», dichiarò il Royse Teidez. «Ha agito da vigliacco.»

«Certo, ma cosa ci si può aspettare da un mercante?» ribatté il suo tutore, seduto dall’altra parte del tavolo. «Gli uomini di quella classe non vengono allevati nell’osservanza del genere di codice d’onore che viene invece insegnato a un gentiluomo.»

«È una storia così triste», interloquì Iselle. «Mi riferisco al fatto che quel ragazzo stava per sposarsi.»

«Ragazze!» sbuffò Teidez. «Tutto quello cui riuscite a pensare è il matrimonio. Cosa costituisce però la perdita maggiore per il regno? Un mercante avido di denaro oppure uno spadaccino? Qualsiasi uomo tanto abile nell’usare la spada non può che essere un buon soldato per il Roya!»

«Non è quello che mi ha insegnato l’esperienza», commentò Cazaril, asciutto.

«Che intendete?» fu pronto a sfidarlo Teidez.

«Chiedo scusa», mormorò Cazaril, intimidito. «Ho parlato a sproposito.»

«Qual è la differenza?» insistette Teidez.

«Spiegatevi, Castillar», intervenne la Provincara, tamburellando con le dita sulla tovaglia e scoccando a Cazaril un’occhiata indecifrabile.

«La differenza, Royse, è che un abile soldato uccide i nemici, mentre un abile spadaccino uccide gli alleati», rispose Cazaril, scrollando le spalle e accennando un inchino in direzione del ragazzo. «Lascio a voi immaginare quale dei due un comandante saggio preferisca avere al suo fianco.»

«Oh», commentò Teidez, poi assunse un’espressione pensosa.

A quanto pareva, non c’era nessuna fretta di restituire il libriccino del mercante alle autorità, cosa che non avrebbe comunque comportato nessuna difficoltà. L’indomani, Cazaril poteva recarsi, con comodo, al Tempio della Sacra Famiglia, lì a Valenda, e consegnarlo, in modo che venisse inoltrato a chi di dovere. Bisognava decifrarlo, certo, un’operazione che alcuni trovavano noiosa o difficile, ma che a lui era sempre piaciuta. Si chiese persino se fosse il caso di offrirsi di provvedere alla decifrazione. Abbassò una mano ad accarezzare la morbida lana della veste, lieto ancora una volta di aver pregato per l’anima di quell’uomo, mentre il suo corpo veniva affrettatamente bruciato.

«Chi era il giudice, padre?» domandò Betriz, che aveva assunto un’espressione accigliata.

«L’Onorevole Vrese», rispose dy Ferrej, dopo una lieve esitazione, accantonata con una scrollata di spalle.

«Ah, lui», commentò la Provincara, arricciando il naso come se avesse sentito un odore sgradevole.

«Lo spadaccino lo ha forse minacciato?» chiese la Royesse Iselle. «In tal caso, non avrebbe dovuto… chiedere aiuto o far arrestare dy Naoza?»