Выбрать главу

«Adesso è meglio che ce ne andiamo e vi lasciamo riposare», decise Iselle, accigliandosi. «C’è qualcosa che desiderate, Cazaril? Qualsiasi cosa.»

Lui stava per replicare che non gli serviva nulla, ma poi cambiò idea. «Oh, sì… Vorrei della musica.»

«Della musica?»

«Magari molto pacata, che gli concili il sonno», suggerì Betriz.

«Se non ti dispiace, Lady Betriz, provvedi a convocare un musico», sorrise Bergon.

Poi la piccola folla se ne andò, in punta di piedi, ma tutt’altro che silenziosamente. Il medico rientrò e fece bere a Cazaril un po’ di tè. Poco dopo, Cazaril usò il pitale e il medico esaminò la sua urina — che era mista a sangue — alla luce delle candele, con fare sospettoso e con una sorta di ringhio basso e sconcertante.

Dopo qualche tempo, Betriz tornò con un giovane suonatore di liuto dall’aria nervosa. Sembrava che l’avessero destato da un sonno profondo per soddisfare quella richiesta di un’esibizione notturna.

Accordato lo strumento, il giovane eseguì sette brevi brani, nessuno dei quali ebbe il potere di evocare la Signora e i suoi fiori dell’anima; l’ottavo brano, però, un contrappunto di una dolcezza incredibile, parve racchiudere nelle proprie note una vaga eco del paradiso. Cazaril lo fece eseguire altre due volte e infine versò qualche lacrima, al che Betriz decise che lui aveva davvero bisogno di dormire. Per cui congedò il musico, uscendo insieme con lui.

Cazaril si rese conto che non aveva ancora avuto modo di parlarle del miracolo rappresentato dal suo naso. Quando cercò di spiegare la cosa al medico, questi reagì somministrandogli un grosso cucchiaio di sciroppo di succo di papavero. Da quel momento, cessarono entrambi di allarmarsi a vicenda per il resto della notte.

Nell’arco di tre giorni, quello strano fluido profumato smise di colare dalle ferite, che si chiusero senza infezioni, e il medico permise a Cazaril di mangiare a colazione un po’ di farinata d’avena molto liquida. Quel nutrimento, per quanto leggero, lo rimise abbastanza in forze e lui chiese il permesso di uscire a sedersi in cortile, sotto il sole primaverile. Accompagnato da una quantità eccessiva di servitori e aiutanti, Cazaril venne scortato lungo le scale e sistemato su una sedia coperta di cuscini rivestiti di lana e imbottiti di piume, coi piedi appoggiati a un’altra sedia dotata di cuscini. Allontanati i suoi assistenti, Cazaril si abbandonò allora con piacere all’ozio più assoluto, ascoltando il rilassante gorgogliare della fontana e contemplando i fiori fragranti di cui erano ammantati gli alberi nei vasi. Poco lontano, un paio di uccellini arancioni e neri solcavano l’aria, trasportando erba secca e ramoscelli con cui costruire un nido, sistemato in uno degli intagli delle colonne di sostegno della galleria. Cazaril si perse a osservare le loro manovre, del tutto dimentico del mucchietto di fogli di carta e delle penne sistemati su un tavolinetto, accanto a lui.

Da quando gli ospiti reali e il loro seguito di nobili si erano trasferiti a Cardegoss, il palazzo di dy Baocia si era fatto molto tranquillo e silenzioso. Cazaril sorrise con piacere nel vedere il cancello di ferro battuto dell’arcata d’ingresso che si apriva per far passare Palli, cui la nuova Royina aveva assegnato il noioso compito di sovrintendere alla convalescenza del suo segretario, mentre lei era impegnata coi grandi eventi della capitale. Quell’incarico sembrava a Cazaril un’iniqua ricompensa per i fedeli e coraggiosi servigi resi da Palli, ma, d’altro canto, l’amico lo aveva assistito con tanta cura che, a volte, Cazaril si sentiva perfino in colpa per aver desiderato, senza rivelarlo, che Iselle lasciasse presso di lui Lady Betriz.

Sorridendo, Palli gli rivolse un cenno di saluto e si sedette sul bordo della fontana. «Castillar, hai un aspetto davvero migliore, decisamente molto… verticale!» commentò, poi, indicando il tavolo, aggiunse: «Ma cos’è questo lavoro? Ieri, quando sono partite, le tue dame mi hanno ordinato di accertarmi che tu rispettassi una lunga lista di cose da non fare. Anche se ne ho già dimenticata la maggior parte — cosa che senza dubbio ti farà piacere -, sono certo che il lavoro occupasse uno dei primi posti di quell’elenco.»

«Non si tratta di lavoro», spiegò Cazaril. «Volevo comporre una poesia nello stile di Behar, poi ho notato quegli uccellini… Guarda, eccone uno!» esclamò, soffermandosi per indicare una piccola saetta nera e arancione. «La gente sostiene che gli uccelli sono abilissimi costruttori, ma, a dire il vero, questi due mi sembrano piuttosto goffi, anche se testardi… Forse sono giovani, e questo è il loro primo tentativo. D’altro canto, suppongo che, se cercassi di costruire una capanna servendomi soltanto della bocca, non me la caverei meglio di loro. Forse dovrei scrivere un poema sugli uccelli. Se è miracoloso che la materia si possa alzare e camminare, come fai tu, è decisamente ancor più miracoloso che riesca a volare!»

«Si tratta di poesia, Caz, oppure hai la febbre?» domandò Palli, con un sorriso sconcertato.

«Oh, la poesia è una specie di grande infezione. Gli Dei traggono diletto dalla poesia, sai, perché canti e poesia sono fatti della stessa sostanza dell’anima, possono passare nel loro mondo quasi senza incontrare ostacoli. Gli scultori, invece… Ecco, perfino gli Dei nutrono un’ammirazione reverenziale per gli scultori», dichiarò Cazaril, ricambiando il sorriso, gli occhi socchiusi per difendersi dal sole.

«In ogni caso, non posso fare a meno di pensare che la quartina che hai composto ieri, ispirata al naso di Lady Betriz, sia stato un errore… tattico», mormorò Palli.

«Non mi stavo facendo beffe di lei!» protestò Cazaril, indignato. «Quand’è partita era ancora infuriata con me?»

«No, non era infuriata. Si era convinta che tu avessi la febbre ed era molto preoccupata. Se fossi in te, mi atterrei a questa versione.»

«Non riesco ancora a scrivere un poema su tutta la sua persona. Ci ho provato, ma è un’impresa troppo vasta.»

«Ecco, se proprio devi scrivere un inno a una parte del suo corpo, scegli le labbra. Sono più romantiche del naso.»

«Perché?» domandò Cazaril. «Ogni parte del suo corpo non è forse stupefacente?»

«Certo, ma si baciano le labbra, non i nasi… almeno di norma. Gli uomini scrivono poemi sull’oggetto dei loro desideri in modo da attirarlo a sé.»

«Davvero pratico, ma in tal caso ci sarebbe da aspettarsi che si componessero poemi sulle parti intime delle dame.»

«Le dame ci prenderebbero a schiaffi. Le labbra sono un compromesso sicuro, una soglia a misteri più grandi.»

«Ah! In ogni caso, io la desidero tutta… naso, labbra, piedi e tutto quello che c’è nel mezzo, come pure la sua anima, senza la quale il suo corpo sarebbe immoto e freddo come l’argilla e comincerebbe a marcire, cessando di essere oggetto di desiderio.»

«Ah!» gemette Palli, passandosi una mano tra i capelli. «Amico mio, tu non capisci il romanticismo.»

«Ti garantisco che non capisco più nulla. Sono gloriosamente sconcertato da tutto», dichiarò Cazaril, abbandonandosi contro i cuscini con una sommessa risata.

Sbuffando, Palli si protese in avanti per prendere il primo foglio del mucchio, l’unico su cui era stato scritto qualcosa e, nell’abbassare lo sguardo su di esso, inarcò di scatto le sopracciglia. «Cos’è questo? Non parla di nasi femminili», osservò, facendosi d’un tratto serio. «A dire il vero, non capisco neppure di cosa parli, anche se mi fa venire la pelle d’oca…»

«Oh, quello. Temo che non sia nulla di valido. Stavo cercando… Ma non è… quello che ho visto», spiegò Cazaril, agitando le mani. «Ho creduto che, in poesia, le parole potessero avere un peso diverso, esistere su entrambi i lati della barriera che separa i mondi, come accade alle persone, ma finora ho soltanto sporcato un po’ di carta, diventata buona solo per accendere il fuoco.»

«Hmm…» Palli ripiegò il foglio e lo ripose nella propria sopravveste.

«Proverò ancora e forse un giorno riuscirò a trovare la formula giusta», sospirò Cazaril. «Devo scrivere anche alcuni inni alla materia, agli uccelli e alle pietre. Credo che farebbe piacere alla Signora.»