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«Confido che sia permanente», ribatté Bonneret, inarcando di scatto le sopracciglia.

«Come siete stato scelto per questo incarico?»

«L’Arcidivino Mendenal è stato tanto generoso da raccomandarmi presso la Royina.»

«Di recente?»

«Come?»

«Siete stato nominato di recente?»

«Da due settimane, signore», precisò Bonneret, poi si accigliò, con aria lievemente irritata, e aggiunse: «Signore, posso sapere chi siete?»

«La Royina… non mi ha detto…» balbettò Cazaril, chiedendosi se davvero era stato allontanato da quella posizione di fiducia. Era chiaro che la valanga di lavoro seguita all’ascesa al trono di Iselle non poteva essere tenuta in sospeso in attesa della sua lenta guarigione e che dunque qualcuno doveva occuparsene. E poi, a giudicare dalle lettere pronte per essere inviate, Bonneret aveva una calligrafia davvero splendida… «Mi chiamo Cazaril», rispose, infine, accorgendosi che il Divino lo stava fissando con. aria sempre più accigliata.

Il cipiglio di Bonneret venne immediatamente sostituto da un sorriso così radioso da essere quasi più allarmante. Lui lasciò cadere la penna, schizzando inchiostro ovunque, e scattò in piedi. «Mio signore dy Cazaril! Sono onorato di conoscervi!» esclamò, con un profondo inchino, e ripeté, in tono molto più ossequioso: «Come posso esservi utile, mio signore?»

Quell’impazienza di compiacerlo sgomentò Cazaril anche più dell’arroganza dimostrata in precedenza da Bonneret. Borbottando qualche scusa incoerente per giustificare la propria intrusione, e sostenendo di essere stanco per il viaggio, lui si affrettò a cercare rifugio al piano di sotto.

Una volta nella propria camera, tentò di occupare il tempo facendo un inventario degli abiti e dei libri che possedeva, disponendo ogni cosa con ordine e constatando con stupore che non sembrava mancare nulla. Quando ebbe finito, si avvicinò alla finestrella, che dava sulla città, l’aprì e si affacciò. Ma nessun corvo sacro venne a fargli visita, cosa che lo indusse a chiedersi se quegli uccelli si annidassero ancora nella Torre di Fonsa, ora che la maledizione era infranta e che il serraglio non c’era più. Indugiò poi a contemplare le cupole del Tempio, e decise di andare a cercare Umegat alla prima opportunità. Infine si sedette e, non avendo altro da fare, si abbandonò allo sconcerto.

Sapeva bene che disponeva di poche energie e, se si sentiva scosso, ciò dipendeva almeno in parte dalla stanchezza. La ferita al ventre, in via di guarigione, gli doleva per la cavalcata, benché assai meno di quando Dondo lo artigliava dall’interno. Sì, era finalmente, gloriosamente libero da inquilini interiori, e quel pensiero aveva suscitato in lui una felicità estatica durata parecchi giorni. Eppure quel pomeriggio non era sufficiente a rasserenarlo. Il periodo di riposo che, a detta di tutti, lui doveva concedersi, stava facendo crescere in lui la sensazione di essere stato abbandonato. Incupendosi, gli venne in mente che, forse, a Chalion-Ibra, non c’era più posto per lui e che per la gestione dei suoi affari, ora infinitamente più vasti e complessi, Iselle avrebbe avuto bisogno di uomini più eruditi e raffinati di un malconcio e strambo ex soldato con aspirazioni da poeta. La cosa peggiore, però, era un’altra: essere rimosso dal servizio presso Iselle significava essere messo al bando dalla presenza quotidiana di Betriz. Ormai nessuno, al tramonto, gli avrebbe acceso le candele; nessuno gli avrebbe procurato un cappello di pelliccia; nessuno avrebbe chiamato un medico se lui fosse stato male; nessuno avrebbe pregato per lui quando si fosse allontanato da casa…

Dal cortile giunse un rumore di zoccoli e di voci. Cazaril pensò che Iselle e Bergon fossero tornati col loro seguito dalle cerimonie del Tempio, ma non poté verificarlo perché, dalla sua finestra, era impossibile vedere il cortile. Pur sapendo che si sarebbe dovuto precipitare a salutarli, decise che non si sarebbe mosso, perché stava riposando… una scusa che suonò ottusa e scortese perfino alle sue stesse orecchie. D’altro canto, una spaventosa spossatezza lo tenne suo malgrado incollato alla sedia.

Prima che riuscisse ad avere la meglio su quell’ondata di malinconia, Bergon fece irruzione nella sua camera. Il Royse era ancora abbigliato con le vesti marrone, arancione e gialle proprie del Santo Generale dell’Ordine del Figlio, complete di una larga cintura per la spada decorata con tutti i simboli dell’autunno. Quella tenuta faceva su di lui un effetto assai migliore di quello che aveva fatto sul vecchio e grigio dy Jironaclass="underline" se Bergon non costituiva una gioia per gli occhi del Dio, allora voleva dire che compiacerlo era davvero impossibile. Quando Cazaril si alzò per salutarlo, Bergon lo abbracciò e gli chiese come fosse andato il viaggio da Taryoon e come procedesse la sua convalescenza, poi, senza attendere risposta, si lanciò a dirgli contemporaneamente otto cose diverse, finendo per ridere di se stesso. «Fra breve ci sarà tempo per tutte queste cose», esclamò infine. «Sono stato incaricato di una missione dalla mia regale consorte, la Royina di Chalion. Prima però, Lord Caz, dimmi una cosa, in privato… Ami Lady Betriz?»

«Io… lei… molto, Royse», balbettò Cazaril, sconcertato.

«Bene. Io ne ero sicuro, ma Iselle ha insistito perché, prima, te lo chiedessi. Adesso c’è un’altra cosa molto importante… Sei disposto a lasciarti radere la barba?»

«Io… come?» esclamò Cazaril, portandosi una mano alla barba, che non era più irsuta come un tempo, si era infoltita gradevolmente ed era sempre ben regolata. «C’è un motivo per cui me lo chiedi? Non che abbia molta importanza… Dopotutto, la barba ricresce.»

«Ma non sei affezionato a essa, o qualcosa del genere, vero?»

«No. Dopo le galee, per qualche tempo, le mani mi tremavano al punto che non volevo rischiare di affettarmi la faccia, ma non potevo permettermi di andare da un barbiere. Col tempo, ho finito per abituarmici.»

«Bene», approvò Bergon, poi tornò alla porta, si affacciò nel corridoio e chiamò: «D’accordo, venite pure».

Nella stanza entrarono un barbiere e un servitore che reggeva una bacinella di acqua calda. Fatto sedere Cazaril, il barbiere gli passò un asciugamano intorno al collo e gli coprì la faccia di sapone prima che lui avesse il tempo di pronunciare una parola; mentre il servitore gli teneva la bacinella sotto il mento, poi, il barbiere si mise all’opera col rasoio, canticchiando sottovoce. Incrociando quasi gli occhi per guardare al di sopra del proprio naso, Cazaril osservò i ciuffi insaponati di peli neri e grigi cadere nella bacinella e cercò d’ignorare gli strani suoni quasi ciangottanti emessi dal barbiere.

«Ecco fatto, mio signore!» esclamò infine questi, con un sorriso soddisfatto, indicando al servitore di rimuovere la bacinella. Un impacco con un asciugamano caldo e l’applicazione di una soluzione aromatizzata alla lavanda completarono l’opera. Quindi il Royse gli mise in mano una moneta e il barbiere s’inchinò profondamente, mormorando un saluto e indietreggiando fino a lasciare la stanza.

Dal corridoio, giunsero allora alcune risate femminili.

«Hai visto, Iselle?» commentò una voce, in un sussurro peraltro non abbastanza sommesso. «Anche lui ha un mento. Te lo avevo detto!»

«Sì, avevi ragione, ed è anche un bel mento.»

Iselle fece il suo ingresso nella stanza, sforzandosi di apparire quanto mai regale nelle elaborate vesti indossate per la cerimonia d’investitura, ma non riuscì a mantenere a lungo quell’atteggiamento serio, perché le bastò guardare Cazaril per scoppiare a ridere. Alle sue spalle, Betriz, vestita quasi con la stessa eleganza, era tutta fossette e scintillanti occhi marroni sotto una complessa acconciatura, composta di una miriade di riccioli neri che le incorniciavano il volto, sussultando in maniera affascinante a ogni movimento.

«Per i cinque Dei, Cazaril!» esclamò Iselle, sollevando una mano alle labbra. «Non siete poi così vecchio, adesso che siete emerso da dietro quella siepe grigia!»