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Notando il bagliore apparso negli occhi grigi dell’altro, Cazaril ebbe un sussulto. Ho anch’io questo aspetto quando parlo della Signora? si chiese. Allora non mi meraviglia che la gente mi guardi in modo strano…

Con ordine, procedette a raccontare la sua storia, a cominciare dalla precipitosa partenza da Cardegoss per conto della Royesse. Nel frattempo venne servito il tè, ed entrambi ne bevvero due tazze prima che lui arrivasse in fondo alla narrazione; quando però cercò di descrivere l’esperienza con la Signora, si mise a balbettare, esitando, benché Umegat sembrasse voler assorbire ogni sua parola, per stentata che fosse. D’un tratto, Cazaril si rese conto che Daris si era soffermato sulla soglia ad ascoltare, ma ritenne superfluo chiedere rassicurazioni sulla sua discrezione. «La poesia… potrebbe essere lo strumento giusto», affermò, infine. «Mi servono parole che significhino più di quello che intendono dire, che non abbiano soltanto altezza e larghezza ma anche profondità e peso, oltre ad altre dimensioni cui non so neppure dare un nome.»

«Per qualche tempo, dopo la mia prima… esperienza, io ho cercato di ritrovare il Dio con la musica», replicò Umegat. «Purtroppo, non avevo il talento necessario.»

Cazaril si limitò ad annuire. «C’è qualcosa di cui hai bisogno e che io ti posso procurare?» chiese. «Ieri Iselle mi ha nominato Cancelliere di Chalion… Suppongo che ciò mi conferisca un certo potere.»

Umegat inarcò di scatto le sopracciglia grigie e gli rivolse un accenno d’inchino a titolo di congratulazione. «La giovane Royina ha agito bene», commentò.

«Io però continuo a pensare di avere indosso gli stivali di un morto», obiettò Cazaril, con una smorfia.

«Lo capisco», sorrise Umegat. «Quanto a noi, il Tempio si occupa piuttosto bene dei suoi ex santi e ci fornisce tutto ciò di cui possiamo aver bisogno. Mi piacciono queste stanze, questa città, quest’aria primaverile e… la compagnia di me stesso. Spero che il Dio mi conceda ancora un paio d’incarichi interessanti prima che la mia vita giunga al termine, anche se preferirei non avere più a che fare con animali o con sovrani.»

«Suppongo che tu conoscessi il povero Orico meglio di chiunque altro, tranne forse la Royina Sara», convenne Cazaril, annuendo.

«L’ho visto quasi tutti i giorni per sei anni e, verso la fine, aveva l’abitudine di parlarmi con estrema franchezza. Spero di essere stato per lui una consolazione.»

«Per quel che può valere, io lo ritengo una specie di eroe», osservò Cazaril, in tono esitante.

«Sono d’accordo», annuì Umegat. «Anche se la sua è stata una forma particolarmente frustrante di eroismo. Senza dubbio, Orico è stato una vittima sacrificale.» Sospirò. «In ogni caso, è un peccato consentire al dolore del passato di avvelenare la gioia per le benedizioni che ci rimangono.»

Daris si alzò dal suo angolo per portar via le tazze del tè.

«Grazie», gli disse Umegat, battendo un colpetto sulla mano che lui gli aveva posato sulla spalla.

Raccolte tazze e piatti, Daris si allontanò, seguito dallo sguardo incuriosito di Cazaril. «Lo conosci da molto tempo?» chiese poi.

«Da circa vent’anni.»

«Allora non era soltanto il tuo assistente nel serraglio… Quando lo hai conosciuto, era già stato…»

«No, non ancora.»

«Oh.»

«Non avere l’aria così cupa, Lord Cazaril», sorrise Umegat. «Si migliora sempre. Quello era ieri e questo è oggi. Prima o poi, gli chiederò il permesso di raccontarti la sua storia.»

«Sarei onorato di ricevere una simile confidenza.»

«Va tutto bene. E, anche quando così non è, ogni alba ci conduce un po’ più vicini al nostro Dio.»

«Lo avevo notato. Nei primi giorni dopo aver visto la Signora, ho avuto qualche problema a calcolare lo scorrere del tempo, perché tempo e proporzioni si sono alterati in maniera incalcolabile.»

In quel momento qualcuno bussò con mano leggera alla porta della camera, e Daris andò ad aprire, facendo entrare una giovane Devota vestita di bianco che reggeva un libro.

«Ah, ecco la mia lettrice!» esclamò Umegat, rasserenandosi in volto. «Devota, inchinati al Lord Cancelliere. Ogni giorno», proseguì, a titolo di spiegazione, «mandano un Devoto a leggermi qualcosa per un’ora, come punizione per qualche lieve infrazione alle regole della casa. Allora, ragazza, hai già deciso quale regola infrangerai domani?»

«Ci sto pensando, Erudito Umegat», rispose la Devota, con un timido sorriso.

«Se dovessi restare a corto d’idee, attingerò ai miei ricordi giovanili e vedrò di offrirti qualche suggerimento.»

«Credevo che sarei stata mandata a leggere al Divino qualche noioso testo di teologia», commentò la Devota, porgendo il libro a Cazaril, «ma lui ha preferito questo volume di racconti.»

Cazaril esaminò con interesse il volume che, a giudicare dal marchio dello stampatore, era di origine ibrana.

«È un’idea interessante», affermò Umegat. «L’autore segue un gruppo di viandanti in pellegrinaggio verso un santuario, e a turno ciascuno di essi narra la sua storia. È tutto molto… sacro.»

«A dire il vero, mio signore, alcune storie sono alquanto lascive», sussurrò la Devota.

«Dovrò rispolverare il sermone di Ordol relativo alle lezioni della carne. Ho promesso alla Devota di ridurre il tempo delle sue penitenze al Bastardo ogni volta che arrossirà, e temo che mi abbia creduto», sorrise Umegat.

«Io… ah… mi piacerebbe avere in prestito quel libro, quando avrai finito di leggerlo.»

«Te lo farò consegnare, mio signore.»

Congedatosi dal roknari, Cazaril riattraversò la Piazza del Tempio e si avviò per risalire la collina, ma deviò prima di giungere in vista dello Zangre e si diresse invece al palazzo cittadino del Provincar della Baocia. Quel massiccio, antico edificio di pietra somigliava a Palazzo Jironal, ma era molto più piccolo e privo di finestre al piano inferiore, mentre quelle al piano superiore erano protette da griglie di ferro battuto. L’edificio era stato riaperto non solo per il suo signore e la sua signora, ma anche per la vecchia Provincara e per Lady Ista, arrivate da Valenda. Pieno al massimo della sua capienza, quel palazzo, un tempo abitato soltanto da un cupo silenzio, si era trasformato in una specie di ronzante alveare. Giunto ai cancelli, Cazaril si presentò a un ossequioso portinaio e, dopo avergli comunicato il motivo della sua visita, venne accompagnato all’interno senza indugi.

In un’alta camera soleggiata, posta sul retro della casa, trovò la Royina Vedova Ista. Era seduta su una piccola balconata dalla ringhiera di ferro, affacciata su un giardinetto e sul recinto annesso alle stalle. Congedata la dama di compagnia, Ista indicò a Cazaril di occupare la sedia che la donna aveva lasciato libera, adiacente alla sua. Quel giorno, i capelli castani di Ista erano intrecciati intorno alla testa, e il suo volto e il suo abbigliamento apparivano così nitidi e definiti che Cazaril quasi se ne stupì.

«È un ambiente gradevole», osservò lui, sedendosi.

«Sì, mi piace questa stanza. È quella che occupavo da ragazza, quando mio padre ci portava con sé alla capitale, il che non accadeva spesso. Il vantaggio maggiore, però, è che da qui non posso vedere lo Zangre», aggiunse, abbassando lo sguardo sul sottostante giardino, delimitato e protetto.

«La scorsa notte, però, ci siete stata, al banchetto», obiettò Cazaril, rammentando che aveva potuto scambiare con lei soltanto poche parole formali. Lei si era limitata a congratularsi per la sua nomina a Cancelliere e per il suo fidanzamento, e se n’era andata abbastanza presto. «Devo dire che avevate un aspetto splendido e che Iselle è stata gratificata dalla vostra presenza.»

«Mangio a palazzo per farle piacere, ma non intendo dormirci», replicò Ista.

«Suppongo che gli spettri siano ancora in circolazione, solo che io non li posso più vedere… Con mio estremo sollievo, vorrei aggiungere.»

«Anch’io non riesco a vederli né con la vista fisica né con la seconda vista, ma li percepisco, quasi fossero un gelo che riveste le pareti. Ma forse è soltanto il loro ricordo a raggelarmi. Detesto lo Zangre», ammise Ista, sfregandosi le braccia come per scaldarle.