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«Quei poveri spettri… Li comprendo molto meglio adesso che non quando mi terrorizzavano», osservò Cazaril. «In un primo tempo, ho creduto che l’esilio e il disfacimento fossero una sorta di rifiuto da parte degli Dei, una dannazione, ma adesso so che è un atto di misericordia. Quando vengono accolte presso gli Dei, le anime rammentano loro stesse… La mente può contemplare tutta la propria vita contemporaneamente, come fanno gli Dei, quasi con la stessa spaventosa chiarezza con cui la materia ricorda se stessa. Per alcuni, questa forma di paradiso può riuscire intollerabile, un vero inferno, ed è per questo che gli Dei concedono loro la liberazione dell’oblio.»

«L’oblio… Esso mi appare come un paradiso. Credo che pregherò di diventare anch’io uno spettro del genere.»

Temo si tratti di una misericordia che ti verrà negata, pensò Cazaril. «Sapete che la maledizione è stata rimossa da Iselle, da Bergon, da tutti quanti e da tutta Chalion?»

«Sì. Iselle me ne ha parlato, entro i limiti in cui è in grado di capire l’accaduto, ma io ho percepito la cosa mentre succedeva. Le mie dame mi stavano vestendo per andare alle preghiere del mattino del Giorno della Figlia e, sebbene non ci sia stato nulla da vedere, da sentire o da percepire, d’un tratto mi è sembrato che una nebbia si fosse dissolta dalla mia mente. Non mi ero resa conto di quanto la maledizione mi si fosse avviluppata intorno, come una nebbia umida che avvolgesse la pelle della mia anima, finché non è svanita. A quel punto, ho temuto che voi foste morto e ne ero dispiaciuta.»

«In effetti sono morto, ma la Signora mi ha rimandato nel mondo, nel mio corpo, cioè, anche se il mio amico Palli sostiene che non mi ha rimesso a posto nel modo giusto.»

«È strano… Il dissolversi della maledizione ha reso il mio dolore più nitido, e tuttavia più distante», mormorò Ista, distogliendo lo sguardo.

«Lady Ista, avevate ragione riguardo alla profezia», affermò Cazaril, schiarendosi la gola. «Ci volevano tre morti. E io, concentrandomi sul matrimonio, ho sbagliato volutamente, perché avevo paura e la vostra strada mi pareva troppo difficile. Tuttavia, alla fine, ogni cosa è andata per il meglio nonostante i miei errori e per grazia della Signora.»

«L’avrei fatto io stessa, se avessi potuto», disse Ista, con una nota di amarezza nella voce. «Evidentemente, il mio sacrificio non è stato giudicato accettabile.»

«Non si tratta di… Non è questo il motivo», protestò Cazaril. «Sì, insomma, lo è e tuttavia non lo è. È una cosa che riguarda la forma della vostra anima e non il fatto che essa sia degna oppure no. Bisogna trasformarsi in una coppa, per ricevere ciò che vi si riversa, mentre voi siete — e siete sempre stata — una spada, come vostra madre e vostra figlia… Le donne della vostra famiglia hanno tutte un carattere d’acciaio. Adesso capisco perché, prima d’ora, non avevo mai visto dei santi. Il mondo non si abbatte sulla loro volontà come l’onda su una roccia né si apre davanti a loro come acqua tagliata dalla prua di una nave. Essi sono agili e flessibili, e nuotano attraverso il mondo, silenziosi come pesci.»

Ista si limitò a inarcare le sopracciglia, ma Cazaril non riuscì a capire se quello era un gesto di assenso, di disaccordo o di semplice, garbata ironia.

«Ora che state meglio, dove andrete?» chiese, cambiando argomento.

«La salute di mia madre sta diventando sempre più precaria… Immagino che invertiremo i ruoli e che io la assisterò, nel castello di Valenda, come lei ha assistito me», rispose Ista, scrollando le spalle. «Preferirei tuttavia andare in qualche posto dove non sono mai stata, un posto che non sia né Valenda né Cardegoss, e che non ospiti ricordi.»

Cazaril non trovò nulla da obiettare, ma il suo pensiero corse a Umegat che, pur non essendo un superiore spirituale di Ista, s’intendeva di perdite e di dolori come pochi altri, tanto da aver reso quasi un’arte la capacità di riprendersi. Dal canto suo, Ista aveva almeno altri vent’anni per ritrovare un equilibrio. Quando Umegat, che all’epoca aveva più o meno l’età attuale di Ista, aveva recuperato il corpo devastato di Daris, forse si era infuriato e aveva pianto, proprio come lei, oppure aveva imprecato contro gli Dei con la stessa freddezza dei suoi gelidi silenzi.

«Mi piacerebbe che voi conosceste il mio amico Umegat», disse a Ista. «Era il santo incaricato di preservare Orico, ma adesso è un ex santo, proprio come voi e me. Credo che potreste avere qualche conversazione interessante.»

Ista allargò le mani in un gesto cauto, senza accettare né rifiutare l’idea, e Cazaril decise di rimandare quell’incontro a un futuro non troppo lontano. Tentò allora di volgere i pensieri di Ista ad argomenti più lieti e le chiese dell’incoronazione di Iselle, alla quale lei è la Provincara avevano partecipato. Aveva già chiesto a quattro o cinque persone di descrivergli la cerimonia, ma non si era ancora stancato di sentirla raccontare. Parlando, Ista si animò un poco, col volto che s’illuminava e si addolciva per la gioia della vittoria conseguita dalla figlia. Quanto a Teidez, la sua sorte fu un argomento che entrambi evitarono, di tacito accordo. Non era quello il momento più adatto per sondare ferite così fresche, col pericolo che riprendessero a sanguinare. In futuro, quando si fossero sentiti più forti, ci sarebbe stato tutto il tempo per parlare del ragazzo perduto.

Quando infine Cazaril s’inchinò e fece per accomiatarsi, Ista si protese in avanti e posò la mano su quella di lui. «Cazaril… Prima di andare, datemi la vostra benedizione», chiese.

«Signora, ormai non sono più santo di quanto lo siate voi, e di certo non sono un Dio. Non posso invocare benedizioni a mio piacimento», obiettò lui, sconcertato. D’altro canto, lui non era neppure una Royesse, eppure si era recato a Ibra per conto di Iselle e aveva stipulato un contratto di matrimonio in suo nome. Signora della Primavera, pregò allora, se ti ho servito bene, rendimi ora il debito che hai con me. «Ci proverò», disse, umettandosi le labbra, e si protese in avanti per toccare la fronte bianca di Ista.

Le parole gli salirono alle labbra, anche se non avrebbe saputo dire da dove provenissero. «Questa è una profezia vera quanto lo era quella da te ricevuta. Allorché le anime s’innalzeranno nella gloria, la tua non verrà ignorata o recisa, ma diventerà la perla dei giardini degli Dei. Allora perfino la tua oscurità sarà considerata un tesoro, e la tua sofferenza resa sacra.» Poi si ritrasse, assalito da un impeto di terrore e d’incertezza.

Gli occhi di Ista si velarono di lacrime, la mano che teneva posata sul ginocchio s’immobilizzò e lei chinò il capo in segno di accettazione, con l’imbarazzo di un bambino che muove i primi passi. «Per essere un principiante, ve la cavate molto bene, Cazaril», osservò.

Cazaril annuì, sorrise e si congedò in fretta, tornando in strada. Nell’avviarsi verso lo Zangre, e nonostante la salita, il suo passo si allungò, rinvigorito dalla consapevolezza che le sue dame lo stavano aspettando.

RINGRAZIAMENTI

L’autrice desidera ringraziare il professor William D. Phillips, Jr. per History 3714, per i quattrocento dollari più utili in assoluto e per le migliori dieci settimane di tutto il periodo scolastico; Pat «Dai che ci divertiamo» Wrede, per il suo gioco legato alle lettere dell’alfabeto, grazie al quale una sorta di proto-Cazaril è emerso, battendo le palpebre e incespicando, dalle tenebre della mia mente alla luce del giorno; le compagnie di servizio pubblico di Minneapolis per una certa doccia calda in una fredda giornata di febbraio, nel corso della quale i primi due elementi si sono fusi nel mio cervello in maniera inaspettata, creando un nuovo mondo e tutti i suoi abitanti.

FINE