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Il siniscalco esalò un sonoro respiro e si appoggiò allo schienale della sedia, fissandolo con sconcerto, e la dama di compagnia sgranò gli occhi per la sorpresa.

«Voi siete il Castillar dy Cazaril», dichiarò la Provincara, con voce vibrante. «Avrebbero dovuto darvi un cavallo e anche una scorta.»

«No, no, mia signora. Hanno… fatto abbastanza», replicò CazariI, agitando le mani in un gesto di diniego. Soltanto allora comprese che l’ira della dama non era diretta contro di lui, e sentì un nodo formarglisi in gola e la vista che si offuscava. No, non può succedermi anche qui… Controllandosi a fatica, aggiunse: «Mia signora, desidero soltanto servirvi, posto che voi troviate qualcosa di cui posso occuparmi… Anche se, per adesso, non sono in grado di fare granché».

La Provincara si adagiò contro lo schienale del seggio e appoggiò con delicatezza il mento alla mano, scrutandolo con attenzione per un momento. «Quand’eravate un paggio, sapevate suonare il liuto in maniera molto gradevole», osservò.

«Uh…» balbettò CazariI, cercando istintivamente di nascondere le mani distorte e coperte di calli. Poi, con un sorriso contrito, le appoggiò sulle ginocchia, bene in vista. «Ora non credo di poterlo più fare, mia signora.»

Protendendosi in avanti, la Provincara lasciò indugiare lo sguardo sulla mano sinistra, vistosamente mutilata. «Capisco», mormorò, ritraendosi con aria pensosa. Poi disse: «Ricordo che eravate solito leggere tutti i libri della biblioteca di mio marito, al punto che il maestro dei paggi si lamentava sempre di voi e io dovevo ordinargli di lasciarvi in pace. Se ben ricordo, aspiravate a diventare un poeta».

«Credo che a Chalion sia stata risparmiata una notevole quantità di brutte poesie, quando sono partito per la guerra», replicò CazariI che, al momento, non era neppure certo di riuscire a tenere una penna in mano.

«Suvvia, Castillar, mi state rendendo le cose difficili, con l’offerta dei vostri servigi», replicò la Provincara, scrollando le spalle. «Non credo che nella povera Valenda ci siano posti disponibili a sufficienza per trovarvi un’occupazione. Voi siete stato un cortigiano, un capitano, un castellano, un corriere…»

«Non sono più stato un cortigiano da quand’è morto il Roya Ias, mia signora. In veste di capitano… ho contribuito alla sconfitta di Dalus», replicò CazariI, rammentando bene quella battaglia, in seguito alla quale era finito a marcire per quasi un anno nelle segrete della royacy di Brajar. «Quanto a fare il castellano, l’assedio si è concluso con la nostra sconfitta e, come corriere, per ben due volte per poco non mi hanno impiccato come spia.» Per non parlare delle tre volte in cui mi hanno torturato, in aperta violazione alla tregua in corso. «E adesso… so remare e conosco cinque modi diversi per cucinare i ratti.» In effetti, ho così fame che non mi dispiacerebbe un bel ratto arrostito.

La Provincara continuò a scrutarlo, puntandogli addosso i suoi occhi acuti, ma lui non riuscì a capire che cosa stesse scorgendo nei suoi lineamenti… Magari la sua estrema stanchezza… o forse aveva intuito che era affamato. Sì, doveva averlo capito, perché, con un sorrisetto, gli disse: «In tal caso, Castillar, venite a cena con noi… Anche se dubito che il nostro cuoco vi possa offrire dei ratti, perché non è un piatto di moda nella pacifica Valenda. Nel frattempo, rifletterò sulla vostra richiesta».

Cazaril fece un muto cenno di ringraziamento, esitando a parlare per timore che la voce gli s’incrinasse.

Essendo ancora inverno, il pasto principale della famiglia veniva consumato a mezzogiorno, formalmente, nella grande sala. La cena, più leggera, era costituita prevalentemente dal pane e dalle carni avanzati a mezzogiorno. Ciò dipendeva dalla mentalità economa della Provincara, il cui orgoglio tuttavia esigeva altresì che si trattasse di cibo della migliore qualità, accompagnato da dosi generose di vini eccellenti. Quando invece imperversava l’intenso calore estivo, accadeva l’inverso: il pasto di mezzogiorno non era che uno spuntino, mentre la cena si teneva dopo il calare della notte, quando i baociani di ogni classe sociale si sedevano a mangiare nella frescura dei loro cortili, alla luce delle lanterne.

Quella sera, a tavola, erano soltanto in otto e si accomodarono in una camera privata del nuovo edificio, adiacente alle cucine. La Provincara prese posto a centro tavola, concedendo il posto d’onore alla sua destra a Cazaril, che rimase alquanto intimidito nel trovarsi accanto la Royesse Iselle, seduta di fronte al fratello, il Royse Teidez. Ma si rincuorò un poco quando, per far passare il tempo in attesa che tutti i commensali fossero arrivati, Teidez si mise a scagliare palline di mollica di pane contro la sorella maggiore, manovra immediatamente stroncata da un’occhiata severa della nonna. Negli occhi della Royesse Iselle era però affiorato un bagliore che faceva presagire una rappresaglia nei confronti del fratello. La rappresaglia fu sventata soltanto da un tempestivo intervento di Betriz, seduta dalla parte opposta del tavolo e un po’ spostata di lato rispetto a Cazaril.

Dal suo posto, Betriz gli lanciò un sorriso amichevole e venato di curiosità, che rivelò un’affascinante fossetta su una guancia. Sembrò addirittura sul punto di rivolgergli la parola, quando un servitore si accostò al tavolo e offrì a ciascuno una bacinella per lavarsi le mani, piena di acqua calda profumata di verbena. Le dita di Cazaril presero a tremare vistosamente mentre lui le immergeva nell’acqua, asciugandole poi in un fine asciugamano di lino. Provvide a nascondere il più in fretta possibile quel tremore abbassando le mani in grembo.

Notando che la sedia di fronte a lui era ancora vuota, dopo un momento accennò a essa con la testa e, in tono un po’ diffidente, chiese alla Provincara: «La Royina Vedova non si unirà a noi per cena, Vostra Grazia?»

«Purtroppo, stasera Ista non sta abbastanza bene», replicò lei, con espressione tesa. «Lei… consuma la maggior parte dei pasti nella sua camera.»

Reprimendo a fatica il disagio, Cazaril decise di chiedere in seguito, a qualcun altro, quale fosse l’esatta natura del male che opprimeva la madre del Royse e della Royesse. L’espressione della Provincara lasciava comunque intuire che si trattasse di qualcosa di cronico, di una malattia prolungata o di una cosa troppo dolorosa perché lei desiderasse discuterne. La prematura vedovanza aveva risparmiato a Ista il pericolo connesso ad altre gravidanze, che costituivano il rischio maggiore per la salute delle giovani donne, però esistevano molte altre spaventose malattie che affliggevano le donne di mezz’età… In qualità di seconda moglie del Roya Ias, Ista si era trovata sposata con un uomo di mezz’età, il cui figlio primogenito ed Erede, Orico, a quel tempo era già adulto. Nel breve tempo in cui era rimasto alla corte di Chalion, e pur mantenendo sempre le adeguate distanze, Cazaril aveva osservato la Royina, ricavandone l’impressione che fosse felice e che il Roya adorasse lei, ma anche la pìccola Iselle e il neonato Teidez.

Quella felicità era poi stata oscurata dalla tragedia connessa al tradimento di Lord dy Lutez, una tragedia che, come aveva sostenuto la maggior parte degli osservatori, aveva addolorato il Roya Ias a tal punto di affrettarne la morte prematura. Cazaril non poté fare a meno di chiedersi se la malattia che aveva indotto la Royina Ista a lasciare la corte del figlio adottivo non avesse qualche spiacevole risvolto politico… A detta di tutti, comunque, il Roya Orico si era sempre dimostrato rispettoso nei confronti della matrigna e gentile verso Teidez e Iselle.

Schiarendosi la gola per nascondere il brontolio dello stomaco vuoto, Cazaril osservò il gentiluomo, seduto in fondo alla tavola, oltre Lady Betriz, che faceva da tutore al Royse. In risposta a un regale cenno del capo della Provincara, l’uomo guidò la preghiera alla Santa Famiglia, perché benedicesse il pasto imminente, che Cazaril si augurava essere davvero tale. E il mistero della sedia vuota trovò la sua spiegazione allorché il siniscalco, Ser dy Ferrej, sopraggiunse con aria trafelata, scusandosi per il ritardo prima di prendere posto con gli altri.