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A titolo di prova, incerto, Ferguson gli porse le mani.

— Adesso rilassati, lasciati andare. Sai come si fa a sorridere? Non credo di averti mai visto sorridere. Fallo adesso. Fingi, se è l’unico modo in cui sai farlo. Soltanto un sorriso sciocco, gli angoli della bocca piegati all’insù, non preoccuparti di quanto ti paia sciocca la cosa. Ecco. Ecco. Ecco… così. Voglio che tu continui a sorridere. Voglio che tu dica a te stesso che dentro di te c’è uno spirito immortale creato da Dio, il quale ti ha amato in ogni istante della tua vita. Sorridi, Ed. Sorridi! Pensa all’amore. Pensa ai mondi là fuori che ti aspettano. Pensa alla nuova vita che sarà tua quando abbandonerai il corpo e farai la Traversata. Lassù potrai essere chi vorrai, sai. Non dovrai essere tu. Potrai essere tenero, amorevole e gentile, e nessuno rìderà di te, se sarai così. È una nuova vita. Continua a sorridere, Ed. A sorridere. A sorridere. Ecco. Non sembri affatto sciocco, sai, hai un aspetto meraviglioso. Sembri trasformato. Adesso dammi le mani. Dammi… le… mani… le tue… mani…

Ferguson si sentiva impotente. Voleva resistere, voleva erigere un muro contro qualunque cosa tentasse di aprirsi la strada a colpi di ariete dentro la sua mente, e per un attimo riuscì effettivamente a sollevarlo. Ma poi crollò, e fu incapace di opporre resistenza in un qualunque modo. Le sue mani si sollevarono in alto come due palloni, e Tom le prese, le serrò saldamente nelle sue, e nell’istante del contatto qualcosa di simile ad una scintilla elettrica scoccò attraverso il cervello di Ferguson, facendolo sobbalzare. Volle sottrarsi, ma non poté farlo. Non gli rimaneva più nessuna energia. Rimase seduto immobile, avvertendo la forza delle galassie che si riversava dentro di lui, e lui non aveva nessun modo per resistere.

E vide.

Vide il Mondo Verde, la sua gente alta, snella e risplendente che si muoveva con delicata agilità dentro uno scintillante padiglione di vetro. Vide il sole azzurro, che rovesciava fuori un torrente pulsante di fuoco. Vide i pianeti dei Nove Soli. Vide… vide… vide…

… un torrente d’immagini. Che lo stordirono, lo abbagliarono. La sua mente turbinava a causa della loro moltitudine. Tutto, tutti i sogni insieme, un mondo sull’altro, sull’altro e sull’altro ancora. Paesaggi, città, strani esseri, gli imperi delle stelle. Tremò e rabbrividì. Niente voleva rimanere fermo. Una strana gioia lo sopraffece, un uragano di beatitudine. Gridò e barcollò, scivolando in avanti, cadendo praticamente ai piedi di Tom, e giacque là, disteso sul ventre, con la fronte premuta contro il suolo umido, mentre le prime lacrime che riuscisse a ricordare di aver mai versato gli sgorgavano dagli occhi riversandosi in caldi ruscelli giù per le sue guance.

4

La luna era una vivida falce là fuori sopra il Pacifico, e Venere le luccicava subito accanto, un gelido puntolino di luce bianca e pulita. Era una notte chiara e tranquilla, l’aria sgombra dalla nebbia ma tuttavia un po’ ammorbidita ai bordi, forse un accenno dell’imminente stagione delle piogge che tardava ancora ad arrivare, in agguato da qualche parte a nord di Vancouver. Jaspin chiese: — Com’era il nome di quella cittadina dove siamo passati ieri?

— Santa Rosa — disse Lacy. — Un tempo era una città di dimensioni piuttosto grosse.

— Era — mormorò Jaspin. — Questo è il tempo dell’era.

Sedevano sul fianco d’una collina bassa e rincagnata, arrotondata e curva quasi come una mammella, che si ergeva fuori dell’ampio declivio di un pascolo, un mare d’erba. Quel paesaggio intatto della California del Nord, lassù sopra San Francisco, era molto diverso da quello al quale si era abituato vivendo a Los Angeles, dove le cicatrici inflitte nell’anteguerra dall’immensa popolazione e dall’intensivo sviluppo si vedevano dovunque, senza che fosse possibile sradicarle.

Malgrado la luna fosse soltanto una falce, proiettava delle ombre ben stagliate: i solitari e nodosi alberi di quercia, le rocce affioranti, la superficie ruvida dell’erba bruna appassita: ogni cosa risaltava nitida. L’oceano si trovava ad un paio di chilometri davanti a loro. E davanti a loro si stendeva anche l’immane caos della carovana dei tumbondé, praticamente un oceano in sé, una innumerevole moltitudine di veicoli che si stendeva a una sconcertante distanza fino all’autostrada dell’entroterra e anche oltre. A San Francisco e a Oakland il Senhor aveva conquistato talmente tanti nuovi adepti che adesso le dimensioni di quella processione si erano press’a poco raddoppiate. Il pifferaio dello spazio, pensò Jaspin, che raccoglieva i bramosi seguaci con entrambe le mani mentre marciava allegro verso il Settimo Luogo.

Jaspin appoggiò delicatamente la mano sulle spalle di Lacy. Quella era la prima volta che era riuscito a trovarla da tre giorni a questa parte, da quando avevano tolto il campo da fuori Oakland. Aveva cominciato a chiedersi se non gli avesse voltato le spalle, facendo ritorno a San Francisco per qualche ragione, anche dopo che gli aveva detto quanto significassero per lei i tumbondé. Ma non l’aveva fatto, naturalmente. Era semplicemente finita da qualche parte, travolta dal maelstrom dei fedeli. Adesso la processione era così grande che era facile smarrircisi in mezzo. Finalmente, quella sera Jaspin l’aveva vista, che cercava di passare in mezzo alla folla frenetica raccolta intorno alla piattaforma dove il Senhor Papamacer avrebbe dovuto comparire.

— Dimenticatene — le aveva detto. — Il Senhor ha cambiato idea. Stasera sta avendo una comunione privata con Maguali-ga. Andiamo a fare una passeggiata? — Questo era successo due ore prima. Adesso si trovavano sul lato della collina rivolto alla costa e i rumori della carovana si udivano debolmente in distanza.

— Non mi ero mai reso conto che la California fosse così immensa — commentò Jaspin. — Voglio dire, che diavolo, l’ho vista sulle carte geografiche. Ma non puoi capirne davvero le dimensioni fino a quando non ti metti a percorrerla in tutta la sua lunghezza da cima a fondo.

— È più grande di un mucchio di altri paesi — replicò Lacy. — Più grande della Germania, dell’Inghilterra, e forse della Spagna. Più grande di un mucchio di posti importanti. È quello che mi ha detto Ed Ferguson una volta. Il mio ex partner. Tu, sei mai stato in un altro paese, Barry?

— Io. In Messico qualche volta. A fare ricerche sul posto.

— Il Messico è la porta accanto, per te. Voglio dire, davvero in un altro paese. In Europa, per esempio.

— E come ci sarei arrivato in Europa? — obbiettò lui. — Su un tappeto volante?

— La gente va in Europa dall’America, no?

— Dalla costa orientale, forse. Credo che ci siano ancora delle navi che fanno la spola. Ma non da qui. Come potresti mai farlo da qui, con tutta la zona spolverata che c’è in mezzo da attraversare? — Jaspin scosse la testa. — C’era un’epoca in cui la gente raggiungeva qualunque parte del mondo in un pomeriggio, sai. L’Australia, l’Europa, il Sudamerica, dovunque: bastava salire su un aereo e andarci.

— Hanno ancora gli aerei. Li ho visti.

— Sicuro, gli aerei. Forse qualche aereo attraversa ancora in volo gli oceani, non so. Ma adesso la politica è tutta sbagliata. Con le vecchie nazioni frammentate in tutte le maniere possibili, la Repubblica di Questo e il Libero Stato di Quello, cinquanta visti necessari per andare da qui a là… no, è tutto un gran casino, Lacy. Forse un casino al quale, a quest’ora, non è più possibile porre rimedio.

— Quando il cancello sarà aperto e Chungirà-Lui-Verrà sarà arrivato, ogni cosa andrà al proprio posto — dichiarò Lacy.