— Davvero?
— Sentite, voi avete versato delle somme enormi nel fondo a favore della sua campagna per l’elezione a sindaco. Di che cosa si tratta se non di un appoggio? In marzo siete andato nell’ufficio di uno dei suoi principali strateghi e avete offerto di fare tutto quello che avreste potuto per aiutare Quinn a ottenere una carica maggiore. E questo non lo chiamate appoggio?
— Non mi interessa affatto che Quinn vinca o non vinca un’altra elezione.
— Ma allora perché volete contribuire così tanto al suo fondo elettorale? Perché volete offrire agli organizzatori della sua campagna delle preziose anticipazioni sul futuro? Perché volete?
— “Volete”?
— Volete, proprio. Ho usato la parola sbagliata?
— La volontà non ha niente a che vedere con tutto questo, signor Nichols.
— Più parlo con voi, meno vi capisco.
— La volontà implica scelta, libertà, arbitrio. Nella mia vita questi concetti non esistono. Aiuto Quinn perché so di doverlo fare, non perché preferisca lui ad altri uomini politici. In marzo venni nell’ufficio di Lombroso perché, mesi fa, mi ero “visto” andare là e sapevo che dovevo andarci quel giorno, non importa ciò che avrei preferito fare. Vivo in questo quartiere in sfacelo perché non mi sono mai “visto” vivere in qualche altro posto. Vi dico ciò che vi sto dicendo oggi, perché questa conversazione ormai mi è familiare come un film che ho visto cinquanta volte, e quindi so che a voi devo dire cose che non ho mai dette a nessun altro essere umano. Non mi chiedo mai il perché. La mia è una vita senza sorprese, signor Nichols, senza decisioni e senza volontà. Faccio quello che so di dover fare e so di doverlo fare perché ho “visto” me stesso farlo.
Le sue parole calme e tranquille mi terrorizzarono molto più degli orrori reali o immaginari della scala buia di quell’edificio. Mai, prima di allora, mi ero affacciato a un universo da cui erano banditi il libero arbitrio, il caso, l’imprevisto e la fortuna. Vidi Carvajal come un uomo inerme ma impassibile, trascinato attraverso il presente dalla sua visione inflessibile di un futuro immutabile. Mi spaventava, ma dopo un attimo il terrore vertiginoso se ne era andato, per sempre; infatti, dopo il primo spaventoso pensiero di Carvajal come tragica vittima, mi folgorò un altro pensiero, più esaltante, di Carvajal come uno il cui dono naturale era il perfezionamento ultimo del mio, uno che aveva superato i capricci del caso per entrare nel regno della predicabilità assoluta. Mi sentivo terribilmente attratto verso di lui da quella sua vista interiore. Sentivo che le nostre anime si compenetravano e capii che non avrei mai più potuto liberarmi di lui. Era come se quella fredda energia che emanava da lui, quella gelida radiosità che nasceva dalla sua stranezza, che l’aveva reso così ripugnante ai miei occhi, avesse ora invertito il polo calamitandomi verso di lui.
— Ripetete sempre fedelmente le scene che “vedete”?
— Sempre.
— Non provate mai a cambiare il copione?
— Mai.
— Perché avete paura di ciò che potrebbe accadere se lo fate?
Scosse la testa.
— Come potrei mai avere paura di qualche cosa? Ciò che temiamo è l’ignoto, non è così? No: io leggo obbedientemente le battute del copione perché so che non esiste alternativa. Quello che a voi sembra futuro per me è più simile al passato, è qualcosa che ho già sperimentato, qualcosa che sarebbe sciocco tentare di cambiare. Do del denaro a Quinn perché “l’ho già fatto prima” e ho avuto la visione di quel dare. Come potrei aver “visto” me stesso nell’atto di dare se poi, di fatto, non do, quando il momento della mia visione incrocia il momento del mio “presente”?
— Non avete mai paura di dimenticare il copione e di fare la cosa sbagliata quando viene il momento?
Carvajal fece un risolino.
— Se voi poteste, solo per un attimo, “vedere” come vedo io, capireste che è una domanda senza senso. Non c’è modo di “fare la cosa sbagliata”. Esiste solo “la cosa giusta”, quella che accade, quella che è reale. Io ho la percezione di ciò che accadrà: alla fine si verifica; sono l’attore di un dramma che non permette improvvisazioni, e così siete voi, e tutti gli altri.
— Non avete mai provato, neppure una volta, a riscrivere il copione? In qualche particolare secondario? Neppure una volta?
— Oh, sì, certo, più di una volta, signor Nichols, e non solo in particolari secondari. Quando ero più giovane, molto più giovane, prima di capire. “Vedevo” capitare una disgrazia, “vedevo”, per esempio, un bambino tagliare la strada a un camion o una casa in fiamme e decidevo di giocare a essere Dio, di impedire che la disgrazia si avverasse.
— E allora?
— Niente da fare. Qualunque piano escogitassi, quando arrivava il momento, la disgrazia si verificava esattamente come l’avevo “vista” accadere. Sempre. Le circostanze mi impedivano di prevenire qualunque cosa. Molte volte ho tentato di cambiare il corso predestinato degli eventi, e non ci sono mai riuscito; così, alla fine, ho smesso di tentare.
— E lo accettate passivamente? — incalzai, misurando a passi la stanza, inquieto, agitato, eccitato. — Per voi il libro del tempo è scritto, segnato e inalterabile? È destino e non si discute?
— È destino e non si discute.
— Non vi sembra una filosofia ormai passata di moda?
Sembrò leggermente divertito.
— Non è una filosofia, signor Nichols. È un adattamento alla realtà. Sentite, voi “accettate” il presente?
— Cosa?
— Mano a mano che vi capitano degli avvenimenti li riconoscete come validi? Oppure li vedete come eventi incerti e mutabili e avete la sensazione di poterli cambiare nel momento in cui si verificano?
— No, naturalmente. Come si potrebbe mai cambiare…
— Precisamente. Uno può tentare di indirizzare diversamente il corso del proprio futuro, può persino redigere e ricostruire i propri ricordi del passato, ma non si può fare niente nei confronti del momento stesso mentre fluisce nel presente e prende esistenza.
— E così?
— Agli altri il futuro appare alterabile perché è inaccessibile. Uno ha l’illusione di poter plasmare il proprio futuro, di poterlo modellare fuori dall’utero del tempo non ancora nato. Ma ciò di cui ho percezione quando “vedo” è il “futuro” solo in termini della mia temporanea posizione nel flusso del tempo. In realtà è anche il “presente”, l’inalterabile, immediato presente, di me stesso in una posizione differente nel flusso del tempo. O magari nella stessa posizione in un differente flusso del tempo. Oh, ho parecchie teorie interessanti, signor Nichols. Ma arrivano tutte alla stessa conclusione: che ciò di cui sono testimone non è un futuro ipotetico e incerto, soggetto a cambiamenti tramite il riordinamento di fattori precedènti, ma invece un avvenimento reale e inalterabile, fisso come il presente o il passato. Non posso cambiarlo come voi non potete cambiare un film a cui assistete al cinema. Sono riuscito a capirlo molto tempo fa. E ad accettarlo.
— Da quanto tempo avete il dono di “vedere”?
Stringendosi nelle spalle, Carvajal rispose: — Tutta la vita, immagino. Da bambino non riuscivo a capirlo; era come una febbre che mi prendeva, un sogno vivo, un delirio. Non sapevo che stavo vedendo lampi del futuro. Ma poi mi ritrovai a vivere episodi che avevo “sognato” in precedenza. Quella sensazione di “déjà vu”, signor Nichols, che sono sicuro voi stesso avete provato qualche volta, era la mia compagna di ogni giorno. C’erano volte in cui mi sentivo come un pupazzo che scattava seguendo i fili mentre qualcuno recitava le mie battute fuori dal palcoscenico. Poco per volta scoprii che nessuno provava quella sensazione di “déjà vu” così spesso e così intensamente come me. Penso di essere arrivato fino a vent’anni prima di capire esattamente com’ero, e fino a trenta prima di affrontare decisamente il problema. Naturalmente non mi sono mai rivelato a nessuno, mai fino a oggi.