— Perché non c’era nessuno di cui vi sareste fidato?
— Perché non era scritto nel copione — ribatté con esasperante compiacimento.
— Non vi siete mai sposato?
— No.
— L’avreste voluto?
— Come avrei potuto volerlo? Come avrei potuto volere ciò che evidentemente non avevo voluto? Non ho mai “visto” una moglie per me.
— E quindi non siete mai stato destinato ad averne una.
— Mai stato destinato? — i suoi occhi mandarono uno strano lampo. — Non mi piace questa frase, signor Nichols. Implica che ci sia un disegno cosciente nell’universo, un autore del grande copione. Io non lo penso. Non c’è bisogno di introdurre una tale complicazione. Il copione si scrive da solo, minuto dopo minuto, e sul copione stava scritto che avrei vissuto da solo. Non c’è nessun bisogno di dire che ero destinato a rimanere scapolo. Basta dire che io ho “visto” me stesso scapolo e quindi sarei rimasto scapolo, perciò rimasi scapolo e lo sono ora.
— Nella nostra lingua non esistono i tempi adatti per descrivere un caso come il vostro.
— Ma avete colto il significato?
— Penso di sì. Sarebbe corretto dire che “presente” e “futuro” sono semplicemente dei nomi diversi per gli stessi avvenimenti visti da diversi punti di vista?
— È un’approssimazione discreta. Io, comunque, preferisco pensare a tutti gli eventi come simultanei, mentre ciò che si muove è la percezione che noi ne abbiamo, quel punto mobile della coscienza e non gli avvenimenti stessi.
— E a volte è dato a qualcuno di percepire gli eventi da parecchi punti di vista allo stesso tempo, non è così?
— Ho molte teorie — rispose vagamente. — Forse una, fra tutte le altre, è quella giusta. Ma ciò che importa è la visione in sé, non la spiegazione. E io ho la visione.
— Avreste potuto usarla per fare i milioni — riflettei, indicando lo squallido e vecchio appartamento.
— L’ho fatto.
— No, voglio dire una fortuna davvero gigantesca: Rockefeller più Getty più Creso, un impero finanziario quale il mondo non ha mai visto. Potenza. Lusso. Donne. Controllo di tutti i continenti.
— Non era previsto nel copione.
— E voi l’avete accettato.
— Il copione non ammette nient’altro che l’accettazione. Pensavo che l’aveste capito.
— Quindi vi siete fatto i soldi, un sacco di soldi, ma solo una piccola parte di quello che avreste potuto fare, e ciò non ha significato niente per voi? Avete semplicemente lasciato che i soldi si ammucchiassero intorno a voi come foglie d’autunno?
— Non ne avevo bisogno. Le mie necessità e i miei gusti sono parchi e semplici. Ho accumulato il denaro perché mi sono “visto” giocare in borsa e diventare ricco. Faccio ciò che mi “vedo” fare.
— Secondo il copione. Nessuna domanda sul perché?
— Nessuna domanda.
— Milioni di dollari. Cosa ne avete fatto?
— Li ho usati come mi sono “visto” usarli. Una parte, l’ho data via, a opere di beneficenza, a università, a uomini politici.
— Secondo le vostre preferenze o secondo lo schema che avete visto snodarsi davanti a voi?
— Non ho preferenze — ribatté con calma.
— E il resto del denaro?
— L’ho conservato. In banca. Cosa avrei dovuto farne? Non ha mai avuto nessuna importanza per me. Come dite voi, nessun significato. Un milione di dollari, cinque, dieci milioni, solo parole, — Una strana nota, più intensa, si insinuò nella sua voce. — Che cosa ha significato? Che cosa significa “avere significato”? Noi ci limitiamo a recitare la parte assegnataci dal copione, signor Nichols. Volete un altro bicchiere d’acqua?
— Sì, grazie.
La mia mente era in preda a un turbinio vorticoso. Ero venuto per cercare delle risposte, e le avevo avute, a dozzine, eppure ognuna aveva creato nuovi interrogativi. A cui Carvajal era disposto a rispondere, evidentemente, solo perché vi aveva già risposto nella sua visione di quel giorno.
Parlandogli, mi ritrovai a scivolare senza equilibrio tra i tempi presente e futuro, del tutto preso in un labirinto grammaticale di confusione di tempi e disordine sintattico. E lui continuava a rimanere placido, quasi immobile, e la sua voce era piatta, a volte impercettibile, il viso senza espressione che non fosse quell’aria stranamente consunta. Avrebbe potuto essere un morto resuscitato, o un robot. Accettava una vita rigida, preordinata, completamente programmata, senza mai chiedersi le motivazioni delle sue azioni, ma continuando ad andare sempre avanti, simile a un pupazzo ciondolante dal proprio inevitabile futuro, trasportato in una passività esistenziale deterministica che io consideravo sconcertante e innaturale. Per un attimo mi trovai a compiangerlo. Poi mi chiesi se la mia compassione non fosse sbagliata. Sentii la tentazione di quella passività esistenziale, ne fui attirato con forza.
Improvvisamente Carvajal disse: — Penso che dovreste andarvene ora. Non sono abituato a parlare molto e ho paura di essermi stancato.
— Mi dispiace. Non avevo intenzione di rimanere così a lungo.
— Non dovete scusarvi. Tutto ciò che è successo oggi è stato proprio come l’ho “visto” accadere. Quindi va tutto bene.
— Vi sono grato di aver voluto parlare così apertamente di voi.
— Voluto? — disse ridendo. — Ancora la volontà?
— Questa parola non esiste nel vostro dizionario?
— No. E spero di cancellarla anche dal vostro.
Si diresse verso la porta in segno di congedo.
— Parleremo ancora, presto.
— Mi farebbe piacere.
— Mi dispiace non avervi potuto aiutare come vi sareste aspettato. La vostra domanda su ciò che Paul Quinn diventerà… sono spiacente. La risposta giace oltre i miei limiti e non posso darvi nessuna informazione. Posso percepire solo ciò che percepirò, capite? Ho la percezione solo delle mie percezioni future, come se guardassi il futuro attraverso un periscopio e il mio periscopio non mi mostrasse niente della elezione del prossimo anno.
Mi tenne un attimo la mano.
Sentii una corrente fluire tra noi, un fiume distinto e quasi tangibile di contatto. Percepii in lui una tensione enorme, non solo la tensione provocata dalla nostra conversazione, ma qualcosa di più profondo, uno sforzo per mantenere ed estendere quel contatto tra noi, per raggiungermi in una zona profonda del mio essere. La sensazione mi lasciò scosso e inquieto. Durò solo un istante; poi avvertii come uno scatto e ripiombai nella mia solitudine con una sensazione quasi fisica di separazione, e lui sorrise, mi fece un cortese cenno con il capo, mi augurò buon ritorno a casa e mi fece strada verso il corridoio buio e malsano.
Solo qualche minuto dopo, mentre stavo salendo in macchina, tutti i pezzi dell’enigma andarono al loro posto e riuscii a capire il significato di ciò che Carvajal mi aveva detto mentre eravamo già alla porta. Solo allora compresi la natura di quell’ultimo limite che dominava la sua visione, che lo aveva trasformato in quell’inerte pupazzo che era, che aveva tolto ogni significato alle sue azioni. Carvajal aveva visto il momento della propria morte.
Era per quello che non poteva dirmi chi sarebbe stato il prossimo presidente, ma l’effetto di quella sicurezza portava ad altre conseguenze. Spiegava perché si lasciava trasportare dalla vita in quel modo cieco e indifferente. Per decenni Carvajal doveva aver vissuto con la sicurezza di come e quando e dove sarebbe morto, e quella conoscenza assoluta e indubitabile aveva paralizzato la sua volontà in un modo difficilmente comprensibile alle persone normali. Questa fu la mia interpretazione intuitiva della sua condizione e io ho fiducia nelle mie intuizioni. Quindi alla sua morte mancavano meno di diciassette mesi e Carvajal si lasciava trasportare senza far nulla verso la propria fine, accettando, seguendo il copione, senza il minimo interesse.