— Mio Dio — fu l’unica cosa che riuscii a dire.
— Qualcosa che non va?
— Vuoi dire che ti sei messa in fila come una qualsiasi battona da venti dollari di Las Vegas?
— Avrei dovuto usare le nostre conoscenze politiche per avere la licenza?
— E se qualche giornalista ti avesse vista?
— E allora?
— La moglie di Lew Nichols, assistente amministrativo speciale del Sindaco Quinn, si iscrive all’unione delle puttane. Bel titolo, eh?
— Pensi che io sia l’unica donna sposata a far parte della unione?
— Non voglio dire questo. Sto pensando a un possibile scandalo.
— La prostituzione è un’attività legale e generalmente si riconosce alla prostituzione legalizzata un benefico influsso sociale che…
— È legale a New York. Non lo è a Kankakee, a Tallahassee, a Sioux City. Uno di questi giorni Quinn avrà bisogno dei voti di quelle città e di altre simili e qualche furbone andrà a tirare fuori la storia che la moglie di uno dei consiglieri più vicini a Paul Quinn vende il proprio corpo in un casino pubblico e…
— Devo forse adattare la mia vita alla necessità di Quinn di conformarsi alla moralità delle cittadine di provincia? — sbottò, con gli occhi scuri che mandavano lampi e il rossore che le affluiva in viso sotto il colore scuro delle guance.
— Vuoi davvero fare la puttana, Sundara?
— Prostituta è il termine usato di preferenza dalla direzione dell’unione.
— Prostituta non è molto migliore di puttana. Non sei soddisfatta dei patti che abbiamo fatto? Perché ti vuoi vendere?
— Ciò che voglio essere — ribatté lei freddamente — è un essere umano libero, slegato da ogni costrizione dell’autoattaccamento.
— E pensi di arrivarci prostituendoti?
— Le prostitute imparano a spogliarsi del loro “io”. Le prostitute esistono solo per soddisfare i bisogni degli altri. Una o due settimane in un bordello della città mi insegneranno come subordinare le esigenze del mio io alle necessità di quelli che vengono da me.
— Potresti fare l’infermiera. Potresti fare la massaggiatrice. Potresti…
— Ho già fatto la mia scelta.
— Ed è questo che farai? Hai intenzione di passare una settimana o due in un casino della città?
— Probabilmente.
— È stata Catalina Yarber a suggerirtelo?
— Ci ho pensato da sola — ribatté Sundara solennemente.
I suoi occhi mandavano lampi. Ci trovavamo sull’orlo della peggiore lite della nostra vita, uno scontro diretto del tipo “io-ti-proibisco-di-fare-questo/tu-ordini-non-me-ne-dai”.
Mi accorsi di tremare. Mi immaginai Sundara, snella ed elegante, lei desiderata da tutti gli uomini e da molte donne, che timbrava il cartellino in una di quelle squallide stanzette sterili, Sundara sdraiata sulla cuccetta al servizio di qualche cafone con la barba lunga e puzzolente di sudore, mentre una fila lunghissima aspettava, biglietto alla mano, alla sua porta. No, non potevo mandarla giù. Amore di gruppo a quattro, a sei, a dieci, qualsiasi tipo di sesso di gruppo mi andava bene, ma non gruppo-n, gruppo infinito, non offrire il suo corpo prezioso a qualsiasi porco che potesse pagare il prezzo. Per un attimo fui davvero tentato di farle una scenata da marito offeso come erano di moda una volta e dirle di lasciare perdere quella cretinata, altrimenti… Ma, naturalmente, era impossibile. Non dissi niente, mentre tra noi si apriva un abisso. Eravamo su due isole diverse in un mare in burrasca, trasportati lontano uno dall’altra da forti correnti, e non riuscivo neppure a farmi sentire da lei, protendere le mani per raggiungerla. Dov’era andato a finire l’accordo che era stato nostro per qualche anno? Perché l’abisso si allargava sempre di più?
— Ma sì, vattene al tuo casino — brontolai e lasciai l’appartamento in un cieco e antistocastico trasporto di rabbia e paura.
Ma, invece di farsi registrare al bordello, Sundara andò all’Aeroporto Kennedy e si imbarcò su un razzo diretto in India. Si bagnò nel Gange a Benares, passò un’ora alla vana ricerca del quartiere ancestrale della sua famiglia a Bombay, cenò a base di curry al Green’s Hotel e prese il razzo successivo che la riportò a casa. Il pellegrinaggio durò in tutto quaranta ore e le costò esattamente quaranta dollari all’ora.
Ebbi il buon senso di non farglielo notare. In ogni caso non potevo fare niente; Sundara era un essere libero e diventava più libera ogni giorno che passava e aveva il diritto di spendere il proprio denaro per ciò che le piaceva, anche per un folle viaggio notturno in India. Fui molto cauto, dopo il suo ritorno, a non chiederle se pensava davvero di usare la sua licenza da prostituta. Forse lo aveva già fatto. Preferivo non sapere.
19
La settimana segoente alla mia visita, Carvajal mi telefonò per invitarmi a colazione con lui il giorno seguente. Ci incontrammo, su suo suggerimento, al Merchants and Shippers Club situato nel distretto finanziario.
Il luogo da lui scelto mi sorprese. Il Merchants and Shippers è uno di quei venerandi circoli privati di Wall Street frequentati esclusivamente da agenti di cambio e banchieri con tutte le carte in regola e quando dico esclusivamente, voglio dire che persino Bob Lombroso che è americano da dieci generazioni ed è molto potente a Wall Street, non può diventarne socio perché è ebreo e ha preferito lasciar perdere senza troppo chiasso.
Come in tutti i posti del genere, la ricchezza da sola non basta a farvi accettare: dovete essere socievole, un uomo amabile e decoroso, della razza giusta, che sia andato alle scuole giuste e appartenga alla società giusta. Da quel che sapevo, Carvajal non aveva nessuno di questi requisiti. Era un nuovo ricco e non aveva alle spalle l’ambiente prescolastico richiesto e importanti affiliazioni corporative. Come era riuscito ad ottenere la tessera da socio?
— L’ho ereditata — mi spiegò con aria di sufficienza mentre prendevamo posto in due comode, elastiche sedie ben imbottite, presso una finestra sessanta piani sopra la strada tumultuosa. — Uno dei miei antenati è stato un socio fondatore, nel 1823. Lo statuto prevede che le undici tessere dei soci fondatori si tramandino automaticamente ai figli più anziani dei figli più anziani, fino alla fine del mondo. Per quella clausola alcune cattive reputazioni hanno contaminato la santità dell’organizzazione.
Improvvisamente fece un risolino cattivo.
— Ci vengo circa una volta ogni cinque anni — disse. — Avrete notato che ho messo il vestito migliore.
Era vero; indossava un farsetto pieghettato con un disegno a lisca di pesce dorato e verde che poteva avere dieci anni, ma che era sicuramente il più elegante e lucente del suo guardaroba triste e sorpassato. Carvajal stesso sembrava trasformato: più vivace, più vigoroso, quasi scherzoso, decisamente più giovane dell’uomo pallido e triste che ormai conoscevo.
— Non sapevo che aveste degli antenati — mi stupii.
— C’erano dei Carvajal nel Nuovo Mondo molto prima che la “Mayflower” salpasse alla volta di Plymouth. Eravamo una famiglia molto importante in Florida all’inizio del XVIII secolo. Quando gli inglesi si annessero la Florida nel 1763, un ramo della famiglia si trasferì a New York e penso che sia stato un periodo in cui eravamo padroni di metà della banchina e di gran parte dell’Upper West Side. Perdemmo tutto nel panico del 1837 e io sono il primo membro della famiglia in un secolo e mezzo che si sia elevato al di sopra di una signorile povertà. Anche nei momenti peggiori, però, abbiamo conservato la nomina di soci del circolo.
Accennò alle splendide pareti rivestite di legno rosso, alle scintillanti finestre con le intelaiature cromate, alla illuminazione discreta. Poi proseguì: — Non dimenticherò mai la prima volta che mio padre mi portò al circolo. Avevo quasi diciotto anni, quindi doveva essere il 1957. Il circolo non si era ancora trasferito in questo edificio, era in Broad Street in un palazzo del 1800 coperto di ragnatele. Entrammo, mio padre e io, con i nostri vestiti da venti dollari e le cravatte di lana, e tutti là dentro mi sembravano dei senatori, persino i camerieri, ma nessuno ci guardò dall’alto in basso, nessuno ci trattò con condiscendenza.