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— Va meglio. A volte è davvero spossante. Che ne direste di chiedere il menù, eh?

— Siete sicuro di star bene?

— Sicurissimo.

— Mi dispiace di avervi chiesto…

— Non vi date pensiero. Non è stato poi così brutto come deve esservi sembrato.

— Era spaventoso ciò che avete visto?

— Spaventoso? No, no. Ve l’ho detto, non era niente che non avessi già visto prima. Ne parleremo uno di questi giorni — chiamò il cameriere. — Penso sia ora di pranzare.

Il mio menù non aveva i prezzi, un segno di classe. La lista dei piatti era incredibile: bistecca di salmone affumicato, aragosta del Maine, lombo di manzo arrosto, filetto di sogliola, un elenco intero di cibi introvabili, che non avevano niente a che fare con le disgustose schifezze di soia mangiate il giorno prima o le confezioni di alghe marine. Non avendo idea di quali fossero i prezzi, ordinai allegramente insalata di molluschi di mare e lombo di manzo. Carvajal scelse un cocktail di gamberi e salmone; non volle vino ma mi spinse a prenderne una mezza bottiglia. Anche sulla lista dei vini non c’erano prezzi; optai per un Latour ’91, che costava probabilmente venticinque dollari.

Carvajal mi stava osservando attentamente. Era più che mai un enigma. Sicuramente voleva qualcosa da me; certamente voleva che io facessi qualcosa. Sembrava quasi che mi stesse corteggiando, in quel suo modo lontano, silenzioso, segreto. Ma non faceva cenni di nessun tipo. Mi sentivo come uno che gioca a poker bendato contro un avversario che gli vede le carte.

La dimostrazione che avevo ottenuto da lui era stata una parentesi così inquietante nella nostra conversazione che ebbi timore a ritornare subito sull’argomento e per un certo tempo parlammo amabilmente del vino, del cibo, della Borsa, di economia nazionale, politica e altri argomenti non impegnativi.

Inevitabilmente arrivammo a Paul Quinn e l’aria sembrò diventare più pesante. Carvajal mi chiese: — Quinn sta facendo un buon lavoro, vero?

— Mi sembra di sì.

— Dev’essere il sindaco più popolare che la città abbia avuto. È affascinante, vero? E ha un’energia incredibile. Troppa, a volte, no? Spesso sembra impaziente, riluttante a passare attraverso i soliti canali politici per ottenere quello che vuole.

— Credo che abbiate ragione. È certamente un tipo impetuoso. Errori di gioventù. Non ha ancora quarant’anni, non dimenticatelo.

— Dovrebbe prenderla con più calma. A volte la sua impazienza lo rende tirannico. Anche Gottfried era violento e tiranno e sapete cosa gli è successo.

— Gottfried era un dittatore senza vie di mezzo. Ha tentato di trasformare New York in uno stato militare e… — mi bloccai, spaventato. — Un momento! Volete dire che Quinn corre il pericolo di essere assassinato?

— Non più di qualunque altro personaggio politico importante.

— Avete “visto” qualcosa che…

— No, niente.

— Devo saperlo. Se siete in possesso di qualche informazione riguardante un attentato alla vita del sindaco, dovete dirmelo. Devo saperlo.

Carvajal sembrò divertito.

— Mi avete frainteso. Quinn, che io sappia, non è in pericolo di vita, e se pensate che volessi dire qualcosa del genere, ho scelto male le parole, evidentemente. Ciò che intendevo è che la tattica di Gottfried procura dei nemici. Se non fosse stato ucciso, avrebbe potuto, solo potuto, avere dei problemi per la rielezione. Ultimamente anche Quinn si è fatto dei nemici. Prevaricando continuamente il City Council, irrita certi gruppi elettorali.

— I negri, lo so, ma…

— Non solo i negri. Anche gli ebrei sono alquanto irritati con lui.

— Non ne ero al corrente. I sondaggi non…

— Non ancora. Questo malcontento comincerà ad affiorare tra qualche mese. La sua presa di posizione sulla faccenda dell’istruzione religiosa nelle scuole, per esempio, gli ha già alienato apparentemente molte simpatie nei distretti ebrei. E i suoi commenti su Israele all’inaugurazione della nuova Banca del Kuwait in Lexington Avenue…

— Quell’inaugurazione avrà luogo fra tre settimane — feci notare.

Carvajal scoppiò a ridere.

— Davvero? Oh, ho di nuovo fatto confusione! Ho sentito il suo discorso in televisione; così mi sembrava, almeno, ma forse…

— No, non in televisione; l’avete “visto”.

— Senza dubbio, senza dubbio.

— Cosa dirà su Israele?

— Qualche battuta di cattivo gusto. Ma gli ebrei sono molto sensibili a certe osservazioni scherzose, e la reazione non è stata — non sarà — favorevole. A loro non piace la sua aggressività. Presto cominceranno a pensare che Quinn non ha le idee giuste su Israele. E si faranno sentire.

— Quando?

— In autunno. Il “Times” pubblicherà un articolo in prima pagina sulla perdita dell’elettorato ebreo.

— No. Manderò Lombroso a inaugurare la Banca del Kuwait al posto di Quinn. Questo chiuderà la bocca a Quinn e ricorderà a tutti che abbiamo proprio un ebreo al gradino più alto dell’amministrazione municipale.

— Oh, no, non potete farlo.

— Perché no?

— Perché Quinn parlerà comunque. L’ho “visto” là.

— E se lo spedissi in Alaska quella settimana?

— Vi prego, Lew, credetemi: Quinn non può essere in nessun luogo al di fuori dell’edificio della Banca del Kuwait il giorno dell’inaugurazione. Impossibile.

— E altrettanto impossibile, immagino, che eviti di dire delle spiritosaggini su Israele, anche se gli viene detto di non farlo?

— Sì.

— Non ci credo. Sono sicuro che, se domani vado da lui e gli dico: “ehi, Paul, secondo i miei sondaggi sembra che gli ebrei stiano diventando un po’ inquieti; lascia perdere quella faccenda del Kuwait”, lui lascerà perdere. O almeno modererà i commenti.

— Andrà — ribatté tranquillamente Carvajal.

— Qualunque cosa dica o faccia io?

— Esatto.

Scossi la testa.

— Il futuro non è così inflessibile come dite voi. Noi possiamo modificare gli avvenimenti che devono ancora accadere. Parlerò a Quinn di questa faccenda.

— Per favore, non fatelo.

— Perché no? — dissi duramente. — Perché avete bisogno che il futuro si avveri nella maniera giusta?

Sembrò ferito.

Con gentilezza disse: — Perché io so che il futuro si avvera sempre nella maniera giusta.

— Gli interessi di Quinn sono i miei interessi. Se l’avete “visto” fare qualcosa che risulti dannoso a questi interessi, come potete pretendere che rimanga qui seduto e glielo lasci fare?

— Non c’è altra scelta.

— Non lo so ancora.

Carvajal sospirò.

— Se parlate di questa faccenda con il sindaco — disse gravemente — questa sarà l’ultima volta che avrete accesso alle cose che vedo.

— È una minaccia? Un’affermazione che tende a far sì che la vostra profezia si autoadempia? Sapete che voglio il vostro aiuto; così cercate di chiudermi la bocca con la vostra minaccia e così, naturalmente, la cerimonia si svolge come l’avete “vista”. Ma che vantaggio c’è a sapere da voi certe cose se poi non sono libero di agire su di loro? Perché non correte il rischio e mi date carta bianca? Siete così poco sicuro della validità delle vostre visioni da essere costretto ad agire in questo modo per garantirvi che si realizzino nel modo giusto?

— Molto bene — ribatté lui dolcemente, senza malizia. — Avete carta bianca. Fate come vi pare. Vedremo cosa succede.