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Sundara mi contemplò con aria pensierosa, senza dire niente, senza mostrare né sorpresa, né rabbia, né ostilità, né entusiasmo, né sgomento, né disperazione.

Il suo silenzio fu come uno schiaffo.

Alla fine, parlai di nuovo io: — Ho preso Jason Komurjian come avvocato. Uno dei soci di Mardikian. Metterà ogni cosa a posto con il tuo avvocato, quando ne avrai uno. Voglio che sia una separazione mantenuta a un livello civile, Sundara.

Sorrise. Monna Lisa di Bombay.

— Non hai niente da dire?

— Niente.

— Per te il divorzio è cosa da niente?

— Divorzio e matrimonio sono aspetti della stessa illusione, amore mio.

— Questo mondo sembra più reale a me che a te, penso. Questa è una delle ragioni per cui non mi sembra più una buona idea continuare a vivere insieme.

— Ci saranno delle liti furibonde per la divisione delle cose che possediamo?

— Ti ho già detto che voglio che sia una cosa civile.

— Bene. Anch’io.

— Tutti quelli del Passaggio accettano i grandi sconvolgimenti della propria vita con tanta indifferenza?

— È un grande sconvolgimento?

— A me sembra di sì.

— A me invece sembra solo la rarifica di una decisione presa molto tempo fa.

— È stato un brutto periodo — ammisi. — Ma anche nei momenti peggiori, ho sempre continuato a ripetermi: è solo una fase, una cosa passeggera, tutti ci passano, alla fine torneremo insieme.

Mentre parlavo, scoprii che mi stavo convincendo che era ancora tutto vero, che Sundara e io potevamo ancora ricostruire un rapporto, da esseri umani fondamentalmente ragionevoli quali eravamo. Eppure le stavo chiedendo di prendersi un avvocato. Mi ricordai di Carvajal che mi diceva “L’avete persa”, con un tono inesorabilmente definitivo nella voce. Ma aveva parlato del futuro, non del passato.

Sundara disse: — E adesso invece pensi che non ci sia più speranza, non è così? Che cosa ti ha fatto cambiare idea?

— Come?

— Hai davvero cambiato idea?

Non dissi nulla.

— Non penso che tu voglia davvero il divorzio, Lew.

— Lo voglio — ribattei bruscamente.

— Così dici.

— Non ti sto chiedendo di leggermi nella mente, Sundara. Solo di seguire la tiritera legale attraverso cui dobbiamo passare per essere liberi di vivere le nostre vite separatamente.

— Tu non vuoi davvero il divorzio, eppure lo vuoi. Che strano, Lew. Un atteggiamento di questo genere è una tipica situazione Transit, sai, quello che noi chiamiamo punto di accordo, una situazione in cui uno assume simultaneamente due posizioni opposte e tenta di conciliarle. Ci sono tre sbocchi possibili. Ti interessa saperli? Uno è la schizofrenia. Un’altra possibilità è l’autoinganno, come quando si pretende di abbracciare entrambe le alternative ma non è vero. E la terza è la condizione di illuminazione conosciuta nel Passaggio come…

— Per favore, Sundara.

— Pensavo ti interessasse.

— No, penso proprio di no.

Mi studiò per un lungo momento. Poi sorrise.

— Questa faccenda del divorzio è in qualche modo collegata con il tuo dono della precognizione, non è vero? In realtà tu non vuoi il divorzio adesso, anche se in fondo non andiamo molto d’accordo, eppure pensi di dovere iniziare le pratiche, perché hai intuito che a un certo punto nel prossimo futuro divorzierai, e… non ho forse ragione, Lew? Avanti: dimmi la verità. Prometto che non mi arrabbio.

— Non sei molto lontana dalla verità.

— Lo pensavo. Bene, e adesso cosa facciamo?

— Cerchiamo di stabilire i termini della separazione — ripetei rabbiosamente. — Consulta un avvocato, Sundara.

— E se non lo faccio?

— Vuoi dire che ti opponi?

— Non l’ho mai detto. Semplicemente non mi va di trattare attraverso un avvocato. Sbrighiamocela tra noi, Lew. Da persone civili.

— Devo consultare Komurjian su questo. Questo modo può essere civile, ma non furbo.

— Pensi che voglia ingannarti?

— Non penso più niente.

Mi si avvicinò. I suoi occhi brillavano; il suo corpo emanava una palpitante sensualità. Davanti a lei ero inerme.

Avrebbe potuto chiedermi tutto. Mi baciò sulla punta del naso e disse con voce roca e melodrammatica: — Se vuoi il divorzio, caro, puoi averlo. Qualunque cosa tu voglia, io non mi opporrò. Voglio che tu sia felice. Ti amo, lo sai.

Sorrise malignamente. Oh, quella malizia così Transit!

— Qualunque cosa tu voglia — ripeté.

33

Affittai un appartamento a Manhattan, tre camere ammobiliate in un vecchio, ma elegante grattacielo nella 63a Est vicino alla Seconda Avenue, che era un vecchio, già elegante quartiere non del tutto decaduto. La nobile origine dell’edificio era visibile da una serie di dispositivi di sicurezza che risalivano agli anni tra il 1960 e il 1990. Andavano da serrature collegate con il posto di polizia più vicino a occhi magici nascosti fino a moderne cellule fotoelettriche e schermi di velocità. I mobili erano semplici e senza uno stile preciso, in ottimo stato e funzionali, divani, sedie, tavoli, letto e scaffali così anonimi da sembrare invisibili. Anch’io mi sentii invisibile, dopo che ebbi completato il trasloco e gli operai e l’amministratore se ne furono andati lasciandomi solo nel mio nuovo soggiorno come un ambasciatore arrivato dal nulla per insediarsi nel limbo. Che cos’era questo posto e come era accaduto che io fossi lì? Di chi erano queste sedie? Di chi le impronte sulle nude pareti azzurre?

Sundara mi aveva lasciato prendere qualche quadro e alcune sculture che disposi qua e là; mentre prima si integravano splendidamente con le armoniche strutture del nostro appartamento di Staten Island, qui sembravano goffi e innaturali, come dei pinguini in una radura africana. Non c’erano riflettori qui, niente abili disposizioni di solenoidi e reostati, niente basamenti moquettati; solo soffitti bassi, pareti sporche, finestre senza azzurranti. Tuttavia non provai autocompatimento, ma solamente confusione, un senso di vuoto e di spaesamento. Passai il primo giorno a disfare pacchi, a organizzare, a mettere a posto i miei “lares” e “penates”, lavorando lentamente e concludendo poco, fermandomi spesso per pensare a niente in particolare.

Dormii solo e, con sorpresa, dormii molto bene. Il mattino successivo telefonai a Carvajal e gli spiegai cosa era successo.

Fece un brontolio di assenso e mi chiese: — Avete una vista della Seconda Avenue dalla finestra della camera da letto?

— Sì. E il soggiorno dà sulla 63a Strada. Perché?

— Pareti azzurre?

— Sì.

— Un divano scuro?

— Perché lo volete sapere?

— È solo un controllo. Per essere sicuro che abbiate trovato il posto giusto.

— Volete dire che ho trovato quello che avete “visto”?

— Esatto.

— Avevate forse qualche dubbio? Non credete più a ciò che “vedete”?

— Niente affatto. E voi?

— Vi credo, vi credo. Di che colore è il lavabo del bagno?

— Non so. Non ci ho mai badato. Ma il frigorifero è marrone chiaro.

— Esatto. Sono impressionato.

— Lo spero. Siete pronto a prendere degli appunti?

Trovai un notes.

— Dite pure.

— Martedì, 21 ottobre. Quinn, la settimana prossima, andrà in Louisiana dove si incontrerà con il governatore Thibodaux. Dopo, Quinn fa una dichiarazione ufficiale con cui esprime al governatore la sua solidarietà per il Progetto Plaquemines. Quando torna a New York esonera l’assessore all’Urbanistica Ricciardi e nomina al suo posto Charles Lewisohn. E poi…