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Linah entrò fluttuando nel reparto, seguito da Semph, lo scopritore del drenaggio. E la sua nemesi più eloquente, Linah, che cercava l’Elevazione Pubblica al grado di Prefetto. Fluttuarono lungo le file dei pazienti racchiusi nell’ambra: i rospi, i cubi cristallini dalle palpebre a tamburo, gli esseri con esoscheletri, i metamorfi con pseudopodi, e il drago con sette teste. Si soffermarono davanti al pazzo, un poco più in alto di lui. Lui poteva guardarli, dal basso in alto: immagini viste sette volte: ma non era in grado di emettere il minimo suono.

— Se mai avessi avuto bisogno d’una ragione conclusiva, eccone una delle migliori — disse Linah, inclinando la testa verso il pazzo.

Semph immerse una canna d’analisi nella sostanza ambrata, la ritirò ed effettuò una rapida lettura delle condizioni del paziente. — Se mai avessi bisogno di un avvertimento più decisivo — disse sottovoce Semph — eccone uno dei migliori.

— La scienza si piega al volere delle masse — disse Linah.

— Preferirei non doverlo credere — si affrettò a rispondere Semph. C’era nella sua voce un tono indefinibile, ma che soverchiava l’aggressività delle sue parole.

— Provvedere io, Semph: credimi. Farò in modo che la Concordia approvi la risoluzione.

— Linah, da quanto tempo ci conosciamo?

— Dal tuo terzo flusso. Dal mio secondo.

— È esatto, più o meno. Ti ho mai detto una bugia? Ti ho mai chiesto di fare qualcosa che avrebbe potuto danneggiarti?

— No. No, a quanto ricordo.

— E allora perché non mi vuoi ascoltare, questa volta?

— Perché penso che tu abbia torto. Non sono un fanatico, Semph. Non è una questione politica. Sono fermamente convinto che questa sia l’occasione migliore che abbiamo mai avuto.

— Ma è un disastro per chiunque altro e dovunque, e Dio solo sa fin dove, attraverso la parallasse. Noi smettiamo di sporcare nel nostro nido, a spese di tutti gli altri nidi che siano mai esistiti.

Linah allargò le mani in un gesto rassegnato. — Sopravvivenza.

Semph scosse lentamente il capo, con una stanchezza che si rispecchiava nella sua espressione. — Vorrei poter drenare anche quello.

— E non puoi?

Semph scrollò le spalle. — Posso drenare qualunque cosa. Ma quel che resterebbe non ne varrebbe la pena.

La sostanza ambrata cambiò colore. Brillò, irradiandosi nel profondo con un’intensità azzurra. — Il paziente è pronto — disse Semph. — Linah, ancora una volta. Supplicherò, se sarà necessario. Ti prego. Attendi fino alla prossima seduta. Non è necessario che la Concordia lo faccia ora. Lasciami effettuare qualche altra prova, lasciami vedere fino a che punto risale questa sozzura, quanti danni può causare. Lasciami preparare qualche relazione.

Linah era incrollabile. Scosse il capo, con fare deciso. — Posso assistere al drenaggio con te?

Semph si lasciò sfuggire un lungo sospiro. Era stato sconfitto, e lo sapeva. — Sì, sta bene.

La sostanza ambrata, con il suo fardello silenzioso, cominciò a salire. Arrivò all’altezza dei due uomini, e scivolò dolcemente nell’aria in mezzo a loro. I due seguirono fluttuando il contenitore levigato in cui era incorporato il drago dalle sette teste canine, e Semph aveva l’aria di voler dire qualcosa d’altro. Ma non c’era nulla da dire.

La crisalide color ambra sbiadì e svanì, e gli uomini divennero incorporei e sparirono. Riapparvero tutti nella sala di drenaggio. Il podio luminoso era vuoto. La culla ambrata si posò senza far rumore, e la sostanza fluì via, dileguandosi e lasciando scoperto il drago.

Il pazzo tentò disperatamente di muoversi, di alzarsi di peso. Sette teste fremettero inutilmente. La pazzia che era in lui ebbe la meglio sui tranquillanti: fu preso da una frenesia ardente, dalla furia, da un odio cremisi. Ma non poteva muoversi. Poteva solo conservare la propria forma.

Semph girò la fascia che portava al polso sinistro. Divenne luminescente, di un color oro cupo. Il suono dell’aria che si precipitava a riempire il vuoto saturò la camera. Il podio era immerso in una luce argentea che sembrava scaturire dall’aria stessa, da una sorgente sconosciuta. Il drago venne inondato dalla luce d’argento, e le sette grandi bocche si aprirono una volta sola, scoprendo cerchi di zanne. Poi gli occhi dalle doppie palpebre si chiusero.

Il dolore, dentro le sue teste, era mostruoso. Uno strattone terribile, che diventò il risucchio di un milione di bocche. I suoi cervelli venivano aspirati, premuti, compressi, e poi ripuliti.

Semph e Linah distolsero lo sguardo dal corpo pulsante del drago, lo volsero verso la vasca di drenaggio nella parte opposta della sala. Mentre la guardavano, cominciò a riempirsi, dal fondo. Si riempiva di una nube turbinante quasi incolore, simile a fumo, irradiata di scintille. — Ecco — disse Semph, sebbene non ce ne fosse bisogno.

Linah staccò gli occhi dalla vasca. Il drago dalle sette teste canine si stava increspando. Come se lo vedessero attraverso un’acqua poco profonda, il pazzo stava incominciando a modificarsi. Via via che la vasca si riempiva, faticava sempre di più a mantenere la propria forma. Più densa diventava la nube di materia scintillante, e meno era costante la forma dell’essere sul podio.

Alla fine diventò impossibile, e il pazzo si arrese. La vasca si riempì più rapidamente, e la forma fremette e si alterò e si contrasse, e poi vi fu la sovrapposizione della forma di un uomo su quella del drago a sette teste. Poi la vasca si riempì per tre quarti, e il drago divenne un’ombra sommersa, un accenno, una parvenza di quello che era stato all’inizio del drenaggio. Ormai la forma d’uomo diventava sempre più dominante a ogni secondo.

Finalmente la vasca si riempì completamente, e un uomo normale giaceva sul podio: respirava pesantemente, a occhi chiusi, con i muscoli che sussultavano involontariamente.

— È drenato — disse Semph.

— È tutto nella vasca? — chiese sottovoce Linah.

— No, non ce n’è neppure un poco.

— Allora…

— Questo è il residuo. Innocuo. Reagenti purificati da un gruppo di sensitivi lo neutralizzeranno. Le essenze pericolose, le linee di forza degenerate che costituivano il campo… non ci sono più. Sono già state drenate.

Per la prima volta, Linah assunse un’espressione turbata. — E dov’è andato, tutto quanto?

— Tu ami il tuo simile uomo, dimmi?

— Ti prego, Semph! Ti ho chiesto dov’è andato a finire… quando è andato a finire?

— È io ti ho chiesto se ti stavano a cuore gli altri.

— Conosci la mia risposta… conosci me! Voglio sapere, dimmelo; quello che sai, almeno. Dove… quando?

— Allora mi perdonerai, Linah, perché anch’io amo i miei simili. In qualunque tempo fossero, in qualunque tempo siano: ci sono costretto, io lavoro in un campo inumano, e debbo aggrapparmi a questo. Quindi… mi perdonerai…

— Che cosa hai intenzione di…

In Indonesia c’è una frase per indicarlo: Djam Karet… l’ora che si prolunga.

Nella Stanza di Eliodoro, in Vaticano, la seconda delle grandi sale progettate per papa Giulio II, Raffaello dipinse (e i suoi allievi lo completarono) un magnifico affresco, raffigurante lo storico incontro tra papa Leone I e l’unno Attila, nell’anno 452.