Duré si toccò la guancia. — È uno degli inconvenienti del terraforming.
— Non abbiamo terraformato Whirl — replicò subito il Templare. — Ma abbiamo dato la caccia alle forme gioviane di vita di quel pianeta fino a causarne l'estinzione.
— Nessuno ha mai accertato che gli zeplen fossero intelligenti — disse Duré, senza molta convinzione.
— Cantavano — disse il Templare. — Si lanciavano richiami attraverso migliaia di chilometri di atmosfera, con canzoni espressive, piene di amore e di tristezza. Eppure furono sterminati fino all'ultimo, come le grandi balene della Vecchia Terra.
Duré congiunse le mani. — D'accordo, ci sono state ingiustizie. Ma senza dubbio esistono modi migliori per raddrizzarle che non sostenere la crudele filosofia del Culto Shrike… e permettere che questa guerra continui.
Il Templare mosse in un cenno di diniego la testa incappucciata. — No. Se fossero semplici ingiustizie umane, si potrebbero trovare altri rimedi. Ma gran parte della malattia, grande parte della pazzia che ci ha spinti a distruggere razze intere e a rovinare interi pianeti deriva dalla peccaminosa simbiosi.
— Simbiosi?
— Razza umana e TecnoNucleo — disse Sek Hardeen, con il tono più aspro che Duré avesse mai udito in un Templare. — L'uomo e le sue intelligenze-macchina. Chi è il parassita dell'altro? Nessuna delle due parti del simbionte può dirlo, ora. Ma è un male, un'opera dell'Anti-Natura. Peggio ancora, Duré: un vicolo cieco dell'evoluzione.
Il gesuita si alzò e si accostò alla balaustra. Guardò il mondo scuro delle cime degli alberi disseminate come nuvole nella notte. — Senza dubbio c'è un modo migliore che non rivolgersi allo Shrike e alla guerra interstellare.
— Lo Shrike è un catalizzatore. Il fuoco che purifica, quando la foresta è stenta e cresce malata e troppo fitta. Ci saranno tempi duri, ma il risultato sarà nuova crescita, nuova vita, una proliferazione di specie… non solo altrove, ma nella comunità stessa della razza umana.
— Tempi duri — ripeté il gesuita, pensieroso. — E la Confraternita è disposta a veder morire miliardi di persone per questa… sarchiatura?
Il Templare strinse i pugni. — Non accadrà. Lo Shrike è l'avvertimento. I nostri fratelli Ouster cercano solo di controllare Hyperion e lo Shrike quanto basta a colpire il TecnoNucleo. Sarà un processo chirurgico… la distruzione di un simbionte e la rinascita della razza umana come elemento distinto nel ciclo della vita.
Duré sospirò. — Nessuno sa dove risieda il TecnoNucleo — disse. — Come faranno a colpirlo, gli Ouster?
— Lo colpiranno — rispose la Vera Voce dell'Albero Mondo; ma nel tono c'era meno fiducia di prima.
— E l'attacco a Bosco Divino fa parte dell'accordo? — domandò il prete.
Fu la volta del Templare, ad alzarsi e andare avanti e indietro, prima alla balaustra, poi di nuovo al tavolo. — Non attaccheranno Bosco Divino. L'ho trattenuta qui proprio per questo, per farle vedere. Poi potrà andare a riferire tutto all'Egemonia.
— Sapranno subito se gli Ouster attaccano — disse Paul Duré, perplesso.
— Sì, ma non sapranno perché il nostro mondo è stato risparmiato. Toccherà a lei, portare il messaggio. Spiegare questa verità.
— Al diavolo — esclamò padre Duré. — Sono stufo di essere il messaggero di tutti. Come fa a sapere queste cose? L'arrivo dello Shrike? Il motivo della guerra?
— Ci sono profezie… — cominciò Sek Hardeen.
Duré batté il pugno sulla balaustra. Come spiegare le manipolazioni di una creatura che poteva, o almeno che era un agente della forza che poteva, manipolare il tempo stesso?
— Vedrà… — cominciò di nuovo il Templare. Quasi a sottolineare le sue parole, ci fu un rumore immane e pacato, come se un milione di persone nascoste avesse emesso un sospiro e poi un gemito sordo.
— Buon Dio — esclamò Duré. A ponente sembrava che il sole sorgesse nel punto dove era scomparso da meno di un'ora. Un vento caldo fece frusciare le foglie e gli soffiò sul viso.
Cinque nubi a fungo sbocciarono e si arricciarono sopra l'orizzonte occidentale, mutando in giorno la notte, mentre ribollivano e svanivano. D'istinto, Duré si coprì gli occhi, finché non si rese conto che le esplosioni erano troppo lontane e, per quanto vivide come il sole locale, non l'avrebbero reso cieco.
Sek Hardeen si tirò indietro il cappuccio; il vento caldo gli scompigliò i capelli, lunghi e con una bizzarra sfumatura verdastra. Duré fissò i tratti scarni, vagamente asiatici dell'uomo e si accorse che mostravano sorpresa. Sorpresa e incredulità. Nel cappuccio di Hardeen risuonarono mormorii e microchiacchiere di voci agitate.
— Esplosioni a Sierra e a Hokkaido — mormorò il Templare tra sé. — Esplosioni nucleari. Dalle navi in orbita.
Duré ricordò che Sierra era un continente, chiuso ai forestieri, a meno di ottocento chilometri dall'Albero Mondo su cui si trovavano. Gli parve che Hokkaido fosse l'isola sacra dove erano coltivate le potenziali navi-albero.
— Vittime? — domandò; ma prima che Hardeen potesse rispondere, il cielo fu tagliato da vivide luci: venti e più laser tattici, CPB e lance a fusione tracciarono una falce da orizzonte a orizzonte, muovendosi come proiettori sul tetto del mondo foresta che era Bosco Divino. E dove colpivano, eruttava una scia di fiamme.
Duré barcollò, mentre un raggio ampio cento metri scivolava come un tornado sulla foresta, a meno di un chilometro dall'Albero Mondo. L'antica foresta esplose in fiamme, creò un corridoio di fuoco che si alzava per dieci chilometri nel cielo notturno. Il vento ruggì, sfiorò Duré e Sek Hardeen, mentre l'aria si precipitava ad alimentare la tempesta di fuoco. Un altro raggio colpì da nord a sud, sfiorò l'Albero Mondo, scomparve al di là dell'orizzonte. Un'altra falce di fiamme e di fumo si alzò verso le infide stelle.
— Avevano promesso! — ansimò Sek Hardeen. — I fratelli Ouster avevano promesso!
— Avete bisogno di aiuto! — esclamò Duré. — Chieda alla Rete l'aiuto di emergenza.
Hardeen afferrò Duré per il braccio, lo tirò sull'orlo della piattaforma. La scala era di nuovo al suo posto. Sulla piattaforma inferiore, scintillava il riquadro di un teleporter.
— È solo l'avanguardia della flotta Ouster — gridò il Templare, per superare il rumore della foresta in fiamme. Cenere e fumo riempivano l'aria, vagavano tra braci ardenti. — Ma la sfera di anomalia sarà distrutta da un momento all'altro. Vada via!
— Non me ne vado senza di lei — gridò il gesuita, certo che la voce non sarebbe stata udita sopra il ruggito del vento e il terrificante scoppiettio. A un tratto, appena qualche chilometro a oriente, il perfetto cerchio azzurro di una esplosione al plasma si allargò, implose, si dilatò di nuovo nei cerchi concentrici ben visibili dell'onda di urto. Alberi alti chilometri si piegarono e si spezzarono sotto la prima onda di esplosione: la parte esposta a est scoppiò in fiamme, le foglie volarono via a milioni e s'aggiunsero alla muraglia quasi compatta di detriti che correva verso l'Albero Mondo. Dietro il cerchio di fiamme, esplose un'altra bomba al plasma. Poi una terza.
Duré e il Templare caddero giù dagli scalini e furono sospinti sulla piattaforma inferiore come foglie su un marciapiede. Il Templare si aggrappò a una balaustra di legno muir in fiamme, attanagliò in una stretta ferrea il braccio di Duré, si tirò faticosamente in piedi, si mosse verso il riquadro ancora scintillante del teleporter, come un uomo che si abbandoni alla furia di un ciclone.
Stordito, accorgendosi a malapena di essere trascinato, Duré riuscì a mettersi in piedi proprio mentre la Vera Voce dell'Albero Mondo Sek Hardeen lo tirava fin sulla soglia del portale. Duré rimase aggrappato all'intelaiatura, troppo debole per superare l'ultimo metro; al di là del teleporter vide uno spettacolo che non avrebbe più dimenticato.