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Una volta, molti e molti anni prima, nei pressi dell'amata Villefranche-sur-Saône, il giovane Paul Duré si era trovato sulla cima di una scogliera, al sicuro fra le braccia del padre e al riparo di uno schermo di cemento di notevole spessore, e da una finestrella aveva guardato uno tsunami alto quaranta metri precipitarsi contro la costa dove abitavano.

Questo tsunami era alto tre chilometri, era fatto di fiamme, correva a quella che pareva la velocità della luce sull'inerme tetto della foresta verso l'Albero Mondo, Sek Hardeen e Paul Duré, distruggendo tutto ciò che toccava. L'uragano infuriò più vicino, si alzò più in alto fino a oscurare tra fiamme e frastuono il mondo e il cielo.

— No! — urlò padre Duré.

— Vada via! — gridò la Vera Voce dell'Albero Mondo e spinse il gesuita al di là del portale, mentre la piattaforma, il tronco dell'Albero Mondo e la tonaca del Templare prendevano fuoco.

Il teleporter si spense proprio mentre Duré lo varcava rotolando; si contrasse e tagliò di netto il tacco della scarpa del prete. Duré sentì che i timpani gli scoppiavano e le vesti prendevano fuoco; cadde, con la nuca colpì qualcosa di duro e precipitò nel buio totale.

Gladstone e gli altri guardarono in silenzio, inorriditi, le immagini inviate tramite relè teleporter dai satelliti civili, con gli spasmi di agonia di Bosco Divino.

— Dobbiamo farla saltare subito! — gridò l'ammiraglio Singh, per superare lo scoppiettio delle foreste in fiamme. Meina Gladstone credette di udire le urla di esseri umani e degli innumerevoli primati arboricoli che vivevano sul pianeta dei Templari.

— Non possiamo lasciarli avvicinare ancora! — gridò di nuovo Singh. — Abbiamo solo i telecomandi, per far saltare la sfera.

— Sì — disse Gladstone; anche se aveva mosso le labbra, non udì alcun suono.

Singh si girò e rivolse un cenno a un colonnello della FORCE:spazio. Il colonnello toccò la consolle tattica. Le foreste in fiamme sparirono, le enormi olografie divennero totalmente scure, ma chissà come il suono delle grida rimase. Gladstone capì che era il rombo del suo stesso sangue nelle orecchie.

Si girò verso Morpurgo. — Quanto manca… — Si schiarì la voce. — Generale, quanto manca all'attacco di Mare Infinitum?

— Tre ore e cinquantadue minuti, signora — rispose il generale.

Gladstone si girò verso l'ex capitano William Ajunta Lee. — La sua unità operativa è pronta, ammiraglio?

— Sì, signora — disse Lee, pallido sotto l'abbronzatura.

— Quante navi saranno impegnate nell'azione?

— Settantaquattro, signora.

— E li colpirà lontano da Mare Infinitum?

— Appena dentro la Nube di Oört, signora.

— Bene — disse Gladstone. — Buona caccia, ammiraglio.

Il giovane ritenne l'augurio un'imbeccata per salutare e uscire dalla sala. L'ammiraglio Singh si sporse a mormorare qualcosa al generale Van Zeidt.

Sedeptra Akasi si chinò verso Gladstone e disse: — La sicurezza della Casa del Governo riferisce che un uomo si è appena teleportato nel terminex privato usando un codice di priorità sorpassato. L'uomo era ferito ed è stato ricoverato nell'infermeria dell'Ala Est.

— Leigh? — domandò Gladstone. — Severn?

— No, signora. Il prete di Pacem. Paul Duré.

Gladstone annuì. — Lo vedrò dopo l'incontro con Albedo. — Si rivolse al gruppo. — Se non c'è niente da aggiungere a quel che abbiamo visto, torneremo a riunirci fra trenta minuti per occuparci della difesa di Asquith e di Ixion.

Tutti si alzarono, mentre il PFE e il suo seguito varcavano il portale collegato in permanenza alla Casa del Governo. Appena Gladstone fu fuori vista, il clamore delle discussioni riprese.

Meina Gladstone si abbandonò contro lo schienale della poltrona di pelle e chiuse gli occhi per cinque secondi esatti. Quando li riaprì, il gruppo di aiutanti era ancora lì: alcuni con espressione ansiosa, alcuni con aria impaziente, ma tutti in attesa della parola successiva, del successivo ordine.

— Uscite — disse piano Gladstone. — Riposatevi un poco. Stendete le gambe per dieci minuti. Non ci saranno altri momenti di tranquillità, nelle prossime ventiquattro o quarantotto ore.

Il gruppo sfilò fuori, alcuni avevano l'aria di chi sta per protestare, altri di chi è sull'orlo del collasso.

— Sedeptra — chiamò Gladstone; la giovane rientrò nell'ufficio. — Assegna due mie guardie personali al prete appena arrivato, Duré.

Sedeptra Akasi annuì e prese un appunto sul fax-notes.

— Com'è la situazione politica? — domandò Gladstone, strofinandosi gli occhi.

— La Totalità è nel caos — rispose Akasi. — Ci sono diverse fazioni, ma ancora non si sono unite a formare un'opposizione efficace. Il Senato è tutt'altra storia.

— Feldstein? — disse Gladstone, nominando la collerica senatrice del Mondo di Barnard. Il pianeta sarebbe stato assalito dagli Ouster entro meno di quarantadue ore.

— Feldstein, Kakinuma, Peters, Sabenstorafem, Richeau… perfino Sudette Chier chiede le sue dimissioni.

— E il marito di Sudette? — Gladstone considerava il senatore Kolchev la persona più influente del Senato.

— Per il momento, nessuna dichiarazione del senatore Kolchev. Né ufficiale né confidenziale.

Con l'unghia Gladstone tamburellò sul labbro inferiore. — Secondo te, quanto tempo resta, a questo governo, prima che un voto di sfiducia lo faccia cadere?

Akasi, una degli operatori politici più avveduti con cui Gladstone avesse mai lavorato, le restituì lo sguardo. — Settantadue ore all'esterno, signora. I voti sono là. La gente ancora non se ne rende conto, ma è già una folla in tumulto. Qualcuno deve pagare, per l'accaduto.

Gladstone annuì con aria assente. — Settantadue ore — mormorò. — Più che sufficienti. — Alzò gli occhi e sorrise. — Non c'è altro, Sedeptra. Riposa un poco.

L'aiutante annuì, ma l'espressione rivelò cosa pensava realmente del suggerimento. Nello studio c'era grande silenzio, quando la porta si richiuse alle spalle della donna.

Gladstone rimase a riflettere per qualche istante. Poi disse alle pareti: — Per favore, portate qui il consulente Albedo.

Venti secondi dopo, l'aria dall'altra parte della scrivania si annebbiò, scintillò, si solidificò. Il rappresentante del TecnoNucleo sembrava bello come sempre, con i capelli grigi tagliati corti e una sana abbronzatura sul viso aperto, onesto.

— Signora — cominciò la proiezione olografica — la Commissione di Consulenza e gli analisti del Nucleo continuano a offrire i propri servigi in questi tempi di grande…

— Dove si trova, il Nucleo, Albedo? — lo interruppe Gladstone.

Il consulente non cambiò sorriso. — Scusi, signora, può ripetere la domanda?

— Il TecnoNucleo. Dove si trova?

Il viso amichevole di Albedo mostrò una lieve confusione, ma non ostilità, solo la preoccupazione di essere d'aiuto. — Senza dubbio, signora, si rende conto che, fin dalla Secessione, la politica del Nucleo è stata quella di non rivelare la posizione dei suoi… ah… elementi fisici. In un altro senso, il TecnoNucleo non è da nessuna parte, dal momento…

— Dal momento che voi esistete nelle realtà consensuali del piano dati e della sfera dati — disse Gladstone, con voce piatta. — Sì. Per tutta la vita, Albedo, ho sentito queste stronzate. Come mio padre, e suo padre prima di lui. Adesso vi rivolgo una domanda diretta. Dove si trova, il TecnoNucleo?