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Hunt si alza, solleva la lampada, si prepara a portare via dalla stanza l'unica luce. Odo la fontana nella piazza, i colombi sul davanzale.

— Domani — dice Hunt — daremo un senso a tutto e cercheremo la via per uscirne. Se ci hanno teleportato qui, ci sarà un teleporter per andar via.

— Sì — dico, pur sapendo che non è vero.

— Buona notte. E basta incubi, va bene?

— Basta incubi — rispondo, pur sapendo che è ancor meno vero.

Moneta trascinò Kassad lontano dallo Shrike e con la mano protesa parve tenere a bada la creatura, mentre estraeva dalla cintura della dermotuta un toroide azzurro e lo agitava alle proprie spalle. A mezz'aria si librò un ovale dorato, ardente, alto due metri.

— Lasciami — borbottò Kassad. — Facciamola finita. — C'erano schizzi di sangue dove gli artigli dello Shrike avevano fatto grossi strappi nella tuta del colonnello. Il piede destro penzolava come reciso; Kassad non vi si poteva appoggiare e solo il fatto di essere avvinghiato allo Shrike, quasi trascinato in una folle parodia di danza, l'aveva mantenuto dritto mentre combattevano.

— Lasciami andare — ripeté Fedmahn Kassad.

— Zitto — disse Moneta; e poi, più dolcemente: — Zitto, amore mio. — Lo trascinò al di là dell'ovale di oro: sbucarono insieme in una luce accecante.

Pur sofferente e sfinito, Kassad fu abbacinato dallo spettacolo. Non erano su Hyperion, ne era sicuro. Una vasta pianura si estendeva fino a un orizzonte più lontano di quanto logica ed esperienza ammettessero. Un'erba corta e arancione, se erba era, cresceva sulle piane e sulle basse colline come peluria sulla schiena di un bruco immenso; cose che forse erano alberi si ergevano come statue di fibrocarbonio, tronchi e rami quasi simili a disegni di Escher nella loro barocca improbabilità, foglie che erano una confusione di ovali blu scuro e viola, lucide e protese verso un cielo di vivida luce.

Ma non luce del sole. Mentre Moneta lo portava via dal portale che si richiudeva (Kassad non lo considerò un teleporter, convinto che li avesse trasportati nel tempo, oltre che nello spazio), verso un folto di quegli alberi impossibili, il colonnello girò gli occhi al cielo e provò qualcosa di molto simile all'ammirazione. Il cielo risplendeva come quello di Hyperion in pieno giorno; risplendeva come il mezzodì in un viale di negozi su Lusus; risplendeva come a mezza estate sull'altopiano Tharsis nell'arido mondo natale di Kassad, Marte. Ma questa non era luce solare: il cielo era pieno di stelle e di costellazioni e di ammassi stellari e di una galassia così ricca di soli da sembrare quasi priva di chiazze buie fra le luci. Pareva di essere in un planetario con dieci proiettori, pensò Kassad. D'essere al centro della galassia.

Il centro della galassia.

Alcuni uomini e donne in dermotuta uscirono dall'ombra degli alberi-Escher e circondarono Kassad e Moneta. Uno degli uomini, un gigante anche per gli standard marziani di Kassad, guardò il colonnello, alzò la testa in direzione di Moneta; Kassad non udì niente, non percepì niente attraverso i ricevitori radio e a banda compatta della tuta, ma capì che i due comunicavano tra loro.

— Distenditi — disse Moneta, deponendo Kassad sull'erba arancione e vellutata. Il colonnello cercò di mettersi a sedere, di parlare, ma Moneta e il gigante lo spinsero supino, tanto che il campo visivo di Kassad fu pieno delle foglie viola che si agitavano lentamente e del cielo colmo di stelle.

L'uomo toccò di nuovo Kassad e la dermotuta si disattivò. Il colonnello cercò di alzarsi, cercò di coprirsi, accorgendosi di essere nudo davanti alla piccola folla radunata intorno a lui, ma la mano di Moneta lo tenne fermo. Tra il dolore e il senso di dislocazione, sentì vagamente che l'uomo gli toccava le braccia e il petto squarciati, gli passava la mano rivestita di argento lungo la gamba fino al punto in cui il tendine di Achille era stato reciso. Kassad provò un senso di freddo a ogni tocco del gigante, poi sentì la coscienza andare alla deriva come un pallone, innalzarsi molto al di sopra della piana rossiccia e delle alture ondulate, verso il compatto baldacchino di stelle dove una figura enorme aspettava, scura come una nube gonfia di pioggia torreggiante all'orizzonte, massiccia come montagna.

— Kassad — bisbigliò Moneta; e il colonnello smise di vagare. — Kassad — disse di nuovo, con le labbra contro la guancia di lui, mentre la tuta del colonnello si riattivava e si fondeva con la sua.

Fedmahn Kassad si alzò a sedere con lei. Scosse la testa, capì che era di nuovo rivestito di energia argento vivo e si tirò in piedi. Non sentì dolore. Il corpo gli formicolò in decine di punti, dove le ferite si erano rimarginate, i gravi tagli si erano richiusi. Kassad fuse mano e tuta, passò pelle su pelle, piegò il ginocchio e palpò il tallone, ma non trovò alcuna cicatrice al tatto.

Kassad si rivolse al gigante. — Grazie — disse, senza neppure sapere se l'uomo poteva udirlo.

Il gigante rispose con un cenno e si allontanò verso gli altri.

— È un… una sorta di medico — disse Moneta. — Un guaritore.

Kassad la udì appena, mentre concentrava l'attenzione sugli altri. Erano umani, lo sentiva nel cuore, che erano umani, ma presentavano diversità sconvolgenti: le loro dermotute non erano argentee come quelle di Kassad e di Moneta, ma spaziavano nell'arco di una ventina di colori, ciascuno delicato e organico come pelliccia di una creatura selvaggia vivente. L'anatomia variava come la colorazione: la mole e la robustezza da Shrike del guaritore, con la fronte massiccia e una cascata di flusso energetico fulvo che forse era una chioma… accanto a lui una femmina, non più grande di una bambina ma chiaramente donna matura, perfettamente proporzionata, con gambe muscolose, seni piccoli e ali da fata lunghe due metri che spuntavano dalla schiena… e ali non solo decorative, perché quando la brezza arruffò l'erba arancione della prateria, la donna prese una breve rincorsa, tese le braccia e con movimenti aggraziati si alzò in volo.

Dietro alcune donne di alta statura, con dermotuta azzurra e lunghe dita palmate, c'era un gruppo di uomini tozzi, muniti di visore e di armatura come marines della FORCE pronti a scendere in battaglia nello spazio; ma Kassad intuì che l'armatura faceva parte di loro. In alto, un gruppo di maschi alati si alzò sulle correnti di aria calda e fra di loro pulsarono minuscoli raggi di luce laser gialla, in una sorta di codice complicato. I laser sembravano provenire da un occhio al centro del petto.

Kassad scosse di nuovo la testa.

— Dobbiamo andare — disse Moneta. — Lo Shrike non può seguirci qui. I guerrieri hanno già molto a cui pensare, senza doversela vedere anche con questa particolare manifestazione del Signore della Sofferenza.

— Dove siamo? — domandò Kassad.

Con una ferula di oro presa dalla cintura Moneta materializzò un ovale violetto. — Lontano, nel futuro della razza umana. Uno dei nostri futuri. Qui le Tombe sono state create e lanciate a ritroso nel tempo.

Kassad si guardò intorno di nuovo. Qualcosa di molto grosso si mosse contro la distesa di stelle, oscurò migliaia di soli e gettò un'ombra per pochissimi secondi, prima di scomparire. Uomini e donne lanciarono in alto una breve occhiata e tornarono alle proprie faccende: mietere dagli alberi piccole creature, riunirsi in gruppi per esaminare vivide mappe di energia evocate dallo schiocco delle dita di uno degli uomini, volare verso l'orizzonte con la velocità di una freccia. Un individuo basso e largo, di sesso imprecisato, si era scavato la tana nel terreno e in quel momento era visibile solo come un'increspatura di terriccio che si muoveva in rapidi cerchi concentrici intorno al gruppo.

— Dove si trova, questo luogo? — domandò di nuovo Kassad. — Che cos'è?

A un tratto, inspiegabilmente, si sentì vicino alle lacrime, come se avesse girato un angolo sconosciuto e si fosse trovato a casa nel Progetto di Rilocazione di Tharsis, mentre la madre morta da tempo lo salutava a gesti dalla porta di casa e amici e parenti da tempo dimenticati lo aspettavano per una partita di scootball.