— Al diavolo, lo dite voi — fece Theo, stringendo i pugni senza volere.
— Al diavolo, lo diciamo proprio noi — convenne Freeman Ghenga. — Riferite a Gladstone che ora ci uniremo a voi nella lotta comune contro il TecnoNucleo. — Diede un'occhiata ai silenziosi componenti del Tribunale. — Tuttavia, dal momento che siamo a parecchi anni di viaggio dalla Rete e che non ci fidiamo dei vostri teleporter controllati dal Nucleo, il nostro aiuto consisterà necessariamente in rappresaglie per la distruzione della vostra Egemonia. Sarete vendicati.
— Pensiero rassicurante — disse il Console, secco.
— Quarto, Gladstone ha chiesto un incontro. La risposta è sì… se Gladstone è disposta, come ha detto, a venire nel sistema di Hyperion. Abbiamo conservato il teleporter della FORCE proprio per un caso del genere. Noi non viaggeremo per teleporter!
— Perché no? — domandò Arundez.
Un terzo Ouster, non presentato, uno del tipo provvisto di pelliccia e magnificamente mutato, prese la parola. — L'apparecchio che chiamate teleporter è un abominio… una corruzione del Vuoto Legante.
— Ah, motivi religiosi — disse il Console, annuendo, comprensivo.
L'Ouster dall'esotica pelliccia a strisce scosse con decisione la testa.
— No! La rete di teleporter è il giogo al collo dell'umanità, il contratto di asservimento che vi ha legati al ristagno. Non vogliamo saperne.
— Quinto — riprese Freeman Ghenga — Gladstone fa riferimento a un ordigno esplosivo simile alla neuroverga: non è altro che un rozzo ultimatum. Ma, come abbiamo detto, rivolto all'avversario sbagliato. Le forze che invadono la vostra fragile Rete non appartengono ai Clan dei Dodici Sciami Confratelli.
— Su questo abbiamo solo la sua parola — disse il Console. Lo sguardo, fisso negli occhi di Ghenga, era fermo e spavaldo.
— Lei non ha la mia parola su niente — disse il Portavoce Ghenga. — Gli anziani del Clan non danno la parola a schiavi del Nucleo. Ma questa è la verità.
Il Console parve turbato, mentre si girava a mezzo verso Theo.
— Dobbiamo informare immediatamente Gladstone. — Si rivolse di nuovo a Ghenga. — I miei amici possono tornare alla nave per trasmettere la sua risposta, Portavoce?
Ghenga annuì e ordinò con un gesto di preparare la gondola.
— Non torniamo senza di lei — disse Theo al Console, mettendosi fra lui e gli Ouster più vicini, quasi a proteggerlo col suo stesso corpo.
— Sì — disse il Console, toccandogli di nuovo il braccio. — Tornate senza di me. Dovete tornare.
— Ha ragione — disse Arundez, tirando via Theo prima che protestasse di nuovo. — Sono notizie troppo importanti, per rischiare di non trasmetterle. Torni alla nave. Con lui resto io.
Ghenga rivolse un gesto a due degli Ouster dall'aspetto più esotico. — Tornerete alla nave tutt'e due. Il Console resterà qui. Il Tribunale non ha ancora deciso la sua sorte.
Arundez e Theo si girarono a pugni alzati, ma gli Ouster coperti di pelliccia li afferrarono e li portarono via, usando il minimo di forza, come adulti nei confronti di bambini piccoli ma ribelli.
Mentre li sistemavano nella gondola, il Console soffocò l'impulso di salutarli col braccio; l'imbarcazione si mosse di venti metri giù per il placido fiume, sparì dietro la curva della terrazza, ricomparve per risalire la cascata verso il nero dello spazio. Nel giro di qualche minuto svanì nel bagliore del sole. Lentamente, il Console guardò negli occhi ciascuno dei diciassette Ouster.
— Facciamola finita — disse. — Ho aspettato a lungo questo processo.
Seduto fra le grandi zampe della Sfinge, Sol Weintraub guardò la tempesta calmarsi, il vento morire passando dall'urlo al sospiro e al mormorio, le cortine di polvere assottigliarsi e poi aprirsi per mostrare le stelle, la notte assestarsi infine in una calma spaventosa. Le Tombe risplendevano più intensamente di prima, ma niente uscì dal vivido vano di ingresso della Sfinge e Sol non poté entrare, perché la spinta della luce accecante sembrava quella di migliaia di dita contro il petto; e per quanto si piegasse e si sforzasse, Sol non riusciva ad avvicinarsi a meno di tre metri dall'entrata. Qualsiasi cosa fosse ferma o si muovesse o aspettasse all'interno, era invisibile nel bagliore.
Sol si sostenne alla scala di pietra, mentre le maree del tempo lo tiravano, lo strattonavano, lo costringevano a piangere nel falso choc del déjà vu. La Sfinge intera pareva scuotersi e tremare nella violenta tempesta dei campi anti-entropici che si espandevano e si contraevano.
Rachel.
Sol non sarebbe mai andato via, finché c'era la minima possibilità che sua figlia fosse viva. Disteso sulla fredda pietra, ascoltando morire l'urlo del vento, Sol vide apparire le gelide stelle, vide le scie meteoriche e le lance laser della guerra orbitale, seppe in cuor suo che la guerra era perduta, che la Rete era in pericolo, che grandi imperi cadevano mentre lui guardava, che la razza umana era forse sull'orlo della notte infinita… e se ne fregò.
A Sol Weintraub importava solo sua figlia.
E mentre era lì disteso, freddo, schiaffeggiato dal vento e dalle maree del tempo, livido di fatica e svuotato per la fame, Sol sentì scendere su di sé una certa pace. Aveva dato a un mostro sua figlia, ma non perché Dio gliel'avesse ordinato, non perché il destino o la paura l'avessero voluto, ma solo perché sua figlia gli era apparsa in sogno e gli aveva detto che era giusto, che era la cosa da fare, che il loro amore… il suo, quello di Sarai e di Rachel… lo richiedeva.
"Alla fine" pensò Sol "al di là della logica e della speranza, sono i sogni e l'amore delle persone più care a formare la risposta di Abramo a Dio."
Il comlog di Sol non funzionava più. Poteva essere trascorsa un'ora, o cinque, da quando lui aveva dato allo Shrike la figlia morente. Sol si distese, sempre aggrappato alla pietra, mentre le maree del tempo scuotevano la Sfinge come una barchetta in un mare smisurato e fissò le stelle e la battaglia nel cielo.
Puntini luminosi andavano alla deriva, risplendevano come supernove quando le lance laser li trovavano, cadevano in una pioggia di detriti fusi… dal bianco ardente al rosso, al blu fiamma, al buio. Sol immaginò navette in fiamme, soldati Ouster e marines dell'Egemonia che morivano in un frastuono di aria risucchiata e di titanio fuso… cercò di immaginarlo… e fallì. Capì che le battaglie spaziali, i movimenti delle flotte e la caduta di imperi erano al di là della sua immaginazione, nascosti alle sue riserve di sensibilità o di comprensione. Simili cose appartenevano a Tucidide e a Tacito e a Catton e a Wu. Sol aveva conosciuto la senatrice del Mondo di Barnard, si era incontrato con lei diverse volte, quando lui e Sarai cercavano di salvare Rachel dal morbo di Merlino, ma non riusciva a immaginare la partecipazione di Feldstein alla vastità della guerra interstellare… o a qualsiasi cosa più grande dell'inaugurare un nuovo centro medico nella capitale Bussard o stringere le mani durante un raduno all'università di Crawford.
Sol non aveva mai incontrato l'attuale PFE dell'Egemonia ma, come studioso, ne aveva apprezzato l'uso arguto di discorsi di figure classiche come Churchill, Lincoln, Alvarez-Temp. Ora, disteso fra le zampe della grande bestia di pietra a piangere la figlia perduta, non riusciva a immaginare che cosa ci fosse nella mente di quella donna, mentre prendeva decisioni che avrebbero salvato o condannato miliardi di persone, salvato o tradito il più grande impero della storia umana.